AGI - Settimana fabrifibracentrica, in pochi se la sentono di andare contro un’uscita così tanto attesa, e fanno bene perché il disco è meraviglioso. Enrico Ruggeri naturalmente ha uno status per cui certi meccanismi discografici non lo riguardano e il suo “La rivoluzione” è un bellissimo album da vero artigiano della musica. Fuori anche un nuovo singolo di Margherita Vicario, pop pronto ad esplodere nei live, che conferma come la collaborazione con Dade ha dato la giusta scossa al suo talento.
In zona rap ottimo il duetto tra Dani Faiv e Nayt, male male Boro Boro, gradevole invece l’idea di Mr. Rain, questo pop quasi sporcato dal rap va bene, ma serve andare in fondo alla questione. Stupendi i brani di Giaime ed En?gma, magnifico il disco di Generic Animal, bravi gli ex X-Factor Melancholia e VERSAILLES.
Chicca della settimana: Varisco con la sua “Settimana”. A voi tutte le recensioni alle uscite di questa settimana.
Fabri Fibra – “Caos”
Fabri Fibra è il rap, la concezione forse più generica e popolare del rap, un’icona, un simbolo, la sensazione che ci sia un genere ancora in trincea, con entrambi i piedi dentro la rivoluzione, anche se poi la rivoluzione non arriva mai. Chiaro dunque che l’uscita di “Caos” rappresenta un evento, perché se Fabri Fibra non ha il microfono in mano la stragrande maggioranza del rap che ascoltiamo ci risulta non solo derivativo da mille altre cose, ma anche abbastanza relativo rispetto mille altre cose. Fibra invece è una meravigliosa vacanza in un luogo in cui siamo già stati e di cui ci siamo perdutamente innamorati; quella distorta disperazione nel rappare, il rapporto articolato, amaro, con il proprio personaggio, con il proprio successo, con la propria storia. Tant’è che parte proprio da un “Intro” in cui ripercorre la propria carriera con quel solito auto sarcasmo pungente, a partire dalle note de “Il cielo in una stanza”, brano che Gino Paoli, notoriamente, ha scritto alla fine di un tête-à-tête con una prostituta.
“Caos” rappresenta una discesa negli inferi di un’anima tormentata dal pensiero, dalla riflessione, in un mondo che va solitamente troppo veloce ma che lui non perde mai di vista; infatti la specialità della casa è più che altro quella di farsi perdere di vista, non lasciare tracce, se non nei dischi degli altri, per poi tornare a fare il guardiano del faro e poi, al momento giusto, taaac, tirare le somme e stordirci. Così come ha fatto con questo suo “Caos”, che più che un disco è un vortice di pensieri e parole, che parte con entrambi i piedi dentro al rap game, Fibra è tornato, mostra i muscoli, in poche barre non sconfigge, letteralmente demolisce, rade al suolo a destra e a manca; stupende in questa fase “Good Fellas”, accompagnato da Rose Villain, “Sulla giostra” in featuring con Neffa e “Stelle” dove troviamo il cantato di Maurizio Carucci degli Ex-Otago.
L’ascolto prosegue con “Propaganda”, la hit del disco, accompagnato dalla premiata ditta Colapesce e Dimartino, storia di un elettore deluso ma, più in generale, una presa in giro alla nostra insana umanità e il ritorno, trionfale, tanto atteso, del rap, alle tematiche sociali, impegnate, reali, tangibili, la feroce critica a quell’entità astratta che orbita sopra le nostre teste e, invisibile, tutto comanda.
Le tre perle dell’album a nostro parere però sono “Cocaine” (feat. Guè e Salmo), “Noia” (feat Marracash) e “Nessuno”; sono i brani più cupi di tutto il disco, rappresentano il punto di arrivo di questo viaggio, l’anello di congiunzione non solo con un approccio al genere più maturo, per questo in grado di contenere anche i pensieri di tre colleghi che non sono esattamente arrivati un quarto d’ora fa, ma anche l’imprescindibile confronto con il cantautorato impegnato, le grosse citazioni, e se stessi, infine, con spietatezza. Non è un caso se nell’outro finale dunque Fibra ringrazi tutti quanti ma in particolare se stesso, perché dentro questo “Caos” c’è lui e tutta la sua incapacità di farsi scivolare addosso il mondo.
Enrico Ruggeri – “La rivoluzione”
Un disco che riesce a coniugare il mestiere e la visione di uno dei più illuminati cantautori della sua generazione. Enrico Ruggeri torna con un nuovo disco, pieno di domande, un’analisi attenta, strutturata, musicalmente intellettuale, del mondo che ci circonda, attraverso gli occhi del Ruggeri uomo, certo, ma anche attraverso la sua visione di artista, protagonista della scena italiana da oltre 40 anni. Può sembrare un disco cupo, nostalgico, ma sono sensazioni che vengono fuori di conseguenza ad una visuale del mondo di oggi che è particolarmente sconfortante. Si tratta di un album da ascoltare dalla prima all’ultima nota, un viaggio poetico in un luogo che di poetico ha sempre meno, con l’impegno tipico di quella generazione di artisti per cui non esisteva, salvo rare e molto discusse eccezioni, l’idea di non intervenire con la propria musica nel dibattito pubblico. Se la musica, ad oggi, ha perso quella potenza, questo non vale per la musica di Ruggeri, una delle migliori penne della nostra storia.
Margherita Vicario – “Astronauti”
Un brano fresco e funzionante, come tutta l’ultima produzione della Vicario, che si conferma tra le più interessanti nuove voci femminili della nostra musica. L’invito alla prospettiva alternativa è talmente utile da risultare perfino salvifico, necessario, anche per scrollarsi via di dosso la melma che resta quando ci ficchiamo nei casini delle nostre vite troppo da vicino, con entrambi i piedi. Poi basta fare qualche passo indietro e tutto torna leggero, come una produzione di Dade, che è l’asso nella manica di quest’ultima fase della carriera della bravissima Margherita Vicario.
Dani Faiv feat. Nayt – “Facce vere”
Un brano che non solo tratta ma proprio orbita attorno a quell’energia che si scatena tra due persone quando ci si capisce al volo solo guardandosi. Quando il nostro sguardo resta nudo davanti a quello di un amico, in questo caso i protagonisti sono due dei migliori rapper in assoluto della scena italiana, due che, declinando Joe Squillo e Sabrina Salerno, oltre le barre c’è di più.
Mr. Rain – “Fragile”
L’idea di musica di Mr. Rain non è affatto male, questa melodia da macchiare con qualche barra è il futuro del pop all’italiana, che forse mai più potrà fare a meno di sonorità urban, anche vagamente urban. C’è anche un discreto orecchio nella concezione dei brani, suonano tutti abbastanza bene, forse un po' piatti, un po' monocorde, ma bene. Il problema forse sono i testi, se si pensa ad un disco che scava nell’intimità, poi bisogna andare a fondo con una certa poesia, perché il concetto, ciò che vuoi dire, diventa il punto focale, se quello risulta debole poi tutto risulta debole. Ecco, è un disco confezionato con una certa destrezza, ci sono piaciute “Fragile”, “Sincero” e “Nero”, ma è debole, dimenticabile.
Boro Boro – “Nena 2”
Rap ballad dagli intenti disperati, ed è una cosa che viene fuori, ma dalla realizzazione troppo comune in termini di sound e troppo banale in termini di testo. Nei panni della ragazza penseremmo che lasciare Boro Boro in fondo è stata una buona idea.
Generic Animal – “Benevolent”
Generic Animal è un cantautore meravigliosamente complesso e “Benevolent” è un disco meravigliosamente complesso. I dischi così servono, rappresentano oasi di cultura in un deserto che si è mangiato praticamente ogni cosa, in questo contesto “Benevolent” non è solo meravigliosamente complesso ma anche particolarmente eroico. La voce rincorre la musica, le parole cascano sul tavolo solo apparentemente confuse, poi vengono mixate su melodie astrofisiche, astrologiche, illuminate, e poi ti entrano nelle orecchie rovesciando la stanza, la città, il mondo. Certo bisogna arrivarci, non si tratta di certo di acqua fresca in una torrida giornata di agosto, no, sono brani da degustare, da capire, da percepire, con i quali entrare in contatto in maniera definita, istintiva, quasi animale; loro guidano e tu devi starci se vuoi accettare la sfida, altrimenti non è roba per te, tranquillo, vatti a cercare un reggaeton e vedrai che tornerai a sentirti al sicuro.
I Botanici – “Cose superflue”
Un omaggio alla nostra piccolezza o forse a quella grandezza che così piccoli ci fa sentire. O un ceffone alla nostra umanità, che non può andare oltre se stessa o un dito medio verso il mondo, verso il cielo, verso quel meccanismo che continua a procedere, trascinandoti dove spesso non vuoi, e contro cui niente è possibile fare. Tutto questo insomma, o il suo contrario, in un singolo davvero ben scritto, davvero ben confezionato.
Francesco De Leo – “Swarovski”
Francesco De Leo torna ad aprirci una finestra sul suo personalissimo mondo ed è una gran bel posto; dentro “Swarovski” tutto è rallentato e rarefatto, l’aria diventa sottile e leggera, tutto assume semplicità, in pratica è la traduzione musicale di un acido.
Melancholia – “Hypnos”
Una bomba di pezzo, i Melancholia si confermano quelli che abbiamo apprezzato ad X-Factor, anche nel mondo reale portano avanti il loro coraggioso progetto (perché l’Italia resta paesello di canzonette, certi sound più complessi vengono scansati come la peste) con la qualità della quale sono capaci. “Hypnos” è tech e malinconica, fa ballare e commuovere, fa vibrare e alzare le braccia al cielo, per arrendersi ad una potenza di fuoco spettacolare. Bravissimi.
Giuse The Lizia feat. Laila Al Habash – “Particelle”
Il tocco di chitarra in levare fa correre il brano in scioltezza, leggero e veloce; la voce di Giuse The Lizia (specie quando azzecca le vocali, ma è una moderna patologia che ha colpito molti giovini musici) si incastra perfettamente con quella della bravissima Laila Al Habash, una delle più interessanti voci femminili del new pop italiano. Insieme raccontano dello squilibrio che si prova alla fine di una storia, ma è tutto talmente leggero e divertente che alla fine il brano risulta addirittura confortante.
Management feat. Fumettibrutti – “Pornobisogno”
“Pornobisogno” è una canzone chiave nella storia del recente cantautorato, non solo perché legata all’indimenticabile esibizione al Concertone del Primo Maggio (per chi c’era dal vivo, chiaro, perché la RAI, sconcertata dall’esibizione sul palco di un preservativo, interruppe bruscamente la diretta con una pubblicità), ma anche perché i Management legano in armonia il vecchio circuito indie al nuovo, che è stato fatto fuori nel giro di un paio di stagioni, ma questa è un’altra storia. “Pornobisogno” lega due mondi, due generazioni e lo fa con divertimento e provocazione, caratteristiche sempre più assenti all’appello. Dieci anni dopo la pubblicazione, il brano viene rispolverato insieme a Fumettibrutti e con la produzione di VillaBoloS ed è ancora efficace ed eccitante e garbatamente punk come anche noi vorremmo essere tra dieci anni.
Pianista Indie – “Non fare il Cremlino”
Il dibattito pubblico, specie quello social, appiattisce tutto, perfino il concetto di pace, in un momento in cui tutti ce ne riempiamo la bocca (o, più che altro, la tastiera) con lo stesso intento idiota e superficiale di quando commentiamo le convocazioni di Mancini per la nazionale e quelle di Amadeus per Sanremo. In un clima così controverso, scrivere una canzone sul momento che stiamo vivendo senza negarsi anche una sottotraccia ironica, a partire dal titolo, assolutamente geniale, è azzardato. Ma Pianista Indie compone canzoni stupende, il suo stile nel tempo si è fatto talmente solido da poter affrontare di petto qualsiasi situazione; specie quando, come in questo caso, la sua ballad risulta tanto bella quanto commovente. Di sicuro tra le cose più intelligenti mai sentite su questo assurdo conflitto.
Giaime feat. Pablo CT1 – “Come se nulla fosse”
Un rap ricco di suoni, colmo di interpretazioni, diretto e realistico, diretto e articolato, diretto e giocoso. Diretto allo stomaco. Ci sta, anche quando suona come un esercizio di stile, che mica c’è niente di male ad allenarlo un po' questo stile. Bene.
En?gma feat. Kaizén e Macaboro – “Orizzonte arancio”
Una ballad urban sul tempo che passa, sempre troppo velocemente, una malinconia comune a molti e ben tradotta in musica, interpretata con rabbiosa voglia di mettere un guinzaglio alle ore che scorrono lente eppure sempre troppo veloci. Ed è una rabbia coinvolgente, cominci ad allargare le braccia, a tenere muri e persone con gli occhi, che nessuno si azzardi a fare un passo in più, ci mettiamo d’accordo, da oggi in poi non invecchia più nessuno, da oggi in poi ci teniamo gli anni raccolti finora. Ma è un’illusione, è chiaro. Gran pezzo.
Serena Brancale feat. Ghemon – “Pessime intenzioni”
Divertente dancehall afroamericana anni ’70 all’italiana, proprio uno spasso di brano, ti fa allargare le gambe dei pantaloni a zampa di cavallo, fa sorgere pettinature degne di uno spacciatore di “Starsky e Hutch” anche su quelle teste dove regna il deserto, tutto diventa colorato, psichedelico, eppure tenero, perché si tratta comunque di un duetto, dentro il quale la Brancale e Ghemon non è che si incastrano ma proprio se la godono, ci sguazzano, si rotolano. Ottimo lavoro.
VERSAILLES – “Lisa dagli occhi blu Ray”
Un incrocio d’occhi che fanno scopa con la stessa inquietudine, lo stesso inspiegabile e tormentante mal di vivere; e quegli occhi sono di Lisa, quella dagli occhi blu, che senza le trecce la stessa non è più, per intenderci. Proprio quella. VERSAILLES a X-Factor si è fatto notare per la sua interessante idea di musica, ma l’esperienza non è stata ricca di fuochi d’artificio, questa “Lisa dagli occhi blu Ray” eravamo pronti a sbranarcela concettualmente, e invece è proprio una figata di pezzo, è contemporaneo e si fa ascoltare con estrema disinvoltura.
Bais – “Trovami una cura”
Ballad coinvolgente, atmosferica, che prende nonostante il migliaio di canzoni già ascoltate sulla stessa tematica, affrontate con lo stesso mood. La verità è che non esistono argomenti usurati, che il mettersi davanti allo specchio, a confronto con la propria unicità, seguire con il dito quel percorso che ci ha resi quello che siamo, è sempre originale, fa sempre attualità. Certo, la questione diventa interessante quando il brano è ben fatto e questo “Trovami una cura” è certamente ben fatto.
Varisco – “Settimana”
Disco semplicemente eccezionale, Varisco è una delle più belle sorprese tra gli ascolti degli ultimi mesi. Il suo disco d’esordio è un viaggio di una settimana tra una serie di ricordi ben incorniciati, già evidentemente metabolizzati, raccontati con lucidità. Se si comincia da “Responsabilità (lunedì)” poi ci si ritrova inchiodati fino a “Mezzanotte (domenica notte)”, non c’è scampo; nel mezzo un’intera vita a metà strada tra cantautorato e decisi accenni di R&B. Otto brani, tutti molto molto belli, tutti interpretati con carattere e stile, con una sbiascicante verve che ti tira dentro, che ti fa affezionare ad ogni verso. Categoria: imperdibile.
Barbato – “Domenica”
Uno sguardo malinconico che tenta di arrampicarsi sulle parole per darsi forza e colorare una giornata grigia. Pop dalle atmosfere un po' blues, quell’affascinante crogiolarsi nelle proprie paturnie, come scrive Palanhiuk in “Fight Club”: “Il taglietto sul palato che si rimarginerebbe se non ci passassi continuamente con la lingua. Ma non puoi”. Ottimo pezzo.
Giovani Telegrafisti – “Odore”
I Giovani Telegrafisti mettono ancora una volta il loro folk moderno al servizio di una storia dai sapori antichi. La storia di un amore disperato, schietto, cafone, ma carico di quella potenza che forse supera tutto, ma non l’odore di vita vissuta. La band messinese allora crea un equivoco distopico, decide di tradurre in musica la poesia di chi ama senza essere ricambiato e senza avere le parole per esprimere sentimenti troppo profondi da contenere, provocando qualche sorriso, è chiaro, ma anche dimostrando, ancora al terzo singolo, di essere degli ottimi narratori, di scrivere testi solidi, di non rifarsi a niente che sia già distribuito in Italia. È chiaro, ancora il passaggio allo special suona vagamente forzato e ancora nel complesso i pezzi puzzano di sala prove, ma c’è sostanza, c’è luce, ci sono idee. Bravissimi.