L e nostre recensioni alle principali uscite delle ultime tre settimane. Tante le novità interessanti, ottimi i dischi di Gabbani, Clementino, PSICOLOGI, Alessandro Fiori e soprattutto Rancore, un vero capolavoro. Molti anche i singoli da non perdere, soprattutto quelli di Ghali, Madame, Alan Sorrenti, Tropico, Nu Genea e Willie Peyote. Addirittura esaltanti quelli in collaborazione tra EXTRALISCIO e Barbarossa, The Zen Circus e Motta e Francesco Bianconi e Malika Ayane. Molto male Sfera Ebbasta, Random e Fred De Palma.
Ghali – “Fortuna”
Il nuovo singolo di Ghali è una riflessione sugli estremi verso i quali ci spinge l’amore. Una riflessione molto (ben) suonata, e se il sound devia da “Walo”, il primo singolo ad anticipare il prossimo disco del rapper italo-tunisino, in entrambi notiamo la voglia di dare il giusto peso all’apparato sonoro dei pezzi, alla sperimentazione ultracontemporanea, che poi il pezzo funga da cordone ombelicale verso una musica decisamente distante dalle melodie italiane, anche rap, o che invece faccia un salto in avanti in un ambient iperproduttivo. Ghali in ogni caso si dimostra sempre artista vero, non marionetta del mercato come tanti altri suoi colleghi, anche bravi.
Max Gazzè feat. Carl Brave – “Cristo di Rio”
A distanza di tre anni dalla hit “Posso” Max Gazzè e Carl Brave tornano a collaborare, rendendo in realtà ancora più chiaro il successo di tre anni fa, l’incastro perfetto dovuto soprattutto all’orecchio in fase di produzione di Carl Brave e alla capacità di Gazzè di inserire il proprio approccio giocoso, ilare, alla musica. “Cristo di Rio” non suona da hit come “Posso”, su questo non c’è dubbio, ma è un ottimo brano, forse anche più di “Posso”.
Samuel – “E invece
Il cantautorato psichedelico e intenso della voce dei Subsonica tirato su una base che si trascina dolcemente con dei tocchi di chitarra essenziali e leggeri. Al pezzo collabora in fase di produzione Jeremiah Fraites dei favolosi The Lumineers ed effettivamente, a farci proprio attenzione, si nota un tocco di internazionalità. Un brano che nella sua semplicità funziona e rappresenta un’ulteriore perla nel repertorio solista di Samuel
Gemitaiz feat. Neffa – “Eclissi”
Gemitaiz, da ottimo rapper quale è, non si spaventa ad affrontare tematiche più cupe; “Eclissi” infatti è un brano cupo, meravigliosamente cupo, e sentire la sua voce accanto a quella del maestro Neffa, che dona sempre quell’attimo di pura ed essenziale nostalgia, è un tocco al cuore.
Madame – “L’eccezione”
Brano stupefacente, non solo perché Madame, in collaborazione con il sempre ottimo Dardust, si dimostra versatile nell’adattarsi a ritmi anche diversi da quel beat malinconico che ne ha contraddistinto i suoi brani migliori, ma anche perché questa versatilità vuol dire che la giovanissima rapper vicentina non si è adagiata sul proprio successo, sull’usato sicuro. Il brano è portato a casa con carattere, con un’interpretazione lucida, fredda e quasi sarcastica, un mix dal sapore antico e totalmente efficace. Bravissima.
Francesco Gabbani – “Volevamo solo essere felici”
È sempre piacevole ascoltare un disco di Francesco Gabbani, prima di tutto per la sua fortissima capacità di mettere carattere ed interpretazione nei suoi brani, per cui difficilmente in un suo album si trova qualcosa di sbagliato, di noioso, una narrazione poco interessante che ti stuzzica il dito a skippare sul brano successivo; è invece decisamente solito trovarci qualcosa di esaltante.
Questo “Volevamo solo essere felici” infatti è ricco di guizzi, un’altalena di intenzioni che non stanca mai e che ti trascinano all’interno di un’idea di musica precisa e coinvolgente; tant’è che nonostante Gabbani si accompagni in scrittura e produzioni a diversi soggetti, alla fine il risultato è solido e univoco, ad uscire fuori è sempre lui e la sua stralunata poetica, la sua raggiante visione.
Dal gioco ne “La mira” a “Peace&Love”, scritta con la collaborazione, azzeccatissima, (anche) di Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari. Oltre ai singoli che avevano anticipato il disco, la title track “Volevamo solo essere felici” e “Spazio tempo”, meravigliose “L’amore leggero” e “Sorpresa improvvisa”, perché sono ballad in chiave “gabbaniana”, il che le rende di fatto uniche, e cosa esiste di più essenzialmente artistico dell’unicità?
Le due collaborazioni più interessanti del disco sono con il mago della produzione pop Matteo Cantaluppi e con il maestro Pacifico, con il quale scrive “Puntino intergalattico”, altra perla del disco. Gabbani di canzoni azzeccate ne ha scritte ed interpretate tante, dietro quel sorriso sempre accattivante, sornione, leggero, si nasconde una poetica profonda che lui però preferisce sempre rendere accessibile a tutti; e fa bene. Se sia o no il miglior album della sua carriera è difficile a dirsi, l’impressione è che il miglior album di Gabbani sia sempre il prossimo, ma molti dei brani di “Volevamo solo essere felici” resteranno nel suo repertorio e nel nostro cuore. Sicuro.
Carl Brave – “La svolta/Insulti”
Il primo dei due brani è stato scritto per la colonna sonora dell’omonimo film d’esordio di Riccardo Antonaroli, il secondo è di fatto un nuovo singolo dell’artista romano. Entrambi però mettono in evidenza tutti i punti di forza dell’artista: la capacità narrativa sopra ogni cosa, Carl Brave è un moderno stornellatore romano, totalmente a proprio agio con le storie cupe, notturne, romantiche, in quell’epica capitolina che non ha eguali e che lui canta con un’incisività praticamente magnetica.
Poi il suono, sono canzoni che suonano dannatamente bene, sia che lui stiracchi un po' il proprio estro, come in “Insulti”, che risulta quasi affannosa (e sia inteso come complimento), o che trasformi l’avventura di una notte in una sorta di black tale di rarissima fattura. Ma la cosa più interessante è che Carl Brave cresce, matura, senza perdere il gusto per il pop moderno, del quale, possiamo ormai certificarlo, è ormai uno dei massimi esponenti.
Sfera Ebbasta – “Italian Anthem/Mamma mia”
L’omicidio volontario del cult “L’italiano” di Toto Cutugno altro non fa che certificare il penoso decadimento della musica italiana, ci sfugge in tutta sincerità cos’è che volesse dimostrare (o anche perlomeno raccontare, accennare, balbettare) con un brano che salviamo solo per i versi “Siamo soli sotto la tempesta/Problemi nella tasca sinistra/E soluzioni dentro la destra”, ai quali, visto che ci sentiamo magnanimi, attribuiamo una sorta di satira politica; per il resto, il solito ammasso di cliché pronti a scivolare nel buco nero della nostra memoria come dentifricio nel lavandino.
Più o meno la stessa cosa che succede nella ballad “Mamma mia”, che si trascina ammiccando al reggeaton; quindi un disastro di canzone che prende le fattezze della tragedia biblica, incommensurabile, che non può non portarci ancora una volta a chiederci cosa mai i ragazzini possano trovare di anche solo lontanamente intrigante nell’idea di musica, se proprio musica vogliamo definirla, di questo ragazzo. Scrive ben oltre i limiti della decenza, non canta e nemmeno interpreta, non affronta un argomento che sia uno, rappresentando un disimpegno totale, anche deprimente. Speriamo, ma speriamo davvero, con tutta la forza che abbiamo, che chi ascolta Sfera Ebbasta sia decisamente migliore delle canzoni di Sfera Ebbasta, perché altrimenti siamo davvero nei guai.
Le Vibrazioni – “VI”
Si sente forte la voglia de Le Vibrazioni di tornare alla propria essenza di band dai connotati fortemente rock; una voglia che si traduce poi, musicalmente parlando, giusto a tratti. “Tantissimo”, portata in gara a Sanremo, è un buon brano, ma niente che faccia allargare le orecchie, a noi è piaciuta molto di più “La vita oscena”, una canzone onesta e complessa. Detto ciò, di band come Le Vibrazioni, che hanno una così chiara inclinazione al suonato schietto da garage, ne servirebbero almeno altre 5/6.
Clementino – “Black Pulcinella”
Forse il miglior disco di Clementino, certamente il più maturo, il più autentico, in cui la sua comedy rap si mescola alla narrazione street, il tutto messo insieme grazie ad un senso della costruzione delle barre, una tecnica in pratica, che in pochi in Italia maneggiano con tale disinvoltura.
Clementino, che è di fatto un Pulcinella “black”, e quel “black” possiamo intenderlo come umorismo, ma anche come riferimento all’hip hop anni ’90, che “black” lo era di sicuro, si trascina con sé alcuni dei più interessanti ragazzi della scena urban partenopea, con Enzo Dong in “Revenge” celebra l’epica della strada; con Rocco Hunt, che finalmente ritroviamo a fare il suo, lontano da quelle atmosfere spagnoleggianti buone solo per il mutuo, dipinge quella sensazione opprimente di chi per farcela deve lasciare il sud, accoltellando parte della propria essenza.
E potremmo soffermarci ancora su ogni singolo pezzo di questo disco straordinario, ma preferiamo consigliarvi l’ascolto, che è sempre la verità ultima su un lavoro; quello che è certo è che Clementino, come si dice, ridendo e scherzando, senza prendersi mai troppo sul serio, vomita fuori anche la propria nostalgia, senza bisogno di utilizzare le proprie canzoni per dire al mondo che ce l’ha fatta, perché è Clementino e tutti sappiamo che ce l’ha fatta.
Baby Gang – “Paranoia”
Su Instagram Mouhib Zaccaria, in arte (sigh…arte) Baby Gang, a corredo di una foto mentre è detenuto nel carcere di San Vittore, scrive che questo singolo “rimarrà nella storia del rap, visto che sono il primo artista detenuto ad aver girato un video in un carcere vero e proprio”, complimentoni. A noi però più che altro viene in mente quell’illuminante frase che Chuck Palanhiuk in “Fight Club” mette in bocca al suo meraviglioso Tyler Durden: “Infilarti piume nel culo non fa di te una gallina”; ecco, magari ci sbaglieremo, ma l’impressione è che la scena rap italiana è piena zeppa di ragazzini con le piume in mano, pronti a tutto, perfino alla galera, per consolidare la propria immagine di duri e puri, come se la delinquenza in qualche modo faccia punteggio.
Baby Gang noi lo giudichiamo per la musica, non per la fedina penale, sia chiaro, a ognuno il proprio mestiere, di questa “Paranoia” ci piacciono alcuni vaghi, troppo vaghi, riferimenti culturali, bocciamo nettamente tutto il resto, ed è la gran maggioranza, quando il brano si schianta sulle solite noiosissime storie di reati raccontati come avventure eccitanti. Insomma, se hai una storia da raccontare, raccontala e vedi di farlo come si deve, con tecnica, professionismo, lucidità; se hai solo voglia di passare per un duro, spiace, ma con noi non passa, al limite ci andiamo a riguardare “Romanzo criminale”, ma in tutta onestà di certe ostentazioni di plastica ne facciamo volentieri a meno.
Alan Sorrenti – “Giovani per sempre”
Che pezzo, che gusto, che stile. Viva Alan Sorrenti, che torna dopo decenni lontano dalle scene, a 71 anni suonati, con un singolo dalle venature meravigliosamente funky partenopee anni ‘70/’80; il suo sound, che non può risultare vecchio essendo così dannatamente avanti. “Giovani per sempre”, puoi dirlo forte.
Francesco Bianconi feat. Malika Ayane – “Perduto insieme a te”
Un incontro artistico reale, intellettuale, tra due artisti che non si tirano indietro rispetto alla malinconia che può fisiologicamente scaturire dal proprio intimo rapporto con tutto ciò che è spirituale, tutto ciò che esiste e non esiste insieme. Inutile dire che sentire le loro voci incrociarsi è letteralmente un piacere per le orecchie, e data la stima nei loro confronti non ci aspettavamo di meno che una piccola grande perla di brano. E così è. E così sia.
Willie Peyote – “La colpa del vento”
Willie Peyote è molto bravo a nascondere sentimenti cupi dietro alla sua geniale capacità di costruire le metriche delle sue canzoni. Willie Peyote è molto bravo a spiattellare la propria intimità in modo tale da renderla così comune a tutti noi, aprendoci letteralmente gli occhi su ciò che abbiamo vissuto e comunque non vogliamo vedere; tipo quella sorta di rabbia, che si può sfogare solo contro il vento, che è troppo più forte di noi, quando una storia finisce e ti rendi conto che forse c’era una possibilità di essere davvero felici, che non sempre è facile deglutire le scelte del destino, perlomeno finché non ti viene servito il prossimo boccone. Willie Peyote è molto bravo. Punto.
The Zen Circus feat. Motta – “Caro fottutissimo amico”
Incidere un brano di quasi 12 minuti è una follia, se non fosse che gli Zen e Motta non lo hanno di certo composto per farsi passare in radio, ma per celebrare un’amicizia ventennale, intima, autentica e, quando cantata in questo brano, anche irrimediabilmente trascinante. Un inno a loro, un inno alla musica, un inno al mestiere del musicista, una meravigliosa epopea sentimentale, buona magari per condividere un bicchiere e ripassare mentalmente le fotografie di mille momenti passati insieme. Il testo è davvero di rara bellezza, forse uno dei più belli pubblicati in questi anni in Italia, non stupisce granchè, non solo perché Appino e Motta, penna in mano, sono due fenomeni veri, ma perché vera è la loro unione, come uomini e come artisti. Eccellenza.
PSICOLOGI – “Trauma”
“Trauma” è un disco da salvaguardare, perché in questo oceano infinito di bullismo plastificato in salsa trap, non avevamo ancora mai ascoltato una narrazione in musica così completa e sincera riguardo l’attuale post adolescenza. Chi sono questi ragazzi? Cosa vogliono? Cosa li sconvolge? Cosa li rattrista? In che modo vivono l’amore, la paura del futuro, comune a tutte le generazioni, e la vita? Bene, “Trauma” può certamente aiutare, specie perché la chiarezza delle immagini che il duo PSICOLOGI fornisce non è inferiore alla poetica che propone. Certo, è chiaro, è un linguaggio complesso da comprendere a pieno da chi ha il doppio o anche più di anni sul groppone, ma siamo noi che dobbiamo decodificare la visione di un mondo che è già in mano loro, funzionasse al contrario sarebbe un dramma. Siamo felici dunque di ascoltare un disco generazionale, che non parla di spari, prostituzione, morti ammazzati, bang bang e sniff sniff, come se quella sia la vita; dato che sappiamo perfettamente che non lo è, e per chi lo è, a farsi forte del proprio amaro destino non ci pensa nemmeno. No, gli PSICOLOGI si presentano autentici, portando a casa dieci pezzi tutti ottimamente composti e tutti capaci di darci un’indicazione su quali sono le rotture, i traumi appunto, che condizionano la separazione tra loro e il resto del mondo, che siano poetiche, musicali, spirituali, geografiche…e non si può desiderare di più, in fondo ce lo ricordiamo quando avevamo la loro età. Un lavoro davvero molto molto interessante.
Dardust feat. Massimo Pericolo – “Signore del bosco”
Dardust è un artista che ama esplorare tutti gli anfratti della musica possibile, è stato uno degli artefici del new pop italiano, perché ha capito come correre forte su quella linea, ai tempi sottilissima, che divideva il pop commerciale dal cantautorato impegnato, ha saputo riconoscere il valore delle nuove sonorità, ha saputo farlo esplodere, ha saputo renderlo accessibile a tutti gli amanti della melodia a tutti i costi, portando così la musica italiana, di fatto, nel futuro. Dati i presupposti era chiaro che l’incontro con un fenomeno come Massimo Pericolo non potesse che creare una scintilla, e “Signore del bosco” in questo senso è proprio un incendio.
Rancore – “Xenoverso”
Da Rancore non abbiamo niente di meno da aspettarci se non qualcosa di illuminante, lui solitamente va oltre e questo suo ultimo disco in questo senso non è un’eccezione. La soluzione all’enigma di “Xenoverso”, ma forse di tutta quanta la discografia di Rancore, il suo manifesto intellettuale, arriva in coda al disco, quando spiega la sua ferrea volontà nel, citiamo, non limitarsi nella complessità, andare oltre sé stesso “per dare un senso alle cose”. È con questi intenti che ci si può permettere di fare spallucce a tutta l’industria discografica, facendo un bel sorriso e prendendo quella strada che porta alla grandezza, ed è quello il luogo dove si sta recando a grandi falcate Rancore. “Xenoverso” è un album meravigliosamente psichedelico, è un viaggio attraverso un futuro pauroso, in cui i filosofi diventano zombie trash, e qualcosa di animale, istintivo, forse anche rabbioso, permea le barre chirurgicamente costruite di uno dei più importanti conscious rapper della scena italiana. E se nei precedenti album l’artista romano, con quel furioso istinto che caratterizza la sua scrittura, si allontanava dal prodotto da classifica, in “Xenoverso” ci piazza anche due hit, chiaramente non scientemente ricercate, come “Ignoranze funebri” e “Questa cosa che io ho scritto mi piace”; quest’ultima un trattato di pace con la propria storia, il punto di arrivo, in cui i muscoli si rilassano e ci si da la meritata serenità, una volta raggiunto un mondo a misura della propria fantasia, della propria visione. Rancore è un fenomeno vero e “Xenoverso” un capolavoro; forse un capolavoro per pochi in questo meccanismo usa e getta, mastica e sputa, spremi e cestina, ma quei pochi alla fine dell’ascolto si ritroveranno decisamente più ricchi. Consigliatissimo.
Gianluca Grignani – “A Long Goodbye”
Un brano dall’ascolto molto complicato, discretamente pretenzioso, quasi delirante. Quello che ascoltiamo non è nemmeno lontano parente del geniaccio maleducato che ha incantato una generazione prima, purtroppo, ma purtroppo davvero, di perdersi.
Fred De Palma – “PLC Tape 1”
Non è il reggeaton il problema, cioè, il reggeaton è certamente un problema, un’esagerata strizzatina d’occhio a chi dalla musica pretende esclusivamente leggerezza, escludendo e perdendosi tutto ciò che la musica può dare oltre al mero intrattenimento; parliamo di tesori per l’anima, ristoro per il cuore, illuminazione spirituale, liberi di aggiungere alla lista tutta quella gamma di sensazioni che provate quando ascoltate una di quelle canzoni fondamentali. Il reggeaton esiste per vendere cocktail d’estate e far ancheggiare le ragazze; per l’amor di Dio, parliamo di due delle cose più entusiasmanti partorite dalla storia, i cocktail e le ragazze, ma purtroppo qui parliamo di musica e abbiamo deciso di parlarne in maniera piuttosto seriosa, senza fare sconti, con lo scopo di farvi ascoltare una cosa e sconsigliarvi di ascoltarne un’altra. Ecco, in questo senso, non vi consiglieremmo l’ascolto di “PLC Tape 1” nemmeno se foste responsabili diretti dell’invenzione degli spigoli che sorprendono il mignolo del piede sinistro appena svegli, perché nessuno merita una simile tortura. Ripetiamo, il problema non è tanto il reggeaton, il problema è un approccio alla musica che non ha niente di artistico, è l’impacchettamento consapevole e ai limiti del criminoso di un prodottino insensato sotto tutti i punti di vista possibili; e gli stream che arriveranno, e lo sappiamo che ne arriveranno, possiamo tranquillamente considerarli come il numero di vittime di una truffa a tutti gli effetti, di un incentivo verso il decadimento intellettuale di questo paese. Altrove il reggeaton dicono sia una cultura, noi lo consideriamo né più e né meno di un buon affare; ma c’è da issare argini affinché a nessun’altro venga in mente di seguire le orme di Fred De Palma e rifilarci altra inutile plastica di questo livello. A questo punto non resta che sperare che non esista anche un “PLC Tape 2”.
AIELLO – “Paradiso”
AIELLO torna agli inediti con un brano piuttosto ingenuo, non certamente il migliore che abbia mai scritto, sorprendente per certi versi, considerato che sappiamo bene che le potenzialità sono molto alte; ma quella sensazione di eccitazione e serenità che viene tradotta in “Paradiso”, non può di certo essere solo detta, andrebbe anche disegnata, ma in tutta onestà non arriva granché. Alla prossima.
Tropico – “Nuda sexy noia”
Un brano per combattere la noia, una sorta di simpatico rito musicale per allontanare un pericolo potenzialmente mortale, che si cela dietro ogni angolo della nostra strada: la noia. E si, potrebbe anche essere nuda e sexy, ma sfuggire alla noia, anche con grandi sforzi, dare ampio spazio alla curiosità, alla crescita, alle relazioni, che poi è il tema principale del pezzo in fondo, è azione necessaria e per realizzarla non si fanno prigionieri. Tropico di sbagliare un pezzo proprio non ne vuole sapere. Buon per lui. Buon per noi.
Nu Genea feat. Fabiana Martone – “Tienaté”
L’idea di musica dei Nu Genea, cioè riportare ai giorni nostri uno spaccato della storia della musica italiana troppo spesso dimenticato, o relegato esclusivamente ad una fase della carriera dell’immenso Pino Daniele, è talmente potente da rendere migliore una giornata. Come una bomba di ritmo che ti esplode in testa e ti costringe ad aprirti in un sorriso e muovere le spalle a tempo. Questo funky, che diventa quasi disco, con riferimenti evidenti, significativi, alla tradizione partenopea, è coinvolgente e i Nu Genea, in questo caso accompagnati dall’ottima Fabiana Martone, sono veri e propri maestri.
ANNA feat. Lazza – “Tre di cuori”
Nel pezzo la giovanissima rapper che si è presentata al mondo della musica con “Bando” dice: “fanculo chi dice che mi faccio scrivere i testi”, poi però basta andare a sbirciare i riconoscimenti del brano per scoprire che oltre a lei e naturalmente al fenomeno Lazza, in cinque firmano il pezzo, e uno di questi è addirittura Guè (ex Pequeno). Alla produzione invece troviamo di nuovo Lazza insieme a Andry The Hitmaker e Young Miles; insomma uno squadrone. Infatti il pezzo funziona, ma manca totalmente di anima, sfonderà l’internette di stream e poi verrà dimenticato.
EXTRALISCIO feat. Luca Barbarossa – “è così”
Incontro tra artigiani della musica in un brano che trasuda di quel romanticismo antico che diventa quasi impegno politico. Una canzone veramente splendida in cui Barbarossa addomestica l’esuberanza degli EXTRALISCIO per sfruttare le potenzialità della loro visione folk della musica.
Random feat. VillaBanks – “Estranei”
Svolta pop per Random, che se nelle strofe ci prova ancora con il rap, nel ritornello insegue affannosamente lo stile Velvet (quelli di “Boyband”, non gli Underground, così, giusto per specificare); ma altro non è che un nuovo modo di farci chiedere come mai questo ragazzo, così evidentemente impreparato, abbia successo. In questo dimenticabilissimo brano coinvolge VillaBanks, che sarebbe anche uno bravo, ma viene inghiottito da questo imbuto di perplessità.
Alessandro Fiori – “Mi sono perso nel bosco”
La musica italiana ha bisogno degli Alessandro Fiori, di chi mantiene viva una visione totalmente poetica della vita, una sorta di caleidoscopio per decifrare la bellezza che ci circonda attraverso una canzone. Niente che non sia già stato fatto prima, dai grandi del nostro cantautorato, e che ora è diventata regolarmente un’eccezione. Eppure queste piccole fiammelle di speranza ancora bruciano da qualche parte, non esistono tanti Alessandro Fiori, ok, ma ne esiste uno e scrive delle canzoni meravigliose. “Mi sono perso nel bosco” è una passeggiata tra le sue più intime sensazioni, leggera ed intensa, complessa e totalmente accessibile; ci ricorda la piacevolezza dell’ascoltare un album dall’inizio alla fine, sfogliarlo come il romanzo del cuore, segnarsi le frasi che qui e là si liberano dalle righe del pentagramma e ci danno un ceffone forte e amorevole. “Io e te”, “Amami meglio”, “Buonanotte amore”, “Una sera”, non sono solo canzoni ma vere e proprie liturgie d’amore, celebrazioni che non hanno bisogno di fuochi d’artificio per esploderci dentro. Canzoni che fanno uscire il sole. Non esistono tanti Alessandro Fiori, ma ne esiste uno e ci conviene tenercelo stretto, perché la musica sta andando da tutt’altra parte. E non è un bel posto.
Meg – “Non ti nascondere”
Una delle più belle voci femminili della scena italiana torna finalmente e con un brano che inneggia alla nostra unicità. Effettivamente si tratta di una canzone che per essere efficace serve sia cantata da una voce che sia unica, trasformando così parole e musica in una metafora convincente; e chi meglio di Meg? Così ipnotica, così sensuale, così travolgente. Bentornata. Mancavi e assai.
Il Tre – “Guess Who’s Back”
Un esercizio di stile perfettamente architettato e, ammettiamolo, anche piuttosto sorprendente. Il Tre accelera, “Guess Who’s Back” non è un pezzo per ragazzini, anzi, è complicato, serve attenzione, orecchio, cuore, per stargli dietro. Di lui avevamo sempre apprezzato la scrittura distante dai soliti noiosissimi cliché, oggi ci sentiamo liberi di andare oltre e dire con la massima serenità che il suo lavoro lo sa fare e questa è la strada giusta.