AGI - Un Vasco Rossi così Vasco Rossi non lo sentivamo dal 2004, mentre Zucchero nell’ultima tappa del suo viaggio all’interno del mondo delle cover, ci regala anche un pezzo dei Coldplay magistralmente reinterpretato. Bene Gazzelle e Noemi, bene, a sorpresa, anche i Modà, benissimo Gabbani e Mobrici; troppo teen l’uscita che unisce Sangiovanni e Madame, mentre in zona rap MadMan si conferma un fenomeno, Inoki un grande e belli e un po' folli Rose Villain e Rosa Chemical. Chicca della settimana: “Siamo sicuri di essere giovani?” di Jacopo Et.
Vasco Rossi – “Siamo qui”
A scanso di equivoci, abbiamo sempre trovato piuttosto bizzarro, ai limiti del ridicolo, questo fanatismo ossessivo per l’opera di Vasco Rossi; attenzione, pur ammettendo l’importanza fondamentale nella storia del nostro pop, declinato spesso a sproposito in rock, del personaggio Vasco Rossi. Si perché Vasco Rossi è un artista talmente immenso che la sua figura travalica quella più semplice (si fa per dire) di persona che scrive canzoni e poi le canta; Vasco resterà nella storia del nostro paese come Leopardi, Dante, Pavarotti e Pippo Baudo, ognuno, ovviamente, con meriti e demeriti che la storia stessa gli assegnerà. Però è anche vero che Vasco Rossi ha un mestiere, che è quello di scrivere e cantare canzoni, e non è corretto che la grandezza del personaggio oscuri il mestierante che, ci sembra scontato, va valutato, appunto, per il suo mestiere, per quello che fa, perché mica in musica vale quella regola che tutti gli studenti di Messina si sentono dire al via di ogni ciclo scolastico, “Fatt’ a nomina e cucchiti” (“Fai una buona impressione e vai a letto”).
Detto ciò, sperando che nessuno della setta del Vasco ne abbia a male, la verità è che il buon signor Rossi negli ultimi vent’anni di brani ne ha azzeccati pochi pochi pochi, diremmo pochissimi dato che da uno che ci ha regalato capolavori ti aspetti di regola, come minimo, la decenza, e lui spesso l’ha proprio schivata. Ecco, chiusa la seconda necessaria premessa, giusto per non fare infervorare i tifosi, ammettiamo una certa sorpresa nello scoprire che il Vasco Rossi di “Siamo qui” è probabilmente il migliore dai tempi d’oro, anzi, facciamo i precisi, da “Buoni o cattivi”, anno domini 2004, che è il suo ultimo rigurgito di tempi d’oro. I brani di questo suo ultimo lavoro si percepisce chiaramente non sono fatti giusto per giustificare la presenza fisica, terrena, di Vasco Rossi, non sono buttati sul mercato in previsione di un tour; come tra l’altro se Vasco Rossi avesse bisogno di pubblicità per riempire gli stadi di tutta Italia, isole comprese. Paradossalmente, a puzzare di stantio sono proprio i due singoli che hanno anticipato l’uscita del disco, “Una canzone d’amore buttata via” e la title track “Siamo qui”, che sono mollacchiose, sanno di già sentito, di quelle ballad nostalgiche misurate a tavolino che Vasco ci ha già servito in venti modi diversi nelle ultime due decadi.
Per il resto, no, fermi tutti, diamo a Cesare quel che è di Cesare e a Vasco quel che è di Vasco e pure di Cesare, l’intento è rock come non lo era da tempo, un rock iniettato, vulcanico, di gusto, ma soprattutto molto giovane e, se gli anni passano anche per i mortali adorati come dei, e così dovrebbe andare, risulta stupefacente dato che il suddetto mortale il prossimo 7 febbraio tocca quota 70. “XI Comandamento”, “L’amore l’amore”, “Tu ce l’hai con me” sono pezzi che non ci stupiremmo di sentire suonare a ventenni rockettari di provincia che sanno il fatto loro.
Poi naturalmente ci sono brani nei quali viene fuori l’artigianalità alla quale Vasco è evidentemente abituato, in “Un respiro in più” sembra voler mischiare il rock dei ’90 al cantautorato danzereccio dei ’70, le chitarre che fanno a testate con le armoniche; “Ho ritrovato” è tra i pezzi più riusciti e complessi dell’album, l’intento romantico è carico di quella personalità di Vasco che non può far altro che farne risaltare l’unicità. Ma soprattutto, senza lasciarci andare ad inutili tecnicismi, questo è un disco in cui si percepisce l’urgenza di Vasco Rossi di dire qualcosa e il suo divertimento nell’architettare musicalmente il modo più corretto per dirla. Così vogliamo che invecchino le leggende del nostro cantautorato, con questa verve, questo bisogno di orbitare al di sopra delle regole del mercato musicale, anche quando di mestiere fai il musicista.
Zucchero – “The Scientist”
Passa anche dai Coldplay il viaggio di Zucchero attraverso le cover, un viaggio le cui tappe saranno chiarite all’uscita di “Discover” la prossima settimana. E dev’essere stato un gran bel viaggio perché anche questa sua versione di “The Scientist” diventa tutt’altro rispetto all’originale, Chris Martin coinvolge con un cantato quasi lamentoso, Zucchero sembrerebbe puntare più alla dolcezza di chi chiede un passo indietro a chi si sta allontanando; Chris Martin vive il pezzo, Zucchero lo racconta. Ascoltiamo e lo sguardo si imbambola sul muro bianco, le parole compaiono palpabili davanti agli occhi, si infilano nelle fessure dei quadri, la musica prende vita, la voce calda di Zucchero solleva i mobili di casa a mezz’aria. Una settimana solitamente vola, questa sarà certamente troppo lunga.
Gazzelle – “Fottuta canzone”
Gazzelle è autentico, la sua malinconia è trascinante, è probabilmente il cantautore italiano che più e meglio di tutti crea un legame quasi umorale con il proprio pubblico. Sta da un lato della barricata, sul palco per esempio, ma contemporaneamente si trova dall’altra parte, in mezzo alla platea. Le sue storie sono le nostre storie, così come questa “Fottuta canzone”, l’impressione non è che la incida ma che ce la regali, come se strappasse una pagina dal proprio diario.
Noemi – “Guardare giù”
Noemi, ormai è chiaro, ha trovato la propria dimensione, è riuscita forse finalmente ad essere totalmente padrona e all’altezza della preziosità della sua bellissima voce graffiata. “Guardare giù” è una ballad, il pianoforte accompagna una voce che ti prende letteralmente a schiaffi, che viene fuori corposa e inarrestabile. Ben trovata.
Sangiovanni feat. Madame – “Perso nel buio”
Sicuramente il brano più inconsistente in cui finora è stata coinvolta Madame, che troviamo per la prima volta ragazzina diciannovenne con tutti i limiti ai quali fisiologicamente è condannato chi ha masticato così poca vita. Scriviamo soprattutto di lei perché in tutta onestà di Sangiovanni che canta effettato dalla prima all’ultima nota non c’è granché da dire, lui non arriva e noi non l’aspettavamo. Il testo del brano è parecchio ruffiano, la musica è ruffiana, la produzione è straruffiana…insomma, finisci di ascoltare e pensi già a quanti giovanotti si faranno infinocchiare da ‘sta roba.
Francesco Gabbani – “Spazio tempo”
L’incontro tra Francesco Gabbani e Pacifico sta causando alcuni dei più interessanti cortocircuiti musicali degli ultimi anni. Si pensava che un certo tipo di pop in Italia non fossimo più capaci di farlo, come se una ghigliottina avesse tranciato definitivamente il mercato tra il mainstream e quello che prima chiamavamo “indie” e oggi potremmo definire “Un poco meno del mainstream”. Da un lato il nuovo cantautorato, gli indie appunto, ragazzi che fanno musica in maniera più onesta e diretta, che declinano in melodia il disagio di un’intera generazione; dall’altro la morte. Gabbani invece è tra i pochissimi che ci dimostrano che in effetti è ancora possibile una via di mezzo, una sorta di pop d’autore, facilmente vendibile, altamente digeribile, ma non per questo deficitario di contenuti. “Spazio tempo”, senza alcun artificio intellettualoide, ci teletrasporta in un universo fatto di cose semplici e profonde, la poesia della filosofia spicciola, ritratto della nostra vita al contempo complessa e sempliciotta.
Mobrici – “Tassisti della notte”
La poetica che ruota attorno al mestiere del tassista non è nuova e alla fine non è nemmeno troppo interessante in quanto, come tutte le poetiche che ruotano attorno a tutti i mestieri, anche vagamente falsa. I tassisti spesso non sono questo archivio di storie romantiche che ci piace immaginare, non sono “Il tassinaro” Sordi e nemmeno confessori notturni capaci di dire quella parola in più che ti svolta la decisione della vita; nella maggior parte dei casi sono persone che ti portano dal punto A al punto B che si indispettiscono perché vuoi pagare con la carta. Per la prima volta invece ce li ritroviamo dalla stessa parte, è Mobrici a confessarli, a smascherarli di quel falso mito che li avvolge, a mettere in poesia la loro solitudine, la loro umanità, accostandola a quella di chi accompagnano a casa la notte, che è fatta della stessa pasta, della stessa poca energia, della stessa rassegnazione. “Tassisti della notte” è un brano splendido, ricco di quella meravigliosa malinconia alla quale ci ha abituati Mobrici.
Modà – “Buona fortuna (prima parte)”
I migliori Modà della storia dei Modà, non che ci volesse questo granché ma è fuori discussione. È stata azzerata quella assurda pomposità del loro pop televisivo, c’è più musica, ci sono idee, ci sono contenuti finalmente più adulti. “Non ti mancherà mai il mare” per esempio, che Kekko ha evidentemente scritto per la figlia, è dolce e cruda come le migliori fiabe; certo è tutto molto semplice, pulito, dritto, anche quando si affrontano temi di attualità un po' più delicati, ma riesce anche a non essere piatto e uguale a se stesso. Bene.
Inoki – “Nuovo Medioego”
“Medioego” è rap old style riportato ai nostri giorni, quel beat ipnotico che diventa un filo sottile da camminare sospesi nel vuoto e dove solo i più bravi si possono avventurare. Inoki è tra i più bravi, su questo non c’è dubbio, il suo tocco è sempre autorale, impegnato, non si butta via una nota, una virgola, un singulto, nulla. Non per niente in questi nuovi sei brani si mette accanto il fenomeno Nayt, più che un rapper, un artista della parola; e poi Ghemon, che ci mette sempre il suo tocco di raffinatezza, una raffinatezza che poi ci pensa Nerone a riportare sulla strada, tra le macerie, lì dove il rap dovrebbe nutrirsi. E poi la splendida “Sto strong” in featuring con Samuel, il non rapper in assoluto più capace di confrontarsi ed integrarsi con i rapper.
Ensi – “Domani”
Ensi è un rapper spericolato, clicchi play e non sai mai con esattezza quello che uscirà dalla casse. “Domani” è il secondo capitolo di una trilogia che prosegue sulla scia di “Oggi”, l’EP precedente, ed effettivamente è qualcosa che abita più terre future che presenti; Ensi si diverte ad esplorare i confini del proprio genere, i brani scorrono bizzarri, dal beat orientaleggiante di “Bad Boys” a quello cupo di “Runnin / Ca Va San Dire”, fino a “Baby”, una rap ballad distorta, cervellotica, stupenda. Tutto sempre molto interessante.
Rose Villain feat. Rosa Chemical – “Gangsta Love”
Un brano davvero molto divertente, Rose Villain si conferma una rapper capace non solo di portare avanti la sua presenza rosa in un universo che al rosa lascia pochissimo spazio, ma anche di sapersi adattare con qualsiasi artista gli canti accanto. Questa “Gangsta Love” è un tripudio di colori, dentro c’è il rap ma anche il pop, c’è il rosso di una femminilità passionale ma anche il nero della parte “Gangsta” del pezzo, ma è un nero sbiadito, sdrammatizzato da un mood simpatico e accattivante, tipico di chi fa sul serio ma non si prende sul serio.
MamboLosco – “Pull Up”
Pezzo molto in stile battle americana, i riferimenti musicali del pezzo ci riportano più al rap a cavallo tra i due millenni che a quello di oggi. Non si nega il professionismo di MamboLosco ma è un brano che semplicemente non brilla. La tematica del “farcela” poi ormai sembra l’uscita di sicurezza per ogni rapper che non c’ha niente da dire; ecco, in quei momenti, tirano fuori il farcela, l’avercela fatta, la volontà di farcela, la scalata suprema al conto in banca, che, per far capire quanto l’argomento stuzzichi le nostre fantasie erotiche, è una di quelle cose che rimandiamo sempre al lunedì dopo.
MadMan – “MM Vol.4”
MadMan è uno dei rapper che meglio celebrano la potenza della parola in quanto suono ancor prima che significato. Il mixtape è un po' una specialità della casa, probabilmente perché si può viaggiare su frequenze più altalenanti rispetto al concept album, che ti inchioda ad un determinato mood. Questo volume 4 della sua epopea è esplosivo, che MadMan si ritrovi da solo o in compagnia di altri fenomeni (Speranza, Gemitaiz, Massimo Pericolo…) cambia poco, ogni brano è ben piantato in una terra dove fermenta il talento puro, e comunque nel tempo che viviamo. Nella nostra playlist personale su Spotify abbiamo aggiunto “La Cosa”, “Solo per me”, “Vero o falso”, “Veleno 8” e “Defcon1”…ma è solo questione di gusti, “MM Vol.4” è una cesta delle meraviglie, infili le braccia, tiri su e quello che ti ritrovi in mano è sempre bello.
BowLand – “Am I Dreaming”
Che dopo X-Factor non avrebbero avuto un gran successo commerciale, perlomeno in Italia, era abbastanza scontato, noi ancora ci tiriamo dietro gli Al Bano e i Pupo, puntiamo il dito contro i testi dei rapper e ce la spassiamo a televotare le figurine senza cognome di “Amici di Maria De Filippi”…non è che possiamo pretendere che progetti anche solo vagamente più complessi sfondino. Noi però non ci dimentichiamo che nel 2018 questi ragazzi iraniani di adozione fiorentina ci avevano affascinato con il loro modo così futuristico di concepire la musica, la metrica, il cantato. Così oggi siamo felici di ritrovarli vivi e vegeti e anche in ottima forma, questa “Am I Dreaming” è una carezza per le orecchie.
Vale Pain feat. Skinny Flex – “Slide”
Un brano ricco di suoni quello composto a quattro mani da Vale Pain e dall’astro nascente della drill spagnola Skinny Flex; ma sotto tutta questa montagna di roba, se scavi, non ci trovi granchè. Sembra più un esercizio di stile fine a se stesso, la differenza che passa tra palleggiare a tennis e giocare un match vero. Alla prossima.
Massaroni Pianoforti – “Verme (tra le tue braccia)”
Romanticismo non fine a se stesso, affatto servile, che non ha bisogno di isterismi drammatici, ma che si nutre di immagini semplici, come quella di un verme alla fine di una bottiglia di tequila diviso a metà. Un pezzo che ha un sapore epico, vintage, definitivo, come i vecchi brani d’amore del nostro cantautorato anni ’70. Massaroni Pianoforti conquista con il suo canto quasi tirato per la gola, così affascinante, così denso. Ottimo.
Cassandra – “Novembre”
I Cassandra hanno sfiorato i live di X-Factor, arrivati ai Bootcamp sono stati fatti fuori. Male per un talent show che quest’anno offre veramente pochissimo di musicalmente interessante, mentre in questa “Novembre” la band fiorentina dimostra di averci numeri veri. Bene per i Cassandra, che potranno evitare di compromettere una natura che oggi scopriamo essere molto interessante e con entrambi i piedi dentro il cantautorato di matrice vagamente indie. Sono queste le atmosfere alle quali “Novembre” ci riporta: la schitarrata, la costruzione della melodia del cantato, quella vaga sprecisione a metà tra gli Ex-Otago e il miglior Tommaso Paradiso. Oltre (ben oltre) il 90% degli artisti che partecipa ad un talent televisivo finisce a non vedere più un palco degno di questo nome nemmeno col binocolo, forse restarne fuori per i Cassandra potrebbe rivelarsi una buona idea.
Jacopo Et – “Siamo sicuri di essere giovani?”
Un disco autorale, intimo, fresco ma allo stesso tempo impegnato, come non ne sentivamo da tempo. Jacopo Et nelle sue canzoni celebra la vita con la poesia, e quella poesia altro non è che una finestra che da su un intero mondo, il suo mondo, interessante proprio in quanto non nostro mondo, interessante perché Jacopo Et riesce a renderlo interessante, a ricordarci la nostra unicità cantando la propria, e così facendo, per uno strano meccanismo di vasi comunicanti della mente e dello spirito, ci fa sentire tutti un po' rockstar. Brani che sono pieni di guizzi, di idee, di stiracchiamenti, aria buona da sbadigliare, come quando si sta molto bene, molto rilassati. Ecco, questo “Siamo sicuri di essere giovani?”, domanda esistenziale alla quale ci rifiutiamo, scherzosamente indignati, di rispondere, fa stare molto bene. Un po' scopri roba nuova e un po' ti ci riconosci, un po' ascolti le storie degli altri e un po' ritrovi le tue. Eccellente.
Rosaroll – “Ruvidi”
Una versione un po' più melodica e accessibile di Moltheni. Il progetto Rosaroll è in crescita, si stanno definendo i contorni ed è tutto estremamente piacevole.
Sale – “Un eterno inutile presente”
Inciampiamo in questa “Un eterno inutile presente” e ce ne innamoriamo. Forse perché ci coglie di sorpresa, forse per il suo essere diretta appoggiandosi su un sound che sa di già sentito ma senza negarsi guizzi di personalità. Il presente che canta Sale, alla fine, ci rendiamo conto non è né eterno né inutile, è piuttosto sospeso; tutta la canzone in realtà resta sospesa, per questo un po' ti taglia il fiato, e non è un difetto, è una caratteristica che ti trascina inevitabilmente per le orecchie fino alla fine, lasciandoti più dubbi che certezze, ed è questa la sua potenza. Bravo.