AGI - La casa come non luogo dell’anima, un posto che diventa altro quando cambiano le persone e le sensazioni che lo abitano. Questa è la metafora che Federico Zampaglione utilizza per il suo “Ho cambiato tante case”, per giustificare in qualche modo questa vivace sperimentazione che lo ha portato in un viaggio lungo 12 nuove canzoni ad aggirare ogni spigolo della propria vita.
Ambiente, amore, il rapporto con il proprio essere padre, con il proprio essere figlio, con il proprio essere musicista anche, probabilmente nel periodo più complesso della storia moderna per esserlo, fino alla malinconia, ad una spasmodica ricerca di serenità che si irradia su ogni singola nota del disco.
Tante le collaborazioni che ne caratterizzano linguaggio e struttura, da Alan Clark, storico tastierista dei Dire Straits, a Carmen Consoli, con la quale duetta in “L’odore del mare”; fino (in particolare) ai maggiori interpreti della nuova scuola romana: Gazzelle, con il quale scrive e compone “Cerotti”, Galeffi, con il quale collabora per la title track “Ho cambiato tante case”, Leo Pari, al banco regia di “Avvicinandoti” e Franco126, con il quale duetta in “Er Musicista” e che co-firma “Tu e io”.
Attenzione, tutte operazioni che sono evidentemente condizionate da uno scambio artistico reale, estremamente tangibile all’ascolto, nulla che abbia a che fare con strategie subdiscografiche per catturare un target in più.
“Ho cambiato tante case” è uno dei migliori dischi in assoluto dei Tiromancino, per espressa volontà di Zampaglione da nominare ancora come band, essendo lui fulcro di un movimento che gli gira intorno ma nel quale non è mai solo; l’impegno, il talento, la ricerca, che opera Zampaglione in questo suo ultimo lavoro sono esemplari e il risultato colpisce esattamente nel segno, restituendo quel profondo senso di empatia e serenità al quale puntava.
Ascoltando il disco si ha l’impressione che sia un po' più esplicitamente intimo rispetto ai precedenti…
"Si, questo disco per me è stato un compagno di viaggio, io parlavo a lui e lui a me, e probabilmente l’intimità nasce da questo. L’ho utilizzato in tanti momenti in cui c’era un senso di angoscia, di pericolo incombente, di incertezza enorme sul futuro…io in quei giorni ricordo che cercavo di mettere dentro questo disco una serenità interiore, un qualcosa di colloquiale che doveva aiutare me per primo, e quando lo ascoltavo vedevo che mi faceva sempre di più questo effetto, mi mette un po' in pace con me stesso. In effetti, ora che me ne devo separare, un po' mi dispiace, sono sincero, perché è stato davvero per me terapeutico, per questo lo senti più intimo".
È anche un disco ricco di collaborazioni, in particolare con la scena indie romana, che è forse addirittura più vicina al progetto Tiromancino di quanto non lo fosse quella nella quale si è formato il progetto Tiromancino…
"Beh, quei dischi hanno anticipato i tempi in qualche modo, c’era quella forma canzone passata attraverso tutta una serie di angolazioni, una serie di lenti. C’era un linguaggio, c’erano delle sonorità, che andavano in contrapposizione rispetto al pop di allora, e molte di queste cose sono state ereditate da questi ragazzi".
Me lo diceva proprio l’altro giorno Franco126: “Noi quando eravamo pischelli ascoltavamo il TruceKlan e i Tiromancino, perché del pop ci piaceva quello”. Che io poi non mi sento un cantante pop, intanto mi sento più un musicista che un cantante, poi non mi ha mai troppo interessato il pop classico e quindi probabilmente anche loro ci rivedono questo. Se tu prendi un nostro disco dei primi anni 2000 è molto simile a quello che sta uscendo adesso, per le atmosfere, per le chitarre, quei suoni di synth un po' strani, quell’elettronica che emerge…
Anche la costruzione del testo…
"Si, anche nella costruzione del testo ricorda molto quelle cose, quindi per me è un piacere che tutti questi nuovi cantautori hanno preso in considerazione quel lavoro lì. Mi sento onorato di questo, perché è una scena veramente interessante".
E il cinema in che modo completa la tua visione d’artista, cosa ti da in più o di diverso dalla musica?
"Sono due lavori molto diversi, la musica è fatta molto di istinto, di momenti in cui proprio non calcoli nulla, il lavoro del regista è molto metodico, preciso, devi prevedere tutto, devi mettere tutto a fuoco, devi sapere esattamente cosa andrai a girare sennò combini un disastro sul set. Perché le persone poi vengono a chiederti cosa devono fare e tu devi dargli sempre una risposta, altrimenti blocchi una macchina costosissima e difficilissima da muovere".
Lì per ogni inquadratura ci sono ore di lavoro, di persone, di macchinisti, di elettricisti, di direttori della fotografia, di scenografi, e quindi devi sapere esattamente sempre tutto e indicarlo. Con la musica tiro fuori il mio lato più istintivo, con il cinema il mio lato più tecnico, di precisione.
Però poi la musica e il cinema diventano due arti indissolubili, tant’è vero che dedico molto spazio ai videoclip, l’ho sempre fatto e molti hanno contribuito al successo delle canzoni. Quando faccio il regista divento un po' un rompiscatole, me ne accorgo perché a casa non mi sopporta più nessuno, quando faccio il musicista mi vogliono tutti più bene.
A proposito di casa, ultimamente duetti spesso con tua figlia, che ha una voce straordinaria…
Eh si, canta bene. Di solito uno dice: ‘non fare il figlio d’arte perché poi fanno il paragone col padre e il figlio lo esce bastonato’. Nel mio caso ne esco sempre bastonato io, tutte le volte che posto la canzone cantata da Linda, immediatamente tutti i commenti dicono ‘Molto più bella così!’, quindi sono un padre d’arte.
Lei ha questa voce angelica, intonatissima, e poi ha una facilità incredibile nell’imparare le melodie e i testi. Subito li impara. L’altra volta ha cantato “Prospettiva Nevsky” di Battiato; io le avevo fatto la paternale, ‘Basta con questa musica che ascoltate su Tik Tok! Io ascoltavo canzoni…’ (sai quelle cose un po' paternalistiche) ‘Quando mai ascolterete un pezzo come Prospettiva Nevsky!’. E lei risponde: ‘Fammelo ascoltare’. L’ha ascoltato e poi l’ha ricantato dopo un secondo, ed io sono rimasto come un cretino.
Nel disco c’è una canzone che si intitola “Er musicista”, proprio dedicata alla vostra figura, ma tu dopo questi due anni ti sei chiesto qual è la considerazione che le istituzioni hanno per il tuo lavoro?
Che non gliene frega quasi niente, in poche parole. S’è sofferto parecchio, siamo stati tanto tempo senza nessun tipo di indicazione, questa è stata la cosa che mi è dispiaciuta di più. Dicci qualcosa. Non si capiva…tu dicevi ‘Parlano di questa categoria, parlano di quest’altra categoria, diranno qualcosa anche di noi’, invece poi finiva il servizio.
Ecco, questa cosa mi ha lasciato in certi momenti veramente dispiaciuto, come tanti colleghi. Che poi la cultura ha tenuto compagnia a tutti noi; che sarebbe stato stare chiusi dentro casa un anno senza libri, senza musica, senza film…? Sarebbe stato da suicidio, quindi un ruolo importante l’abbiamo svolto.
La famosa frase “I nostri artisti che ci fanno tanto divertire” di Conte…
Eh, si, la famosa frase...beati voi che vi divertite, perché noi non ci stavamo divertendo affatto. Detto questo, ora sembrerebbe ci siano una serie di cose che volgono al meglio quindi l’augurio che io faccio al mio settore è che questa faccenda della capienze, ovviamente nel rispetto di tutte le norme di sicurezza, del Green Pass, ci dia la possibilità di avere una platea al 100%.
Ripeto: controllata, col Green Pass…ma produrre degli spettacoli dove alla fine ci sono dei costi e tu non puoi riempire, vuol dire che non lo puoi fare più lo spettacolo perché finisce che ci rimetti, quindi diventa un modo per non fare gli spettacoli. Quindi speriamo che il prima possibile si ritorni alla normalità.