AGI - Da Rancore non abbiamo niente di meno da aspettarci se non qualcosa di illuminante, lui solitamente va oltre e questo suo ultimo disco in questo senso non è un’eccezione. “Xenoverso” è un viaggio interstellare, fantascientifico, dai tratti letterari dell’epopea epica; è un viaggio in tutto ciò che è sconosciuto e fa paura, ribrezzo e molto riflettere quanto esiste di sconosciuto intorno a noi, proprio sotto il nostro naso.
Il disco di Rancore in questo senso spinge alla riflessione, al porsi inevitabilmente delle domande, perché quello che non conosciamo è sempre la chiave di svolta per la nostra vita ed è un qualcosa che ci accomuna tutti. Rancore si mette in mezzo, racconta rappando la sua visione direttamente da un non luogo in cui si pone come obiettivo, riuscitissimo, quello di fungere da trade union tra due universi, tra ciò che vediamo e quello che no, tra quello che conosciamo e quello che no, tra quello che ci fa paura, e chissà se dovrebbe, e quello che invece non ce ne fa alcuna, tutto quello che in quanto tangibile abbiamo già accettato, e forse, proprio per questo, dovrebbe farci tremare.
La soluzione all’enigma di “Xenoverso”, ma forse di tutta quanta la discografia di Rancore, il suo manifesto intellettuale, arriva in coda al disco, quando spiega la sua ferrea volontà nel, citiamo, non limitarsi nella complessità, andare oltre sé stesso “per dare un senso alle cose”. È con questi intenti che ci si può permettere di fare spallucce a tutta l’industria discografica, facendo un bel sorriso e prendendo quella strada che porta alla grandezza, ed è quello il luogo dove si sta recando a grandi falcate Rancore.
“Xenoverso” è un album meravigliosamente psichedelico, è un viaggio attraverso un futuro pauroso, in cui i filosofi diventano zombie trash, e qualcosa di animale, istintivo, forse anche rabbioso, permea le barre chirurgicamente costruite di uno dei più importanti conscious rapper della scena italiana. E se nei precedenti album l’artista romano, con quel furioso istinto che caratterizza la sua scrittura, si allontanava dal prodotto da classifica, in “Xenoverso” ci piazza anche qualche hit, chiaramente non scientemente ricercata, come “Equatore”, “Ignoranze funebri” e “Questa cosa che io ho scritto mi piace”; quest’ultima un trattato di pace con la propria storia, il punto di arrivo, in cui i muscoli si rilassano e ci si da la meritata serenità, una volta raggiunto un mondo a misura della propria fantasia, della propria visione.
Rancore è un fenomeno vero e “Xenoverso” un capolavoro; forse un capolavoro per pochi in questo meccanismo usa e getta, mastica e sputa, spremi e cestina, ma quei pochi alla fine dell’ascolto si ritroveranno decisamente più ricchi.
Qual è stata la necessità artistica che ti ha guidato nella realizzazione di “Xenoverso”?
"La necessità era di costruire un immaginario che non esisteva, che non si ispira a niente, nonostante è frutto della mia storia e delle cose che ho visto, ho vissuto, libri e film che mi hanno cresciuto. Ma in realtà ho scavato dentro di me per trovare cose che non esistevano e anche modi di raccontarle nuovi, o almeno questo era il mio tentativo, poi se ci sono riuscito ancora non lo so, ma la mia spinta artistica principale era riuscire a dare un nome a tutto ciò che ho sempre avuto la sensazione che esistesse ma che non ho mai potuto toccare o vedere. Ossia uno xenoverso, un universo straniero che è parallelo al nostro, concentrico al nostro, ma allo stesso tempo invisibile, puoi averne solo la sensazione ma non puoi andarci. Una volta capito il nome di questo mondo, una volta costruiti gli assiomi, gli enunciati di questo xenoverso, di come funziona, dei suoi rapporti con il nostro universo, ho iniziato a costruire non solo le canzoni, che sono sicuramente il sole di questo sistema solare, ma anche tutto il resto degli elementi che girano intorno alle canzoni, quindi tutto quello che poi compone l’immaginario, il discorso grafico e gli appunti di questo viaggio in questo universo straniero".
Per “Xenoverso”, come spieghi nelle note per la stampa, tu intendi “l’inconoscibile”, a me ascoltando il disco è venuto proprio da pensare a tutte quelle cose alle quali non riusciamo a dare una spiegazione, alle volte proprio per la loro assurdità…
"Sicuramente, ma xenoverso è tutto quello che non fa parte del nostro universo, oppure ne fa parte, nel senso che ne fa parte l’effetto ma non ne sappiamo la causa. Perché nel momento in cui scopriremo la causa di una cosa, quella cosa non sarà più nello xenoverso ma entrerà nell’universo. Se io cammino per una strada che non conosco e non ho ancora girato l’angolo, quello che c’è dietro è xenoverso per me; nel momento in cui giro l’angolo, quello che c’è dietro diventa universo. Ora, questo è un esempio molto molto semplice per farti capire come io percepisco questa cosa, se io non trovo più le chiavi di casa, potrebbero essere finite nello xenoverso; tutte le storie che abbiamo sentito sugli gnomi, oppure i miracoli, gli animali fantastici, il passato dimenticato, il futuro sconosciuto, il lato oscuro della luna…è tutto xenoverso. Ad un certo punto della storia l’uomo conquista spazio dello xenoverso per metterlo nel proprio universo, in altri periodi invece perde spazio l’universo, aumenta la mancanza di coscienza, e da qui nasce quello che nel disco chiamo “la guerra dei versi”, la guerra tra questi due mondi e la necessità di dover trovare un equilibrio, la pace tra i versi, è il motivo per cui io prendo queste lettere e le porto tra universo e xenoverso, perché le lettere rappresentano la comunicazione e la comunicazione è certamente un percorso per la pace".
Come ti è venuto in mente, in questa guerra tra versi, di metterti in mezzo, di prenderti proprio tu la responsabilità di togliere il velo da ciò che non vediamo?
"Ho creato dei personaggi che sono cronosurfisti, nell’immaginario che ho costruito sono dei messaggeri che, puntando alla pace tra i versi, portano delle lettere. La figura del messaggero per me è sempre stata fondamentale, non a caso il rap che io faccio, essendo inafferrabile dalle persone, gli ho sempre dato un nome (me lo sono trovato da solo): ermetic hip hop. Un rap, però ermetico, e già la parola ermetico ti fa pensare ai messaggi, alle lettere, tra un mondo ed un altro; ho sempre avuto questo fascino per il messaggero, per colui che ha come scopo portare messaggi, credo che chiunque faccia musica faccia questo, che stia traducendo un mondo dentro nel mondo fuori, o il mondo sopra nel mondo sotto, questo lo facciamo continuamente tutti noi che facciamo qualcosa di creativo, nel mio caso l’ho voluto rendere un personaggio di questa enorme storia che ho costruito".
È una visione piuttosto ottimistica quella riferita al mondo della musica, sarebbe bello se ogni artista si prendesse davvero la responsabilità del racconto di qualcosa, ma sappiamo che non è sempre così…
"Mah, effettivamente non è un momento in cui questo percorso è inserito nel sistema, ma in un modo o in un altro non si perde mai questo ponte tra quello che hai dentro e quello che hai fuori. Fin da quando sei un bambino, fai un disegno e ti esprimi così, poi diventi grande e puoi anche fare una canzone che parla della tua macchina, ma se sei innamorato della tua macchina è comunque un ponte, che magari può piacere o non piacere, ma resta comunque un ponte tra due mondi. Però, certo, c’è chi a questo dedica tutte le sue energie e chi invece non gliene frega niente".
Nella prima parte del disco è come se facessi un passo indietro e ti limitassi a raccontare ed interpretare, nella seconda parte invece è come se facessi pace con te stesso, anche con il tuo essere artista…
"Xenoverso è tutto ciò che non conosciamo e tutto ciò che non abbiamo mai esplorato, in questo disco ci sono tante cose che io non avevo mai esplorato. Ad esempio, per me, uno che porta il nome Rancore, fare una canzone che abbia come tema la felicità è sicuramente uno xenoverso, perché non c’ero mai entrato in quell’argomento, è lì la sfida, è lì che divento un messaggero, quando affronto un tema che è semplicissimo ma allo stesso tempo è il più complesso di tutti da descrivere. Questo lo trovi nei testi ma lo trovi anche nelle sonorità, ad esempio in un brano come “Equatore” ci sono degli elementi più pop che non avevo mai percorso, infatti si chiama “Equatore”: una linea che trova un giusto equilibrio tra quello che è il mio suono e un altro. Ed è tutto così, a tratti è più visibile, in altri è più il modo in cui racconto le cose, i suoni che accompagnano la canzone, che mi fanno entrare in uno xenoverso".
È chiaro che quello che tu chiami “pop” non sono di certo ammiccamenti al mercato, quei brani sono comunque funzionali al tuo racconto, ma come ti sei trovato in un ambient musicale diverso dal tuo?
"Il discorso del pop lo faccio in particolare su “Equatore”, perché nel resto del disco non ci sono elementi pop, zero, proprio per nulla; però sicuramente ci sono sonorità che non avevo mai affrontato prima, ma il genere è anche relativo perché nello xenoverso i generi non esistono (e ride). Io credo che ogni persona che fa qualcosa di creativo debba sempre evolversi, debba trovare una regione nuova del continente che ha dentro, quindi avere la possibilità di lavorare con nuovi produttori, entrare in studi nei quali non ero entrato mai, collaborare con persone molto diverse, quindi cercare di fare di tutto per portare loro nel mio mondo, in questo mondo, che comunque è molto complesso, che molto spesso rompe le regole del mercato di oggi, o anche dei metodi con i quali si fanno le cose, ha fatto in modo di aver portato il disco ad essere così e anche me a crescere, ho dovuto trovare le parole più giuste per spiegare a persone sempre diverse tutto quanto questo immaginario. Riascoltandolo quello che sento è che non poteva esserci un suono migliore per un titolo così, dal punto di vista vocale c’è una morbidezza e una durezza diverse rispetto a prima, è come se sentissi la carica delle parole, che sono usate in modo diverso, è tutto estremamente naturale, cresciuto giorno per giorno, come se fosse una pianta, mettendoci tutte le energie".
Ad un certo punto dici di non volerti mai limitare nella complessità, possiamo considerarlo un po' un manifesto della tua idea di musica?
"Io penso che quando uno c’ha un’idea molto forte dentro di sé, questa idea, qualsiasi cosa fa, traspare; anche se si sforza a non farla trasparire. Già il titolo di questo disco ti dice che devo portarti fuori da qui, fuori da questa regola, fuori da questo mondo illusorio, che può essere lo spettacolo, il mercato, ma potrebbe essere anche la realtà, la politica, le nostre convinzioni, la scienza…potrebbe essere tutta una grande illusione o una verità che è sempre momentanea, sempre del presente, che un giorno cambierà com’è cambiata già tante volte. Il mio tentativo attraverso questo disco è levarti un po' il terreno sotto i piedi, ma non per il gusto di farlo o per non darti niente sul quale puoi poggiarti, ma semplicemente per farti fare delle domande e farti entrare in luoghi della mente, dello spirito, in cui magari non saresti entrato se non ci fossero stati un certo tipo di input. È un disco che rompe il concetto di disco, perché può essere un disco se vuoi, ma se non ti basta solo il disco c’è tanto altro. Come se ci fossero tanti puntini da unire e una volta uniti esce fuori una figura complessa ma chiara".
Una delle domande più frequenti che è giusto si ponga un critico in questo momento storico è il rapporto tra rap e cantautorato, tu apri un nuovo orizzonte, che è il rapporto tra rap e letteratura. Che genere di rapporto credi ci sia tra queste due forme di scrittura?
"Secondo me è un rapporto molto molto stretto, il rap con le gran quantità di parole che utilizza, col codice che crea, riesce a dire tanto; fondamentalmente è molto legato alla letteratura e la narrativa di un certo tipo, ci sono svariati checkpoint importanti in cui alcuni dischi hanno unito questo mondi. In “Xenoverso” ho cercato di usarlo come linguaggio ma senza farmi limitare da quel linguaggio, quindi si, si creano delle connessioni importanti che possono rendere dei dischi rap o cantautorali qualcosa di letterario, come probabilmente ci saranno delle opere letterarie che sono scritte e pubblicate con un’attitudine che magari è simile a quella di un disco rap".
Come si posiziona il tuo progetto discografico all’interno della scena rap italiana?
"Questo progetto lo posiziono come il resto dei miei progetti: fuori. Non so neanche dirti se sono contento o no, perché è proprio la mia natura, anche come persona, stare fuori. L’unica differenza è che con “Xenoverso” non mi sforzo più di starci dentro, accetto di starne fuori, e non a caso gli ho messo un titolo così: sono io uno xenoverso per tutti quelli che, giustamente o meno, non hanno interesse per la mia musica. Mi sono sempre sentito uno xenoverso per tanti ambienti, per tante nicchie, per tante scene, anche non di nicchia, e in un certo senso alla fine nella musica più mainstream sono un outsider e nella musica underground sono comunque un outisider. Se ci pensi, a Sanremo ero un outsider, però per l’underground musicale sono uno che è andato a Sanremo, come la giri la giri sono un outisider. Per quello mi sono arredato il mio xenoverso come volevo io".
Ora che il rap è diventato il nuovo pop, è ancora la lingua della ribellione, del riscatto sociale…?
"A tratti si, escono tanti dischi che vogliono comunicare un cambiamento, rompere e sabotare le regole, che poi è un po' quello che fa il rap: sabota, inventa, ruba e reinventa le cose, rompe, hackera i sistemi; le parole stesse sono hackerate nel rap. Dall’altra parte sicuramente non ha più questo ruolo, è come se vivesse più vite contemporaneamente in questo momento, si è diviso; c’è un lato che cerca di dare attenzione ad un determinato tipo di pensiero e un altro che da importanza ad un altro tipo di pensiero che magari si lega più a quello che può essere la musica pop, intesa come nazional-popolare. Vive più vite, sicuramente".
In questi due anni durante i quali la musica, più di tutti gli altri settori della nostra società, è stata colpita dalle restrizioni dovute alla pandemia, ti sei fatto qualche domanda sulla considerazione che le istituzioni hanno di te come lavoratore dello spettacolo?
"Non è una domanda facile, perché è talmente poco chiara la considerazione che hanno che in realtà è difficile rispondere; anche se in qualche modo ti sto già rispondendo. Non è veramente chiaro il ruolo dell’artista dentro questa società, il modo in cui è visto dalle persone, molto spesso viene collegato solo a qualcosa che ti fa divertire, che ti intrattiene, il che è anche vero, ma fa anche altro: fa pensare, può cambiare il pensiero delle persone, che fanno la società e la società fa la politica, quindi in un certo senso è molto collegato al politico che parla, molto più di quello che il politico stesso può pensare; o forse lo pensa ma non lo vuole trasmettere perché darebbe troppo potere all’arte. Il ruolo che hanno gli artisti, da sempre, è stato importante, non per niente tante figure artistiche in passato hanno avuto ruoli politici, ma fondamentalmente credo che questi due anni hanno dimostrato come il settore della musica è stato un po' dimenticato, lasciato a sé, non ci sono state grosse operazioni per far si che questa linfa artistica proseguisse, ma è stato fatto di tutto per bloccarla e dare spazio ad altro. Ma questo è successo negli ultimi due anni ma succede in generale, ci sono state tante operazioni per sensibilizzare verso questo argomento, ma non è cambiato niente. Uno il problema se lo pone ma la risposta è quella che è sempre stata, non si riesce a dare importanza all’artista e al servizio che l’artista offre, e spesso non si riconosce nemmeno l’artisticità delle cose, che è un problema ancora più grave. Se si riconoscesse l’artisticità di certe cose, sarebbe naturale poi dargli importanza, ma non si riconosce l’artisticità di una cosa rispetto ad un’altra e tutto tende quindi ad appiattirsi, tutto tende a cercare di stare in quelle regole che si pretendono per arrivare prima alle persone, in questa specie di rincorsa dietro a questo presente infinito dal quale non riusciamo ad uscire. Ci vuole tempo per creare qualcosa di artistico, non ti danno più il tempo di creare qualcosa di artistico, devi combattere per prenderti il tempo, per “Xenoverso” ho combattuto fino all’ultimo affinché tutto corrispondesse all’idea che avevo io, ma ho dovuto veramente combattere, non è stato semplice nemmeno prendersi il tempo per fare le cose, perché non c’è più tempo, questa è la sensazione che si ha".