AGI - Nonostante l’avvento del Festival di Sanremo, a gennaio l’industria discografica italiana sbuffa nuove uscite, anche importanti. Queste sono tutte quelle delle prime due settimane del 2022. Jovanotti regala un pezzo alla serie di Muccino, Samuel racconta la sua eccitante Torino “Elettronica” degli anni ’90; ma in vetta a tutte le classifiche specializzate c’è il producer Sick Luke, giovane padre della trap all’italiana, che svolta felicemente verso il pop e sbanca. Bello il duetto tra la Nannini e Rosa Chemical, Mara Sattei esce finalmente con il suo meraviglioso “Universo”, mentre Brunori SaS ci regala un EP acustico e Bianconi intellettualizza il tormentone di Baby K. Magnifici i dischi di Ditonellapiaga e Murubutu, Johann Sebastian Punk sforna un altro bellissimo singolo e applaudiamo con gioia al felice ritorno di Anastasio. Chicca della settimana: Luv!
Jovanotti feat. Paolo Buonvino – “A casa tutti bene”: è chiaro che la maturità a Jovanotti ha fatto bene, non solo in termini di contenuti ma anche di gusti, di palato, che si fa sempre più fine, sempre più ricercato; specie quando viene specificatamente mirato in una direzione, in questo caso la serie di Muccino “A casa tutti bene”, e supportato da Paolo Buonvino, che è uno di quelli che riesce come pochi a tradurre in musica le immagini. Ci piacerebbe riferirvi quanto sia funzionale o meno il pezzo rispetto alla serie ma resistiamo stoicamente nella nostra scelta sociomisticopoliticoculturale di non guardare più film di Muccino. Dovessimo cedere vi faremo sapere. Ma anche no.
Samuel – “Elettronica”: Il beat in cassa dritta per raccontare un romanticismo sempre disperato ma mai affannoso, una nostalgia autentica per la Torino che fu, quella che chi si è perso non sa cosa si è perso. È evidente che Samuel sa di cosa scrive, per questo è così bravo (bravissimo in questo caso) a farci fare un giro per i suoi Murazzi anni ’90, a riportarci in quell’atmosfera dal sound elettronico, quando il sound elettronico non era roba da ragazzini tatuati in faccia, ma da veri sperimentatori, avventurieri del suono che esploravano dietro ogni singolo orizzonte culturalmente riconosciuto. Si tratta di un pezzone di un artista che sta attraversando un periodo di grazia, pur non accompagnato dai suoi Subsonica, che di quella suddetta stagione torinese non sono solo protagonisti ma anche risultato.
Sick Luke – “X2”: Se uno dei padri della trap italiana produce questo disco allora probabilmente serve un ragionamento più approfondito su quello che ne è rimasto di quella trap italiana, quella dura e pura, quella che ha imposto una determinata cultura, quella cui contenuti non andavano mai oltre uno stucchevole machismo plastificato. L’orecchio con il quale Sick Luke opera non è mai stato messo in discussione, alla sua età portare in Italia un suono e trasformare quel suono da forma di ascolto a forma di pensiero letteralmente virale, è da fenomeni veri, anche se in quella forma di pensiero, fisiologicamente, superati i 15/16 anni, se ti ci riconosci, hai delle serie lacune socioculturali.
Allora cosa succede se lo stesso che ha contribuito in maniera attiva a certe indiscutibili porcherie come, per dire, tutta la produzione della Dark Polo Gang, decide di alzare l’asticella e confrontarsi con una musica più alta? Che cerca di raccontare qualcosa in più, che si distacca da quei vuoti cliché? Succede che ne viene fuori un disco formidabile, ricco di spunti, un concept album che racconta di una vita in bilico tra il giorno e la notte, un disco manifesto di un movimento che, fagocitato dal pop, come capita regolarmente a tutte le nuove wave, è costretto a fare dei passi in avanti, a dire qualcosa di reale, tangibile, onesto.
E “X2” è pregno di pezzi di questo livello, brani in cui il ragazzo gioca con il sound in maniera folle e lucida allo stesso tempo, che dribbla ogni possibile concezione di genere, trasformando quel movimento culturale scoordinato al quale piaceva (piace ancora in molti casi) riflettersi in uno specchio fasullo in cui si vede più bello e profondo di quello che è, in qualcosa che ha un senso artistico ben preciso e rappresenta il futuro molto più e meglio di chi per “fare” futuro pretende di prendere il passato e appiccicarlo in faccia al primo ragazzetto senza cognome venuto fuori da un talent, senza che dietro ci sia uno straccio di idea artistica ben definita. Sick Luke propone arte e lo fa con la spensieratezza di chi non saprebbe fare altrimenti, tutto ciò si evince chiaramente dall’ascolto di “X2” e dal modo, chirurgicamente perfetto, in cui come producer utilizza gli artisti per raccontare qualcosa.
CanovA feat. Gianna Nannini e Rosa Chemical – “Benedetto l’inferno”: Un gioco perverso e intrigante, la Nannini posseduta da un diavolo, Rosa Chemical, che però davanti si ritrova la Nannini, che mica è così facile da dominare. Così su queste note si gioca una sorta di divertente partita a scacchi, musicalmente anche generazionale, in cui due voci e due stili così diversi si ritrovano incastrati perfettamente nel “malefico” piano di CanovA, che è un producer con un quadro in soffitta che invecchia al posto suo.
Mara Sattei – “Universo”: Cantare bene non è una cosa dell’altro mondo, quasi tutti noi abbiamo un’amica che “non sai come canta, devi sentirla”, fondamentalmente è un dono, che puoi avere o meno, curare o meno, poi trasformarla in una forma d’arte, di espressione, in uno strumento per comunicare qualcosa, è tutta un’altra storia. Saremmo infatti estremamente ingenerosi se pensassimo a Mara Sattei semplicemente come ad una brava cantante, perché la vera particolarità di questa ragazza, salvata dall’abisso post talent da una nuova “wave” (capitanata dal fratellino Tha Supreme) che aveva bisogno del suo taglio di voce, è proprio la sua unicità. L’uscita di “Universo” va segnata sul calendario, perché ci consegna ufficialmente (finalmente!) una delle più intriganti interpreti italiane, certamente la più moderna. Si sente che il disco è frutto di un lavoro a lungo ottimamente congeniato e non presenta alcuna falla, alcun buco, non una nota fuori posto, anzi, illustrandoci con commovente maestria quali sono le possibilità offerte da questo new pop, così altamente tecnologico, così spudoratamente ribelle rispetto a quei canoni che avevano fatto la muffa nella nostra discografia; eppure così ugualmente sentimentale, romantico, di valore.
Brunori SaS – “Cheap!”: Un divertissement tutto da gustare, volutamente acustico, quasi improvvisato ma, come sempre, utile. Questo perché in pochi riescono ad essere regolarmente così schietti come Brunori, che di questa schiettezza da bar, quasi provinciale, e sia inteso come il complimento di un provinciale, ha fatto la propria matrice. Ci si fida del buon Brunori SaS, perché l’impressione è che nei suoi pezzi prenda sempre una precisa posizione, anche contro se stesso, e che quella posizione non sia mai presa per piaggeria, ma semplicemente perché quella giusta. Roba da considerarlo per il Quirinale.
The Zen Circus feat. Claudio Santamaria – “118”: Una di quelle cose che non sai esattamente perché capitano ma sei felice che siano capitate. Ritroviamo gli Zen particolarmente rockeggianti, e Santamaria, non estraneo ad un certo ambient musicale, che contribuisce ad esaltare la penna sempre illuminata di Appino & Co.
Francesco Bianconi feat. Baby K – “Playa”: Questo progetto nasce per scherzo tra Bianconi e Angelo Trabace, pianista che sfodera l’oro dalle dita quando si siede dinanzi al proprio strumento. E quando quei due si mettono insieme, spremerebbero poesia anche dal verbale di un consiglio comunale della bassa bergamasca. Per quanto ci riguarda “Playa” resta l’improponibile tormentone estivo che è, ma è innegabile che dopo la cura Bianconi anche noi effettivamente restiamo ammaliati come serpenti ridestati da una cesta.
Noyz Narcos – “Virus”: Noyz Narcos è l’anello di congiunzione tra old e new school rap, per questo non sarà un disco che entusiasmerà quei ragazzetti assetati di barre in cassa dritta e spiccioli di pensieri. Anzi, al contrario, “Virus” è un discone denso di contenuti e che dentro questi contenuti tira dentro, nel solito affannoso e ormai inevitabile valzer di featuring, anche chi di contenuti solitamente è piuttosto poverello, e pensiamo a gente come Sfera Ebbasta, Guè o Capo Plaza. Ma quando poi si fa sul serio, ci viene in mente subito “Money Bagz” insieme a quel fenomeno di Speranza, ma anche “Foot Locker” con Geolier, la storia fa un’impennata da far cascare la mascella al più truzzo di periferia. Noyz Narcos è un rapper necessario, che senza rinunciare ad una cura per il suono maniacale, affidata all’ottimo Night Skinny, ci tiene a mantenere il rap quell’arma di diffusione di libero pensiero, di narrazione di storie, spesso difficili, con la poesia che il buon Dio ha messo in bocca a pochi.
Ditonellapiaga – “Camouflage”: Moderna, incisiva, cool, Ditonellapiaga è certamente la migliore intuizione del terzo Amadeus direttore artistico di Sanremo. La sua voce è ipnotica, sensuale, ti fa vibrare qualcosa tra lo sterno e lo stomaco, viaggia in scioltezza tra il più erotico degli R&B e la cassa dritta che ti fa fare si con la testa, fino a brani che richiamano al cantautorato puro, classico, di contenuto. Nei brani si intravedono lampi di se stessa, ma allo stesso tempo disegna la condizione femminile come raramente sentiamo in Italia, con l’onestà di cantarne fragilità e onnipotenza, che poi è il mix che rende la donna, in assoluto, la più geniale invenzione del creato. “Camouflage” è un album in 3D, nel senso che ti avvolge e ti costringe quasi alla partecipazione, il semplice piacevole ascolto non è contemplato, va sparato ad alto volume, ballato davanti allo specchio per capire in che modo questa sua cura nell’interpretazione dei brani si riflette sul nostro corpo. Eccezionale.
gIANMARIA – “Fallirò”: Il ragazzo ha carattere, il disco è generazionale, nel senso che se trovate vostro figlio in cameretta che se lo ascolta, potete anche evitare di dargliele di santa ragione, anche se vi autorizziamo, da quel giorno in poi, a guardarlo con sospetto. Capiamo perfettamente il motivo per cui di quest’ultima edizione di X-Factor, non memorabile, bisogna dirlo, lui sia l’unico che si farà ricordare oltre il canonico quarto d’ora; perché comunque si scorge, anche se forse troppo vagamente, la volontà di dire qualcosa. Ma è anche un progetto che fa acqua da più parti, prima di tutto, dannazione, insegnate a questo ragazzo, se non a cantare, perlomeno a pronunciare bene le vocali, “Fallirò” potrebbe anche essere un buon pezzo ma all’ennesima volta che “me” diventa “ma” sanguinano le orecchie. E poi, soprattutto, c’è chi fa quello che fa lui ma lo fa molto meglio.
Tancredi – “Paranoie”: Impegnate meglio il vostro tempo, tipo affacciatevi dal balcone, guardate il soffitto, annusate i salumi dentro il frigo per vedere se sono andati a male. Cose così insomma.
Murubutu – “Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali”: Murubutu è una perla rara del nostro panorama musicale (non solo rap); la sua lirica diventa pura letteratura, classica, perfino distopica, fantascientifica, catastrofica. “Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali” è uno dei migliori dischi rap degli ultimi anni, è struggente nella narrazione, esaltante nella messa in atto musicale. Un concept album che andrebbe inserito nei manuali di scuola, forse il migliore dei modi che possa venire in mente per spiegare quali mondi immensi e meravigliosi può nascondere l’intellettualismo di una certa musica, di una certa poetica. È un lavoro che lascia il segno, che appassiona di pezzo in pezzo, di nota in nota, di citazione in citazione, e ce ne sono di link da aprire, da indagare. Si tratta di un album che ascolti e dopo che lo hai ascoltato ti senti più ricco.
Anastasio – “Assurdo”: Anastasio è un ottimo artista, ben oltre la narrazione forzatamente pop alla quale ha dovuto sottostare durante X-Factor. Anastasio è un intellettuale, perché, come tutti gli intellettuali, è incapace di lasciarsi in pace, di non dar retta a pensieri che ci appaiono quasi ossessionanti. Come in questa “Assurdo”, che suona come una confessione, la voglia, inutile prenderci in giro, impossibile, di volare più in alto un meccanismo che è inevitabile che trasformi l’arte in qualcosa di meno dell’arte. Un problema se poi, come si evince, a uno interessa l’arte e non la messa in vetrina di se stesso, dei propri muscoli, degli affari propri. In “Assurdo” Anastasio conferma la capacità di ponderare testi solidi, indissolubili, inattaccabili, carichi di una malinconia contagiosa e meravigliosa, quella nostalgia che ci distingue da quelle persone che sarebbe sbagliato essere. Eccellente.
Theø, Plant & Fiks – “Sto nella sad”: Quello di questi tre ragazzi è un disco fondamentale, per capire un’intera generazione, non solo musicale, che possiamo incorniciare, se proprio ci teniamo, in un sound emo-trap, che vive in un determinato modo la propria vita e le proprie emozioni. Ma che soprattutto poi usa la musica per manifestarle, anche se in maniera distorta, spesso scoordinata, sicuramente acerba, ma, diamine, estremamente onesta. Cosa ne sappiamo di loro? Di questa loro perenne “sad” che li accompagna, che loro cantano per esorcizzare e alla fine però in qualche modo celebrano; essendo quasi un marchio, un caleidoscopio attraverso il quale guardare ad ogni singolo spigolo di vita.
Una generazione di feriti, di acciaccati, che cantano, si, di amori e droga, ma solo come due riflessi ugualmente dolorosi dello stesso doloroso buio. È affascinante stare a sentire in che modo la musica possa rappresentare una valvola di sfogo, in che modo si pesta sulle corde di quelle chitarre e ci si racconta, in maniera così schietta, quasi elementare, con la profondità che fisiologicamente ti concede la tua meravigliosa immaturità. “Sto nella sad” piacerà ai figli ma andrebbe ascoltato dai genitori, da chiunque sia curioso di capire in che modo questo mondo distorto sia recepito da chi se lo ritroverà in mano; è la traduzione pressocché perfetta della confusione che ammorba la contemporanea adolescenza. La misura del dramma. Una mappa per perdersi e per ritrovarsi.
Nesli – “Confessione – story”: Un brano sentito, cantato con la volontà di farne venire fuori l’onestà. In questo senso, missione compiuta. Non è il suo migliore, non ha particolari spunti sotto nessun punto di vista; ma Nesli è uno con numeri, capace di disegnare mondi con una sensibilità che, specie nel rap, parrebbe farsi sempre più rara. A quanto pare questo è solo il primo passo verso un ritorno alla musica dopo un bel po' di tempo di silenzio, attendiamo ansiosi il resto di questa “story”, sperando, in tutta onestà, che i prossimi capitoli siano più accattivanti.
MOX – “Vita facile”: Finalmente un nuovo brano di MOX, cantautore dal talento vero, abile lettore di trame d’amore che, spiazzandoci, ci presenta un pezzo guascone, divertente come uno stornello romano moderno, in cui il cantato si impasta con una sorta di rap che ci ricorda un po' lo stile del miglior Daniele Silvestri. Il pezzo, in tutta la sua freschezza, simpatia, quell’esagerato buonumore capitolino, tipico di chi fa spallucce dinanzi alla qualsiasi, è tutto da ascoltare con le dita incrociate dietro la nuca, i piedi accovacciati su se stessi sul tavolo e un sorriso che non può fare a meno di scapparti. Bentornato.
Artù – “Astronave”: Artù ha sempre avuto una propria poetica, non sempre in linea con il sound “che va”, quello da classifica, ma con una dignità cantautorale sempre precisa, sempre corretta, sempre coerente. “Astronave” è un ottimo pezzo in cui dunque ritroviamo quell’Artù che in qualche modo si libera dei propri umani fardelli, in questo caso il cambiamento, che in larga parte, nella nostra vita, altro non è che la forza di scrollarsi di dosso tutto ciò che del nostro passato non sosteniamo più. Lui lo fa bene, canta di questa sua piccola rivoluzione con quell’intensità che è impossibile non riconoscergli. Bravissimo.
En?gma feat. Kaizen e Macaboro – “Affogare”: Rap che strappa il cuore in due, la sensazione di affogare, appunto, nei ricordi di una storia finita. En?gma, in una versione meno rap, più suonata, più poppizzata, chiude dietro le sue barre questa funzionale asfissia. Davvero un buon pezzo.
Johann Sebastian Punk – “Vivo nello scandalo”: Una confessione trascinante, coinvolgente, accompagnata da un’armonia che un po' alleggerisce l’atmosfera e un po', per quanto ben congeniata, per quanto così eterea, quasi ti fa sentire perdonato. Non solo dai propri “scandali”, che mica in fondo siamo così interessanti, ma proprio da quella nostalgia che il senso di colpa in qualche modo ci fa esplodere dentro, come se fossimo al centro del mondo, senza riuscire nemmeno ad essere centrati quando stiamo seduti sul tazza del water. Può la musica assolverci come in un rituale intimo? Affondare il coltello nella nostra inutile vanità? Può. Quando fatta bene, è chiaro. Quando ha un senso, è chiaro. Johann Sebastian Punk, musicista dal gran talento, ce lo dimostra. Imperdibile per chiunque lì fuori, praticamente tutti, avesse bisogno, in qualche modo, di salvarsi.
Pianista Indie – “Patagonia”: L’ottimo Pianista Indie, abbandona le atmosfere intimiste che ce lo fanno immaginare a casa sua a mettere in poesia, al pianoforte (of course), qualsiasi cosa gli passi sotto il naso, così come fatto finora in brani come “Urologia” o “Zara”, per farci viaggiare in ritmo più andante verso la Patagonia, usata come metafora di viaggio, occasione per ragionare, fare un punto su ciò che è stato o quello che sarà. Un desiderio a portata di mano, realizzabile, tant’è che poi alla fine la soluzione vera del testo, dell’enigma, è l’amaca, con quel senso di leggerezza che ne deriva. E a noi sembra un’ottima idea.
Luv! – “Funk You”: Semplicemente entusiasmante, colorata e divertente come la sigla di “Willy, il principe di Bel-Air”. Si balla, si sorride, ci si ritrova in piazzetta in mezzo ad una chiacchiera, a proprio agio. Luv! funziona perché non ti viene mai il dubbio che dica una cosa per un’altra, l’onestà del rap vecchia scuola, quello che veniva utilizzato per raccontarsi, come formula di linguaggio, prestato a quell’aspetto giocoso delle sonorità moderne. Bravissima.