AGI - Non è passato nemmeno un anno dall’ultimo disco e Ghemon è pronto per uscire, il prossimo 19 marzo, con il nuovo “E vissero feriti e contenti”. Nel 2020 al Festival di Sanremo non c’era, ma c’era l’anno prima proponendo “Rose viola”, una delle più belle canzoni di quell’edizione e forse anche di più, un brano importante non solo perché consegna il suo nome ad un pubblico ben più ampio, ma perché rappresenta il primo significativo passo verso l’R&B.
Un genere poco masticato dagli artisti italiani, che non rientra nella nostra cultura, nella nostra tradizione, ma che Ghemon, vero nome Gianluca Picariello, porta avanti con estrema decisione e, al tempo stesso, delicatezza. A Sanremo Ghemon decide di andarci col sorriso sulla bocca, su Twitter da qualche giorno ha inaugurato quella che ha chiamato “Operazione televoto”, ovvero una serie di chiamate strategiche a conoscenti e lontani parenti per convincerli a votarlo e televotarlo, convinto di non avere chance contro altri concorrenti con fanbase più ampie. L’effetto è comico e forse il miglior modo per affrontare un Sanremo così particolare.
Perché Sanremo?
Perché no? L’esperienza passata è stata bella, divertente. È stata un’esperienza pure di scoperta, per me, di quel palco, che era lontanamente nei pensieri ma non avevo ancora toccato. Mi sono trovato bene, così mi son detto “Perché non andare a farci una bella vacanza?”
L’ultima volta al Festival due anni fa, l’ultima volta fuori con un disco meno di un anno fa…
Ad un certo punto, nonostante fosse appena uscito il mio disco, meno di un anno fa, sono subito ritornato a lavoro, semplicemente perché avevo voglia di fare musica. Visto che “Rose viola”, posso testimoniarlo, è un pezzo che ha resistito al tempo, è stato accolto molto bene, l’etichetta mi ha chiesto: “Vogliamo provare a proporre un pezzo?”. Io ho risposto che se dovevo farlo, e mi faceva piacere farlo, dovevo portare un pezzo per distinguermi, di nuovo. Così mi sono immaginato quella canzone su quel palco, l’ho proposta e forse le mie sensazioni erano giuste visto che è stata scelta.
Cosa pensi del cast messo in piedi da Amadeus?
Tutti bravissimi, ma ce n’è uno che mi piace di più, si chiama Ghemon.
Ah si? Mai sentito.
Ovviamente sono di parte, però il festival, dalla prima edizione di Baglioni, la prima che ho fatto io, ha iniziato un piccolo percorso di mutazione, di cambio di pelle. Perché la musica italiana negli ultimi 3-4 anni ha cambiato pelle radicalmente, ci sono canzoni e dischi ai primi posti della classifica che hanno scalzato Vasco, che hanno scalzato Ligabue, vuol dire che è il segno che ci sono cose nuove ma non figlie di una stagione, consolidate, che parlano a un sacco di gente.
Quindi quello che è il palco per antonomasia, più rappresentativo, deve dire anche qual è lo stato di salute, lo stato dell’arte della musica italiana, non deve rimanere cristallizzato lì perché deve sempre rassicurare tutti quanti, bisogna portare al pubblico grande anche le novità, gli artisti più sconosciuti, perché poi in fondo nelle edizioni passate così è stato.
Io cito sempre gli Elio e Le Storie Tese, che erano già un gruppo di culto nell’underground, ma poi quello che è successo con “La terra dei cachi” in quel festival, li ha portati ad un pubblico completamente diverso, prima del festival, come probabilmente prima di questo, ce n’erano tanti che si chiedevano “e chi sono questi?”. Il festival deve avere anche questo ruolo, di proporre cose di rottura che potrebbero anche reggere una platea più grande.
C’è qualcuno di loro che già seguivi e ti piace particolarmente?
Ragazzi con i quali ho calcato palchi polverosi come Colapesce e Dimartino, per esempio, loro hanno fatto una lunga strada e finalmente gli si inizia a riconoscere di essere tra le penne più brillanti che ci sono in questo momento nel nostro panorama. Loro si meritano ampiamente quel palco, si meritano un pubblico più grande anche di quello che hanno, anche se i fan più accaniti se li vogliono tenere stretti.
Tu hai fatto un video molto divertente riguardo una campagna per il televoto, in cui sostieni di non sentirti forte sotto quel punto di vista…ma pensavo, effettivamente il televoto non toglie in qualche modo credibilità al festival?
È vero, ma il pubblico è sempre sovrano e deve sempre poter dire la sua. Mi rendo conto che lo strumento del televoto è, per il 2021, un po' strano. Non siamo più abituati a mandare un sms per esprimere il nostro parere, oggi si può esprimere in un’altra maniera il gradimento. Il pubblico è quello che comanda, che ribalta i giudizi ed è quello a cui non puoi mentire.
È tanta gente, è troppa, se ne accorge se stai dicendo una bugia. Con un gruppo più piccolo, anche esperto, puoi anche provarci, ma secondo me il pubblico se ne accorge. Non farei mai il contrario, non dovrebbe essere mai solo una giuria popolare ad esprimere un vincitore, ci deve essere un equilibrio.
Cosa penserai un secondo prima di salire sul palco?
Finalmente…che palle stare chiuso qua dentro! Sono sicuro che penserò quello!