AGI - Fedez tenta di spiegarci la difficoltà di essere Fedez, Coez chiude la propria trilogia amorosa tornando al rap poppizzato che gli ha dato il successo. E poi ancora, Loredana Bertè se la canta come un’adolescente nel suo “Manifesto” pop, forse troppo pop; Rocco Hunt con “Rivoluzione” non rivoluziona nulla e Arisa si dà, spregiudicata, a sonorità più urban. Molto interessante il duetto tra chiello e Madame, prodotto da Sick Luke, niente male nemmeno il disco dei Pop X e quello di Laila Al Habash. Chicca della settimana, certamente il nuovo singolo di Miglio. A voi le recensioni a tutte le nuove uscite.
Fedez – “Morire morire”: Un brano più articolato, dal sound più internazionale. Fedez rinuncia all’orecchiabilità pop sulla quale si è evidentemente già sgranchito abbastanza ultimamente e prova con un pezzo più impegnato, in cui viene fuori (in maniera ancor più didascalica nel videoclip) la sua difficoltà nell’essere Fedez, l’influencer politicamente attivo, un’industria parlante, un supereroe extralusso. In effetti nessuno mai sottolinea abbastanza la difficoltà nell’essere lui, nessuno che consideri che l’ago della bilancia permette di pesare sempre due differenti pesi. Certo, chiaro, a poter scegliere uno si sceglierebbe i problemi di Fedez, ma qui stiamo a parlare di musica e non importa quanto siano reali o meno le difficoltà di Fedez, stiamo qui per valutare quanto o meno Fedez riesca a metterle in musica, a catapultarci dalla propria parte della barricata. E ci riesce. Punto.
Coez – “Come nelle canzoni”: Un brano che si mette sulla scia delle hit “La musica non c’è” e “è sempre bello”, due brani che si rivelano fondamentali nella storia della musica italiana contemporanea, manifesto di un ibrido tra pop e rap che sta facendo ormai scuola. E “Come nelle canzoni” potrebbe chiudere una trilogia amorosa, la fine della storia, quella sfrontata nostalgia per i tempi felici che furono, la memoria, perfida, che filtra i sentimenti e lascia a galla solo i momenti in cui tutto potevi pensare tranne che quella storia potesse essere messa alla porta. Tra i brani che stanno anticipando l’uscita del prossimo disco di Coez questo è certamente quello che sarà più consumato di stream, il rapper dal cuore di panna è tornato a cantare dell’ammmore, con quello stile che resta, nonostante tutto, il più imitato e il più inimitabile.
Loredana Bertè – “Manifesto”: Quello di Loredana Bertè è un album complesso da comprendere fino in fondo, questo perché la linea di scrittura schizza come una palletta magica da una parte all’altra senza farti capire nulla, da Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari a Ligabue, da Fedez e Dargen D’Amico a Nitro e J-Ax. La situazione è confusa, sembra più una raccolta di pezzi arrangiati in chiave moderna con messa su la voce, sempre meravigliosa, inconfondibile, della Bertè; una sorta di ciliegina su una torta multigusto. In effetti nessun pezzo convince fino in fondo, non si capisce questo “Manifesto” di cosa dovrebbe rappresentare il manifesto dato che non c’è nulla di autentico, è tutto pop che potrebbe essere messo in bocca ad una ragazzina di 16 anni e, intensità nel cantato a parte, risulterebbe perfino più adatto. A 71 anni e con quel popò di vissuto, nel bene e nel male, accumulato, ci aspetteremmo qualcosa di più profondo di questo gavettone commerciale e lei in copertina che mostra il dito medio come una ragazzina qualunque.
Rocco Hunt – “Rivoluzione”: Rocco Hunt è rimasto intrappolato tra una sponda e l’altra del fiume, da quand’è che è entrato, abbastanza prepotentemente, abbastanza a sorpresa, nelle nostre vite, la scena urban è cambiata, è esplosa, e lui non sembra riuscire a stargli dietro veramente. Il suo è un rap annacquato in tormentoni estivi impacchettati a dovere, troppo pesanti per permettere a intuizioni autentiche, che a cercar bene si possono perfino trovare (ma esclusivamente nei pezzi cantati in napoletano), di brillare e rendere l’opera, non per fare i radical chic a tutti i costi, vagamente più intellettuale. Questo “Rivoluzione” non rivoluziona nulla, né la musica di Rocco Hunt, che ci pare sia sempre più o meno quella, né tantomeno la musica in generale, infatti difficilmente sarà un album che lascerà il segno nonostante conti nella tracklist le hit con Ana Mena “Un bacio all’improvviso” e “A un passo dalla luna”, pluripremiati dischi di platino sia in Italia che in Spagna ma, si spera, magari un giorno, perseguibili perlomeno civilmente.
Arisa feat. Brown & Gray – “Altalene”: Un’Arisa inedita quella di questa “Altalene”, talmente inedita da non essere nemmeno troppo decifrabile. A metà pezzo vien voglia di chiederle “Ma che stai facendo esattamente?”, e lei non credo saprebbe rispondere. Si sente vibrante il suo spaesamento in un universo più contemporaneo dove non c’è spazio per l’aria della quale avrebbe bisogno il suo cantato, a scanso di equivoci, ancora il migliore che forse abbiamo nella scena pop italiana. Il pezzo, bisogna ammetterlo, ha del fascino ma sa ancora di sperimentazione, ci sono diversi punti in cui l’armonia pare incepparsi, rotolarsi su se stessa, infatti finisce e uno si chiede: “Che diavolo è successo negli ultimi due minuti e mezzo??”
Sick Luke feat. Chiello e Madame – “La strega del frutteto”: Quando sti ragazzetti si incontrano per fare musica ne esce sempre qualcosa di interessante. Non abbiamo ancora capito quanto ci sia di artificioso nelle intuizioni di Chiello e Madame, il primo ha portato il punk nella trap e la trap nel pop, fuori da pochi giorni con un disco che è una piccola perla di sregolatezza e innovazione; la seconda ha già ricevuto il battesimo sanremese e, come se non bastasse, pure quello del Premio Tenco. In realtà entrambi con il loro modo di fare musica rappresentano le due facce dello stesso disagio, il primo fonde note e lamenti, la seconda barre e malinconia, forse hanno fatto solo un passo più avanti, sono riusciti a capire che basta metterci un minimo di contenuto per distinguersi da una mandria incolore di hiphoppari che si sbattono dietro l’affannoso conteggio di droga e donne consumate. Oppure è tutto onesto e sono loro quelli che danno una piccola ma significativa svolta al pop di casa nostra, sperando che chi arrivi dopo si piazzi sulla loro scia. Poi se ci metti di mezzo un producer illuminato come Sick Luke il risultato non può che essere eccellente. Sono pischelli ma quanto sono bravi.
Pop X – “Enter Sandwich”: Cantautorato elettronico, avvincente, a tratti immaturo, ma certamente efficace; i Pop X vagano beatamente in una terra di nessuno, una terra in cui solo loro fanno quello che fanno. Dei Pop X che ci hanno così tanto divertito con “Secchio” e “Frocidellanike” rimane il tocco, l’idea, che però oggi si tramuta in un intento decisamente più autorale, più complesso, il duo di Trento sembra aver preso piena dimestichezza con il mezzo, per cui sperimenta con gusto e audacia, la cassa dritta diventa elemento narrativo più che mezzuccio per accelerare la funzionalità del brano, per renderlo più ballabile, più vendibile. Si divertono ancora, per chi si stesse preoccupando, è evidente, ma con uno spirito da mestieranti che francamente stupisce. Certo ora forse è giunto il momento di smussare gli angoli in termini di mera costruzione del pezzo, forse è ora che certi strascichi di imprecisione tipici dell’era indie vengano messi in cantina in ricordo di un tempo in cui, ok, d’accordo, ci siamo tutti molto divertiti, ma poi si cresce e non è che si diventa musoni, è che si diventa più pretenziosi e se loro, a ben ragione, alzano l’asticella dalla loro parte, noi dobbiamo alzarla anche dalla nostra, sennò la gara di limbo non funziona granchè bene.
GionnyScandal – “Come noi nessuno mai”: Alla fine dell’ascolto, giurin giurello, siamo andati su Wikipedia perché ci siamo dimenticati in quale oscuro momento della nostra storia GionnyScandal è entrato in quella lista di artisti che va necessariamente recensito ad ogni uscita.
Valerio Mazzei – “Noi”: Ok, c’è un pubblico per questo genere di musica, un pubblico che non prevede la nostra presenza, nemmeno la nostra approvazione, a tratti giusto la nostra compassione, ma deve essere una giornata proprio buona. Certamente apprezzeranno di più tutti coloro i quali di musica ne capiscono pochino, forse per non aver ancora raggiunto l’età della ragione, ma non per questo i pezzi di Mazzei perdono di senso, anzi, semmai ne assumono di senso, perché se dovessimo considerarla roba per adulti andrebbe denunciato immediatamente, ci prodigheremmo ad esporre un cartello da ricercato del vecchio west offrendo anche un lauto compenso a chi ce lo consegna. Ma siccome non parla a noi, allora lo lasciamo in pace e valutiamo questa “Noi” per quella che è: una canzoncina orecchiabile che accompagna una quantità spropositata di preadolescenti verso la vita vera. Anzi, a proposito, buona fortuna.
Silent Bob – “Piove ancora”: La bravura c’è, il mestiere c’è, ma la cosa migliore del disco dell’ottimo Silent Bob è riuscire nell’impresa (davvero un’impresa) di rendere più o meno interessanti contenuti ormai triti e ritriti. Ci riesce perché è un bravo rapper, infatti gli amanti del genere si divertiranno, noi invece ascoltiamo, annuiamo e passiamo avanti, perché comunque ci rendiamo conto che tutto sta cambiando e “Piove ancora” è rimasto un passettino indietro rispetto a questa rivoluzione. Manca il guizzo, manca il colpo di tacco, manca l’illuminazione. Manca Maradona insomma.
Vegas Jones – “Due spicci”: Forse uno dei ragionamenti sulle controindicazioni del successo più autentici ascoltati negli ultimi anni di rap. E ne abbiamo sentiti eh…Ma Vegas Jones ci mette una nuova nostalgia, giocata su un beat atmosferico e un pianoforte che si prende la responsabilità di accompagnare il pezzo. Bravo.
Laila Al Habash – “Mystic Hotel”: Chi aspettava “Mystic Hotel” convinto della validità del progetto Laila Al Habash, tipo chi scrive, certamente non sarà rimasto deluso. I brani scorrono via lisci, con piacevolezza, in continuo bilico tra pop atmosferico, comunque di contenuto, e validi accenni di R&B. Laila Al Habash ha una voce calda e confortevole, impossibile stancarsi di ascoltarla, non sappiamo come sia avvenuto l’incontro artistico con Niccolò Contessa, per chi non lo sapesse l’uomo che ha in qualche modo salvato il cantautorato italiano “imponendo” uno stile ad un’intera generazione di artisti che altrimenti, se lui non avesse spalancato le porte dell’impero, starebbero ancora in cameretta a strimpellare; ma è facile comprendere il motivo di questo interesse, le potenzialità che Contessa ha letto in Laila Al Habash, e non possiamo fare altro che condividere in pieno l’intuizione. Nel disco manca la hit vera, quella radiofonica, ma non si può fare un disco che strizza l’occhiolino all’R&B e pensare di finire in alta rotazione, per informazioni chiedete ad artisti come Ghemon o Frah Quintale; quindi supponiamo che l’idea di produrre un disco che punti sulla qualità, un disco a tratti anche complesso nella costruzione (mai nell’ascolto), sia voluta e noi, che siamo indiscussi amanti della qualità, non potremmo essere più d’accordo.
Giuse The Lizia – “Come minimo”: Con l’uscita di “Come minimo” possiamo finalmente tirare un po' le somme su Giuse The Lizia, sei brani in cui il suo rap scanzonato, simpatico, strascicato, si declina in un gioco coinvolgente, da sabato mattina, per intenderci, cuffiette nelle orecchie, sdraiati su un prato. Felici. È stato chiaro da subito che il ragazzo avesse numeri veri, oggi che ascoltiamo la sua proposta per intero ne siamo altrettanto, se non di più, convinti.
Miglio – “Con la tua saliva”: Le belle canzoni non sono quelle che ti danno qualcosa, sono quelle che ti tolgono qualcosa, lo scrisse una volta Capossela, probabilmente intendendo che le belle canzoni sono quelle che ti creano una sorta di disagio, che ti creano un vuoto dentro il quale precipiti senza paracadute. Miglio è un’artista straordinaria e questa “Con la tua saliva” non può non ricreare quell’effetto, è un brano che costringe inevitabilmente al ragionamento, al riflettere sulla metafora che propone, un bacio per unirsi, per salvarsi, la saliva che diventa linfa vitale in una vita dove pure le convinzioni si svuotano di credibilità. Un pezzo meraviglioso di una cantautrice vera, che non si appoggia su produzioni arzigogolate o interpretazioni gonfiate, un’artista che mette davanti la propria idea di musica ed è una splendida idea.