D ue delle più intense interpreti della musica italiana al femminile, Ornella Vanoni e Malika Ayane, ci regalano due perle di album di alta scuola. In zona rap, Massimo Pericolo e Holden propongono due album che ci permettono di fare il punto su ciò che di meglio ha da offrire la scena in questo determinato segmento di tempo; mentre Mobrici esce fuori con un singolo che suona come una bomba. Chicca della settimana: “Falena” di Monorene, avanguardia pura.
Ornella Vanoni – “Isole viaggianti”: L’unica vera rocker della scena italiana resta lei. Così brava e così disturbante. Così elegante e così ingestibile. “Isole viaggianti” è un EP, dentro “Un sorriso dentro al pianto”, scritta per lei da Francesco Gabbani e Pacifico, un brano eccezionale, intenso, poetico, cantato con l’immortale maestria di un’artista che non cede alle lusinghe del tempo e resta enorme.
Malika Ayane – “Malifesto”: Un disco delicato, raffinato, intenso. Malika Ayane è una mestierante di rara fattura, una delle poche in Italia a conservare un evidente senso di artigianalità della musica. In questo suo “Malifesto” sussulta, implode, sentiamo il respiro, i tasti dei pianoforti pigiati con sicurezza, quasi il battere del cuore, come se dalla bocca le uscisse una voce in 3D che ci avvolge, ci coccola. Nelle canzoni vengono affrontate tematiche universali, il che solitamente significa anche una gran noia, ma lei invece accarezza tutto con grazia e con uno stile inimitabile. Sarebbe opportuno citare qualche pezzo in particolare, magari qualcuno di quelli scritti da Antonio Dimartino, autore di valore immenso (anche ben oltre quella sua “Musica leggerissima”), ma la verità è che si tratta di dieci canzoni che si respirano come un mazzo di fiori, dura un attimo, si bevono, scendono giù leggere e calde. La verità, dai, su, diciamocelo, è che di Malika Ayane in Italia ne servirebbero almeno una decina.
Massimo Pericolo – “Solo tutto”: Che Massimo Pericolo fosse uno dei rapper più autentici della scena nazionale, lo abbiamo scritto più volte, con questo “Solo tutto” ci stupisce andando decisamente oltre. Alessandro Vanetti, questo il vero nome, riesce in scioltezza a tenere le redini del proprio istinto nel vomitare fuori tutti i suoi demoni senza risparmiarcene nemmeno mezzo e, dall’altra parte, a saperceli raccontare con onestà e pura poesia. “Solo tutto” da la stessa sensazione di una mostra di street art, Massimo Pericolo dipinge e spiega la propria realtà, quella della provincia, quella della strada e anche quella di chi è riuscito a togliersi dalla strada ma la porta ancora dentro, perché tutto, ma proprio tutto tutto, è guardato con quegli occhi lì; anche la musica e il relativo successo. La produzione di Phra Crookers smussa gli angoli, “da un tono all’ambiente” direbbe Drugo, ma ciò che più colpisce è la netta sensazione che Massimo Pericolo tiri una linea netta tra chi ha vissuto certe cose e chi può solo starle a guardare, come sonetti di un mondo che non può essere catturato. Intendiamoci, non è che chi finisce dietro le sbarre, come successo al nostro Vanetti, diventi il più figo della scuola, questo genere di machismo gangster style, anzi, andrebbe del tutto scoraggiato, perché rischia di far saltare i parametri, si rischia l’idolatria verso chi ha commesso errori che non andrebbero commessi, verso un disagio che perde la propria poesia quando scambiato su Instagram per eroismo. Ma è inevitabile che serva un’oscura e romantica e drammatica profondità per declinare in rap, più in generale in arte, certe esperienze. E se le hai vissute sulla tua pelle e il buon Dio ti ha concesso una grossa palata di talento, ovvio che poi riesci a restituirne le atmosfere, le angosce, perfino il sapore e la puzza. Le cose da dire, evidentemente, erano tante, da qui anche l’idea di pochi feat, quello con Venerus, utile nel suo rendere tutto sempre così meravigliosamente etereo; quello con Salmo, che al solito stordisce con intuizioni che nel rap italiano, accettatelo, ha solo lui; e poi quello con Madame, perfetta nel prestarsi all’interpretazione di un personaggio in quello che più che un brano prende forma nelle nostre teste come un film. Per quanto ci riguarda “G” ci ha letteralmente paralizzati. This Is Rap.
Mobrici – “TVB”: Mobrici ci regala un cortometraggio, di quelli girati da piccoli, con scarsi mezzi, con le inquadrature mosse, in cui si prova a metter dentro qualcosa di enorme e alla fine il risultato è una piccola pioggia di schegge di pura bellezza, quei TVB, appunto, rinchiusi in costosissimi SMS, un modo piccolo piccolo per raccontare un universo enorme di ricordi. Mobrici ci disegna ancora una volta un intero mondo in una canzone, proponendoci dei flash romantici e fulminei, un mondo dentro il quale, è chiaro, ci si può perdere, e allora serve attaccarsi a qualsiasi cosa per tenere la rotta, anche tre lettere messe nella giusta sequenza: TVB. Ti voglio bene. Che è un’espressione che dovrebbe tornare di moda. Bravissimo.
Ceri – “Insieme”: Ceri lo abbiamo apprezzato come producer di Coez e Frah Quintale, due fenomeni ormai protagonisti dell’italico pop, anche grazie alle intuizioni dello stesso Ceri, che ha indirizzato quelli che erano di fatto due rapper verso zone un po' più accessibili al vasto pubblico, e ora si ritrovano ad essere Coez e Frah Quintale. Se in questo “Insieme” dunque lui propone un sound un po' più andante, una sorta di cantautorato elettronico alla Cosmo, ma un po' più morbido, forse sarebbe il caso di approfondire la faccenda e capire in che direzione si sta muovendo la giostra, soprattutto perché i sette brani di “Insieme” sono molto molto validi. Potremmo citare le ospitate di Coez, di Colombre, quella di Franco126, in cui viene citata evidentemente “Attenti al lupo” di Dalla, o della deliziosa Ginevra. Invece forse il pezzo migliore è proprio quello in cui Ceri ci mette penna, voce e produzione, si intitola “Solo una volta” e merita un ascolto molto attento.
Federico Poggipollini – “Canzoni rubate”: Uno dei migliori chitarristi del circuito rock/pop italiano degli ultimi 40 anni ci propone un viaggio che parte da nuove versioni di grandi brani del nostro repertorio come “Varietà” di Morandi o, soprattutto, “Monna Lisa” di Ivan Graziani in feat con un ispiratissimo CIMINI. Capitan Fede Poggipollini se la spassa con passione, con mestiere, alla vecchia maniera, quella che proviene dal rock, come genere musicale si, ma ancor più come attitudine. Una piccola perla di disco.
Nerone – “Maxtape”: Un rap party al quale tutti sono invitati. Un mixtape accomodante, giri da un pezzo all’altro e ti sembra di fare due chiacchiere con i best of della scena, da Fabri Fibra alla coppia Emis Killa/Jake La Furia, da Boro Boro a Gianni Bismark, da Nitro e Gemitaiz a J-AX e Clementino. Quando il rap sa essere divertente, si fa seguire in mille capriole mortali di parole, pur non presentando particolari spunti in termini di produzione, anzi, da quel punto di vista sembra tutto un po' piatto, ma i duetti sono tutti notevoli.
Pier Cortese – “è per te”: Ascoltare Pier Cortese è sempre come ricevere un pacco regalo da una di quelle persone che non sbagliano mai un regalo. E anche stavolta non ci delude, e anche stavolta ci guida altrove con la sua stravagante complessità.
Mèsa – “Animale”: Un buon brano, ben strutturato, e non è una sorpresa perché Mèsa è cantautrice preparata e talentuosa, ma troppo, davvero troppo, Levante. Ai limiti dell’imitazione. Facciamo che abbiamo scherzato, alla prossima.
Holden – “Prologo”: Se questo è il prologo non vediamo l’ora di azzannare tutto il disco. Holden, che avevamo conosciuto per qualche fugace apparizione nella chart Viral di Spotify, debutta con un disco imponente, pieno, dalle intuizioni tanto geniali quanto grandiose, orchestrali, un rap quasi in frac, niente che si sia già sentito prima. Da non perdere assolutamente.
Guidobaldi – “Ponte Vecchio”: Romano, classe ’94, un buon orecchio, la penna va affinata, ma l’intenzione è assolutamente corretta. Immaginate di stare alla finestra e la vostra attenzione si imbatte involontariamente in una discussione tra due ragazzi che parlano degli affari loro e, chissà perché, la cosa vi prende, anche se non sono affari vostri, anche se tutto sommato, pensandoci, giungete alla conclusione che non ve ne frega nulla. Eppure state lì ad ascoltare. Ecco, questa “Ponte Vecchio” è così, ma sapete benissimo perché rimanete ad ascoltare, perché si tratta di un ottimo brano.
Monorene – “Falena”: Un brano molto contemporaneo, molto funzionante, tra qualche anno, forse anche tra qualche mese, forse anche tra qualche settimana, sound di questo genere spaccheranno di brutto. Giovanni Marco Cannone invece ci propone un’avvincente anticipazione, notevole la cura dei dettagli nella produzione, tutto scorre liscio a metà tra R&B e New Age. Davvero molto molto interessante.