AGI - La 72esima edizione del Festival della Canzone Italiana di Sanremo si apre con un applauso da parte del pubblico di un teatro Ariston gremito, sono tutti potenziali Presidenti della Repubblica scartati dai partiti. E a proposito di Presidenti della Repubblica, appare in gran forma Fiorello in versione Mattarella, ovvero uno che ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Lui sulla cosa ci scherza su con il solito garbo nazional popolare, lo troviamo particolarmente in forma il che fa ben sperare per uno show che potrebbe perfino risultare gradevole. Ornella Muti si aggira sul palco come John Travolta in versione Vincent Vega in “Pulp Fiction”, decisamente spaesata. Berrettini entra giusto il tempo di farci sentire in colpa per quel tiramisù dopo la pizza; ti guardi la panza e cerchi di ricordarti in che punto la tua vita è andata storta. Sentitamente ringraziamo. Ospiti della serata anche Colapesce e Dimartino, in diretta dalla nave dove hanno isolato Orietta Berti, vestita come Michel Serrault ne “Il vizietto”, non si capisce bene per quale motivo; cantano “Musica leggerissima”, perché un po' di buona musica alle volte passa anche da Sanremo.
Passa da lì anche Claudio Gioè per fare un po' di promozione ad una fiction della quale abbiamo già dimenticato il titolo ma che, tranquilli, vostra madre vi racconterà per filo e per segno domenica a pranzo. Esibizione all’Ariston anche per i Meduza, trio di dj italiani che dal 2019 fanno il doppio dei numeri dei Maneskin nel mondo ma che nessuno si calcola; come al solito, stiamo sul pezzo. La scena con le signorotte impellicciate che ballano all’Ariston in piedi sul medley dei successi dei Meduza battendo le mani fuori tempo è un tristissimo misto tra una scena tagliata de “La grande bellezza” e il saggio di danza dei propri genitori.
Altro momento promozione, si tratta della tredicesima stagione di “Don Matteo”, ci sono guerre che sono durate il doppio mietendo la metà delle vittime; l’inizio della gag con Raoul Bova superata la mezzanotte è un chiaro invito a passare su Netflix, poi per fortuna entra Nino Frassica, che lavora in RAI dal 1987 e da quelle parti è ancora quello più avanti di tutti.
Pubblico in piedi sul finale per il tributo a Franco Battiato, fare ascoltare “La cura” colpisce al cuore pensando che domani saliranno sul palco Emma, Aka 7even e Highnob. All’una meno un quarto del mattino quello che ci vuole è un bell’intervento del sindaco Alberto Biancheri di Sanremo, nell’ambient della serata corrisponde alla spia che ti dice che stai proprio entrando in riserva.
I voti della sala stampa ci danno una classifica parziale che vede in prima posizione Mahmood e BLANCO, in seconda La Rappresentante di Lista e sul gradino più basso del podio Dargen D’Amico; noi ci troviamo d’accordo, per quanto riguarda le altre posizioni avremmo piazzato più alti Yuman (penultimo è improponibile), Achille Lauro e Giusy Ferreri, più bassi Massimo Ranieri e Michele Bravi, ma i pezzi migliori cominciano col piede giusto e questa è già una gran bella notizia.
Achille Lauro – “Domenica” – Voto 6,5: Lauro, accompagnato dall’Harlem Gospel Choir, coro noto nel sottobosco musicale americano come “Neri per Caso”, si rigioca l’effetto “Rolls Royce” ma poco importa, non è che abbia altre grosse pallottole in canna. Detto ciò il pezzo funziona, come “Rolls Royce”, forse anche meglio, il pezzo rischia perfino di avere un senso logico, se non fosse per una serie inspiegabile di urletti del tipo “Oh si!” cui funzione effettivamente ci sfugge. Entra in scena indossando solo un pantalone di pelle, tipo Jim Morrison, che però scandalizza meno di Orietta Berti; per tutta l’esibizione non fa che ammiccare, come se fosse un cantante intonato, preso evidentemente da una crisi mistica, in un turbine di egocentrismo patologico, alla fine del brano si battezza da solo.
Yuman – “Ora e qui” – Voto 6,5: La migliore voce di questo festivàl presenta un pezzo scritto benissimo, dal sapore internazionale, che probabilmente migliorerà col passare degli ascolti. Lui lo canta con emozione, con trasporto, credendo in ciò che dice, dimostrando che non è ancora tramontata l’era del bel canto, ma che si può declinare anche al presente, con eleganza e mestiere.
Noemi – “Ti amo non lo so dire” – Voto 6,5: Ottimo brano, forse l’orchestra lo rende un po' slegato tra strofa e ritornello, ma poi aiuta nell’esplosione. Noemi lo canta al meglio, forse non è il classico brano che resta ma resta senz’altro che si tratta di un ottimo brano.
Gianni Morandi – “Apri tutte le porte” – Voto 7: Morandi entra in scena e la platea gli tributa un lungo applauso, poi capiscono che non è Mattarella e la smettono. Brano discretamente ruffiano, dentro ci si trova un po' di tutto come nel Pasqualone; lo ha scritto Jovanotti e suona bene, ma soprattutto per le corde di Morandi, non è pensato per le radio, non come “L’allegria” insomma, il tentativo di hit estiva, primo incontro artistico tra il ragazzo di Monghidoro e il ragazzo fortunato, fallito in quanto decisamente forzato. È un buon pezzo che se ti capita di risentirlo domani per sbaglio la cosa non ti secca; se la nostra ripartenza ha bisogno di una canzone, questa sarebbe perfetta.
La Rappresentante di Lista - “Ciao ciao” – Voto 8,5: Non serve necessariamente rinunciare a qualcosa in termini di qualità per risultare immediatamente accessibili. Con “Ciao Ciao” i ragazzi de La Rappresentante di Lista sbancano il Festival, chiudete tutto, mandate a casa dirigenti mascherati, pubblico tamponato, Fiorello, Zalone, la Berti sulla nave e il sosia di Pavarotti (chissà se c’è e cosa fa tutto il resto dell’anno). È un pezzo che tira schiaffi, il giro di basso iniziale ti trascina dentro come sabbie mobili, loro sul palco si muovono con una sicurezza da grandi star, senza strafare, senza sprecare una smorfia, senza sprecare una nota, una parola. Bravissimi.
Michele Bravi - “Inverno dei fiori” – Voto 6: Pettinato “a schiaffo” come Pina Fantozzi per far colpo sul butterato Diego Abatantuono, famigerato figlio del panettiere in “Fantozzi contro tutti”; Michele Bravi porta un brano di una dolcezza infinita, che lui canta con tale trasporto che ti vien voglia di chiamare la mamma per dirle che le vuoi bene. L’intensità dell’interpretazione di Michele Bravi è direttamente proporzionale al senso di colpa che ti sale ascoltandolo cantare; cioè, più lui canta e più tu ti senti una brutta persona.
Massimo Ranieri - “Lettera di là dal mare” – Voto 6,5: Solo per la forza di presentarsi a Sanremo 54 anni dopo la prima volta, merita una statua, altro che un voto. Il pezzo è quello che ci si aspetta da lui e lui lo canta con il mestiere che tutti gli riconosciamo. Certo, non è “Perdere l’amore”, ma “Perdere l’amore” è una canzone che capita una volta nella vita, casca proprio giù dal cielo.
Mahmood e BLANCO – “Brividi” – Voto 8,5: Un bellissimo brano, in faccia a tutti quelli che si aspettavano che i due si presentassero con la presunzione di portare il loro mondo a Sanremo. Invece si propongono un brano umile, dentro il contesto quanto quello di Massimo Ranieri, che ha cantato prima di loro. Un bellissimo brano in faccia a tutti quei boomer là fuori, che rimpiangono Al Bano e borbottano “chi è ‘sto BLANCO??”, be è uno che a 17 anni ha contribuito ad una rivoluzione pop che resterà nel tempo, una “wave” che è partita proprio quando “quell’altro” ha vinto il Festival con “Soldi”, trascinandolo forzatamente, nonostante le veementi e sofferte proteste, in un tempo vagamente presente. Sono dati per favoriti e i favoriti non vincono mai, il pezzo non è trascinante, è da ascoltare e godere. Concludere la serata in testa, anche se provvisoriamente, è già un gran risultato.
Ana Mena – “Duecentomila volte” – Voto 3: Brano imbarazzante, vorremmo che vincesse solo per poter smontare tutte le attese di questi mesi riguardo l’Eurovision Song Contest, tante discussioni e poi gli mandiamo una spagnola con un tormentone estivo. Sbam.
Rkomi – “Insuperabile” – Voto 6: Entra indossando una maschera, come se uno sintonizzato su RaiUno lo conoscesse e potesse fargli una sorpresa, infatti poi la molla sulle scale. Eppure ha fatto il disco più ascoltato del 2021, ma non basta per competere a Sanremo, che punto focale del mercato senza avere idea di cosa si vende in quel mercato. Comunque da Rkomi ci si aspettava qualcosa in più, “Insuperabile” suona bene ma manca di guizzi, nel testo non ci sono frasi iconiche alle quali il pubblico può aggrapparsi per ricordarsi del pezzo domani e votarlo sabato.
Dargen D’Amico – “Dove si balla” – Voto 6,5: Divertissement in salsa dance anni ’90. Dargen D’Amico porta in scena un brano che sbrilluccica di falso ottimismo, raccoglie l’eredità della “Locura” di Willie Peyote, “Un paese di canzonette mentre fuori c’è la morte”, e tu che fai? Ti disperi? Non è nel tuo stile. Ci pensi su? È troppo nel tuo stile. Ti impegni per risolvere la questione? “Fottitene e balla”, ha ragione Dargen D’Amico, nonostante non sia la cosa migliore partorita da un geniaccio come lui.
Giusy Ferreri – “Miele” – Voto 6: Il brano perfetto per Arisa cantato da Giusy Ferreri, classica voce graffiata e il carisma del cassetto dei calzini. Scherzi a parte, niente male, è forse il pezzo che meglio si integra nelle partiture orchestrali, lei non lo canta benissimo, non riesce proprio a farlo brillare. E, chi l’avrebbe mai detto, è un peccato.