AGI - Nel 1990 il boss camorrista Raffaele Cutolo, inorgoglito e compiaciuto dalla convinzione che Fabrizio De André, il più importante cantautore italiano, gli avesse dedicato la canzone 'Don Raffaè' scritta con Massimo Bubola e musicata da Mauro Pagani, gli inviò una lettera di ringraziamento. Quel brano, contenuto nell'album 'Nuvole' e diventato - come quasi tutte le canzoni di De André - un classico della musica italiana, come raccontò lo stesso Faber alludeva a Raffaele Cutolo, ma di certo non era una canzone 'dedicata' al fondatore della Nuova camorra organizzata.
"Immaginate la mia sorpresa quando ho ricevuto una lettera di Cutolo che mi faceva i complimenti per la canzone - raccontò De André - e aggiungeva: 'Non capisco come abbia fatto a cogliere la mia personalità e la mia situazione in carcere senza avermi mai incontrato'. Non si era offeso e gli era piaciuto il verso 'Don Raffaè voi politicamente, io ve lo giuro sarebbe 'nu santo' ed anche quello in cui il secondino gli chiede il favore di trovare un posto di lavoro a un suo parente. Alla lettera - spiegò ancora - Cutolo aveva allegato un libro di sue poesie. Almeno un paio davvero pregevoli. Gli ho risposto per ringraziarlo. Recentemente mi ha scritto ancora. Però stavolta non gli ho risposto. Un carteggio con Cutolo non mi sembra il massimo" .
'Don Raffaè', canzone che fu cantata da De André anche in coppia con Roberto Murolo al concerto del Primo maggio 1991 e di cui Pino Daniele realizzò una magnifica versione ("In un momento in cui tutti cantano in inglese, Faber ha deciso di cantare in napoletano", commentò presentando il brano), malgrado l'entusiasmo e la vanità apparentemente appagata di Cutolo, non è dedicata al camorrista né parla di lui.
Di certo prende ispirazione dalla sua figura - come ha ammesso lo stesso De Andrè - ma come sempre nelle opere del cantautore genovese è solo la scusa per denunciare qualcosa di più grande e più grave. In questo caso si tratta della situazione critica delle carceri italiane negli anni Ottanta e la sottomissione dello Stato al potere della criminalità organizzata.
Faber, inoltre, concentra la sua attenzione non tanto sul boss malavitoso rinchiuso in carcere, quanto su Pasquale Cafiero, brigadiere del corpo di polizia penitenziaria del carcere di Poggioreale. Nella storia cantata da De André l'agente di custodia è culturalmente sottomesso al boss che lui riconosce detentore della vera autorità e, per questo, arriva a considerarlo un galantuomo ingiustamente costretto a vivere in carcere ("don Raffe' voi politicamente io ve lo giuro sarebbe 'nu santo ma ca dinto voi state a pagà e fora chiss'atre se stanno a spassa'").
Pasquale è succube della cultura della sua terra in cui spesso la malavita sostituisce lo Stato e cerca il consenso di quello che reputa un uomo "sceltissimo immenso" e per questo gli offre speciali servigi (come fargli la barba o il caffè). In quanto vera autorità riconosciuta a cui si sente devoto, il brigadiere gli chiede diversi favori personali (come il prestito di un cappotto elegante di cammello da sfoggiare a un matrimonio o un posto di lavoro per il fratello "che da 15 anni sta disoccupato, isso ha fatto 40 concorsi, 90 domande, 200 ricorsi").
E il gesto di offrirgli ripetutamente un caffè, del quale esalta la bontà ("ah che bell' 'o cafè pure in carcere 'o sanno fa' co' a ricetta di Ciccirinella compagno di cella preciso a mammà"), è un atto di devozione e un gesto dettato dal desiderio di compiacere l'autorità per avere dei piccoli vantaggi personali.
Pasquale Cafiero diventa così uno dei tanti personaggi amati da De André, i diseredati, gli ultimi, ai margini della società, quelle 'anime salve' del suo ultimo album dove il termine 'salve' etimologicamente significa 'solitarie'. E il "brigadiero del carcere oine'" è un uomo solo, mediocre, sottomesso, deluso. E la sua solitudine è, nel brano di De André, ancor più forte ed evidente di quella di don Raffaè. E' lui il protagonista della canzone ed è a lui che va la simpatia e la pietas di Faber. Con buon pace di Raffaele Cutolo.
Bubola: Don Raffaè scritta pensando a Eduardo
Che la canzone 'Don Raffaè' non avesse molto a che fare con Raffaele Cutolo arriva la testimonianza, raccolta dall'Agi, dell'autore del testo, Massimo Bubola, che la scrisse a quattro mani con Fabrizio De Andrè. “In realtà 'Don Raffaè' – spiega Bubola - è stata scritta pensando ad un personaggio di una commedia di Eduardo De Filippo 'Il sindaco del rione Sanità', Don Antonio Barracano, che era per l’appunto un boss che dispensava consigli, aiuti e avvenimenti ai suoi sottoposti, con una certa autorevolezza, se non propriamente etica, almeno di una certa qualità intellettuale”.
L’equivoco però non fu dovuto solo al nome, Raffaè, del protagonista della canzone, scelto, come spiega ancora l’autore, semplicemente per un discorso di sonorità, ma anche perché il boss Raffaele Cutolo, com’è ormai noto, in quella canzone si riconobbe davvero, fino al punto di scrivere a De André per ringraziarlo per il ritratto e anche per chiedergli di musicare alcune sue poesie d’amore; cosa che De André chiaramente preferì evitare.
Ma 'Don Raffaè' in realtà, come spiega Bubola, disegnò involontariamente anche un altro ritratto, quello di una connessione ai tempi impensabile: “Il rapporto paradossale fra don Raffaè e il brigadiere Pasquale Cafiero, si presta a molte letture. La principale è il rapporto malato tra un rappresentante dello Stato ed uno dell’Antistato. Il rappresentante dello Stato dimostra un’infinita ammirazione e sudditanza psicologica verso il boss malavitoso, e si indigna per la condizione in cui versa il grande malavitoso e gli chiede favori per sé e per i suoi parenti, con una devozione ed una spudoratezza rari. Questo sembrava paradossale e improbabile - aggiunge - ma si è rilevato più vicino alla realtà di quanto immaginassimo allora quando abbiamo scritto la canzone”.