AGI - La vittoria dei Maneskin agli Mtv Video Music Awards nella categoria “Best Alternative” per il videoclip di “I Wanna Be Your Slave” altro non è che l’ennesima certificazione di un successo totalmente inedito per una realtà musicale italiana. Non è una questione di fama, altrimenti li potremmo serenamente accomunare a fenomeni come Andrea Bocelli, Laura Pausini o Eros Ramazzotti, ma cadremmo in errore; no, la band romana, che fino al 2017 era possibile ascoltare dal vivo esclusivamente in Via del Corso, nell’ultimo anno e mezzo ha giocato e vinto il campionato musicale più complesso del pianeta, si è proposta ed è stata accettata nel giro dei grandi della musica statunitense, un Olimpo inarrivabile per chiunque voglia occuparsi di musica, ad ogni livello, in ogni ruolo, nella propria esistenza.
Un’impresa affatto facile, anzi, tutt’altro, si potrebbe definire una favola dalle fattezze che vanno ben oltre il sogno per chi nel 2017, da protagonista di un X-Factor non vinto, non aveva che sperare che grazie alla musica ci si potesse garantire un pasto in tavola e un tetto sopra la testa, niente di più. Una storia che ha dunque una partenza comune a molti, diremmo a tutti, ma dai risvolti sorprendenti che dovrebbero anche smuovere l’orgoglio nazionale, in barba a chi semina spocchia parlando di un rock che non sarebbe abbastanza rock per chi ascolta il vero rock o c’era e lo ha visto il vero rock.
Posto che storpiare il concetto di rock a propria immagine e somiglianza è atto inutilmente vanesio, i Maneskin sono coloro i quali combattono in questa giungla che è diventata la discografia mondiale, contro basette e gangster story, con gli strumenti in mano (operazione praticamente rivoluzionaria) e un appeal, un carisma, una grammatica teatrale, degni delle superstar a fianco alle quali oggi siedono.
Se infatti mettiamo da parte i numeri, fisiologicamente stratosferici, i Maneskin non ne hanno sbagliata una: dall’irriverenza con la quale si sono divorati il palco del Teatro Ariston di Sanremo fino alla serenità con la quale hanno stravinto all’Eurovision Song Contest del 2021, fino a contesti complessi, in quanto squisitamente americani, quindi molto distanti dalle italiche dinamiche televisive, come il Tonight Show di Jimmy Fallon e lo storico Saturday Night Live.
Stupisce molto meno il successo in apertura dei Rolling Stones, che non ha un forte valore commerciale ma è solo la ciliegina su un sogno già ampiamente realizzato, o al Coachella, che se la musica fosse il calcio sarebbe la Champions League; questo perché il posto dei Maneskin è sul palco, è lì che esprimono la propria umanità sgargiante, giovane, disobbediente si, ma anche altamente professionale.
Il segreto dei Maneskin
Ci si è soffermati infatti un po' poco su questo aspetto della questione, così fondamentale in realtà quando c’è da analizzare gli elementi che fanno la differenza tra le meteore e i pianeti, tra una lampada e la luna: i Maneskin fanno molto bene il loro lavoro, hanno sviluppato all’istante, probabilmente anche grazie all’influenza di un team di lavoro serio e competente (e ci mettiamo in mezzo, perché no, anche il mentore Manuel Agnelli, loro giudice di riferimento a X-Factor), uno stile molto personale, un’immagine perfettamente funzionante, a metà tra glamour contemporaneo e quel vintage che si rispecchia anche nei loro brani, bad boys che però nessuno è riuscito a dipingere come star maledette dalla propria giovinezza come storia del genere comanda.
Costretti a schivare i colpi di quei puristi incapaci di guardare oltre il proprio naso, inconsapevoli di essere stati tagliati fuori dal mercato musicale, di non rappresentare più il pubblico di riferimento per nessun artista che si voglia proporre oggi e che, dunque, esiste un’intera giovane comunità, quella alla quale si riferiscono appunto i Maneskin (ma non solo), che delle band che Damiano, Victoria, Thomas ed Ethan vogliono omaggiare, dalle quali chiaramente hanno preso ispirazione per avvicinarsi alla musica e nella musica realizzarsi, non ne hanno minimamente idea.
I Maneskin si rivolgono ad una comunità di ragazzi che, a ben ragione, pretende di avere i propri idoli, che non ha voglia di star lì a piangere su musica prodotta cinquant’anni fa o anche più e sul fatto che di bella in quel modo non ne verrà mai più prodotta.
Prima di tutto perché nessuno può affermarlo con certezza, perché nella musica i conti non diciamo che si fanno alla fine, perché speriamo che una fine non ci sia mai, ma perlomeno molto più in là, quando si ha abbastanza materiale per definire un progetto dentro un contesto storico già digerito; e poi perché, se proprio vogliamo tirare per le orecchie un’analisi anche vagamente oggettiva, i Maneskin hanno tutto ciò che serve oggi per ottenere il successo che poi effettivamente stanno ottenendo.
Non c’è apparizione, riconoscimento, stream o view che i quattro ragazzi romani non si siano guadagnati sul campo, con il proprio talento, con energia e spregiudicatezza. Fino a ieri notte, quando hanno acceso la notte del Vmas al Prudential Center di Newark nel New Jersey suonando “Supermodel”, brano uscito chiaramente per ammortizzare il successo delle hit con le quali hanno sfondato a livello globale “I Wanna Be Your Slave” e, soprattutto, “Beggin’”, un insuccesso direbbe qualcuno e non avrebbe tutti i torti, se non fosse che parliamo di un insuccesso da oltre (al momento) 100 milioni di click su Spotify, piattaforma ormai di riferimento per la discografia mondiale nella quale i Maneskin raccolgono oltre 22 milioni di ascoltatori mensili (i Rolling Stones, per dire, ad oggi, un milione in meno).
L’esibizione di “Supermodel” è evidentemente già rodata, le immagini che nell’ultimo anno ci sono arrivate dall’estero ci dicono che se il mood delle loro messe in scena è quello non ci può stupire se Damiano, frontman autentico, mostra orgogliosamente a favore di camera il fondoschiena, lasciato sguinzagliato da un non pantalone di pelle nera che sa di rock ma anche di fetish; né tantomeno l’incidente avvenuto alla bassista Victoria, alla quale durante l’esecuzione del brano cade parte del vestito scoprendole un seno e lei, senza colpo ferire, porta avanti il lavoro fino alla fine, mettendo in difficoltà solo la regia di MTV che, da quel momento, non si ferma più su alcun dettaglio e alterna la visuale tra pubblico in sala (enormemente divertito) e inquadrature molto larghe.
E sarà anche questo uno dei segreti dei Maneskin, quello di rappresentare alla perfezione una generazione di giovani estremamente globalizzata, incastrata nelle stesse problematiche si, ma anche forte della propria fluidità, anche sessuale, che è certamente uno degli elementi della comunicazione, dentro e fuori dal palco, dei Maneskin; tant’è che i ragazzi, Damiano in testa è chiaro (fa parte della “dura” responsabilità di un frontman), sono diventati anche icone sessuali, oggetti del desiderio, protagonisti delle fantasie erotiche di un pubblico che si fa sempre più vasto.
Ma anche questo è elemento di professionalità, è sempre bene ricordarlo, è il modo in cui la band romana ha scelto, consapevolmente, di stare al mondo della musica; una professionalità che ieri fa dichiarare a Damiano che adesso è giunto il momento di nuove sfide, che non è il caso di adagiarsi su questo successo, perché altrimenti è un attimo che tutto si affievolisce, che l’hype si attenui, che il pubblico volga sguardo e orecchie altrove, d’altra parte è lo showbiz musicale moderno, un mostro enorme e dalla fisionomia contorta contro il quale tutti, proprio tutti tutti, devono fare i conti al giorno d’oggi.
L’impressione è che i Maneskin possano domarlo in scioltezza e che la favola sia ben lungi dal concludersi e che avremo nuove spettacolari occasioni per tirar fuori un pezzo di tricolore e festeggiare quattro ragazzi che ci permettono (e permetteranno) di gridare al resto del mondo che oltre la melodia a tutti i costi e l’epica del bel canto, siamo capaci di esportare anche un sound contemporaneo e all’altezza dei più alti standard.