AGI - Lo scorso venerdì è uscito su tutte le piattaforme digitali “MEDIOEGO”, il nuovo album di Inoki, uno dei vate del rap italiano. Romano, classe ’79, una vita difficile solo in parte salvata da un talento straordinario, l’ultima volta nei negozi di dischi era il 2017, ma si trattava di un mixtape
Il suo ultimo album vero e proprio risale addirittura al 2014 e le date nella narrazione di Inoki sono elementi fondamentali per capire alla perfezione l’unicità di “MEDIOEGO”, progetto che segna la presenza di quello che in gergo si chiamerebbe rapper “old school” nella narrazione del rap di oggi, quello che sta ai primi posti delle classifiche, che racconta una realtà comprensibilmente diversa da quella di un adulto, come è oggi Fabiano Ballarin, questo il suo vero nome.
Questo perché Inoki lascia i palchi più illuminati della scena in un determinato momento storico e quando ci rimette piede l’arredamento è completamente cambiato, il rap è il nuovo pop, solo che vende quattro volte di più del pop; quelli con i numeri più alti poi sono trapper che potrebbero tranquillamente essergli figli e non vivono più sul pianeta Terra ma in quelle che chiamiamo piattaforme, Instagram e Spotify su tutte, e non fanno altro che moltiplicarsi, spesso clonarsi.
Da un “vecchio”, e per giunta di tale evidente ed incrollabile stoffa, ci saremmo dunque aspettati un po' più di presunzione nell’imporre la propria idea di rap, una sonora sculacciata per far capire l’essenza più pura di un genere che, attenzione, si appresta nei prossimi anni a soppiantare anche i grandi del nostro cantautorato, cui musica, ahinoi, resterà solo mangime per nerd nostalgici.
Invece no, Inoki in “MEDIOEGO” compie un lavoro straordinario, riesce a costruire, mattone su mattone, un disco di una contemporaneità disarmante in cui però non si snatura mai. È lo stesso Inoki che gli appassionati di rap hanno imparato ad amare, quello che attraverso l’aspra narrazione di se stesso riesce a raccontare la realtà intorno a noi, specie quella più difficile, quella che soffocati nella nostra borghesia da due soldi spesso ci rifiutiamo di accettare.
Anche stavolta, in 18 tracce, Inoki ci disegna salite e discese della sua vita, il fondo e le nuvole, la strada e l’universo, ora che nella sua vita, e ne siamo lieti, c’è più stabilità, quindi hanno trovato spazio anche nuvole e universo. Inoki si è fatto adulto, è un padre, è un compagno, la vita l’ha inglobato, anche per questo risulta ancora più efficace la storia che propone in “MEDIOEGO”, anche per quello “MEDIOEGO” risulta una lezione, un modo per inchiodare il rap alla propria poetica, al proprio senso, prima che una manciata di finti gangster lo portino alla deriva.
“Medioego” è un ritorno, ti eri volontariamente posto fuori da una scena rap della quale eri protagonista, sei stato anche uno dei primi rapper a firmare con una major, come mai quella scelta ai tempi?
La mia prima esperienza con una major non è stata positiva purtroppo, non riuscivamo ad avere feeling, in quel momento il rap in Italia non si conosceva, io portavo già un tipo di rap che era un po' più avanti e non riuscivamo a trovare la quadra giusta, quindi ho preferito togliermi subito e ributtarmi nell’underground, che era il mondo dove mi sentivo a casa mia, in quel periodo non mi sentivo affatto a casa mia in una major.
Poi il rap ha preso tutta un’altra piega, adesso anzi ne ha prese altre dieci diverse, adesso mi sento a casa mia con Asian Fake, che non è una major ma è comunque di livello alto come produzioni, ed era quello di cui avevo bisogno ora. Poi in quel momento non mi dava alcun tipo di stimolo quell’ambiente, eravamo troppo diversi ad un certo punto, però adesso c’è la voglia, c’è l’intenzione di tornare a posizionarmi dove devo stare.
In che modo non scatta un feeling tra una major ed un artista? In che modo interviene?
Parliamo di altri tempi, c’erano altre persone, c’erano altri artisti che cavalcavano l’onda. Non ci trovavamo, proprio come gusti musicali, come cultura musicale, non riuscivo ad avere uno scambio stimolante, io gli facevo nomi che loro non conoscevano e loro mi facevano nomi che io non conoscevo, facevamo fatica ad andare a cena insieme, non sapevamo cosa raccontarci. Oggi è diverso, mi ritrovo a parlare con persone con le quali parliamo la stessa lingua, oggi abbiamo tantissimo feeling, in Asian Fake lavoriamo alla grande e poi si sente anche nella musica.
Oggi torni ma nel frattempo il rap è completamente cambiato, è esploso, come lo hai ritrovato?
Mi sono messo a lavorare su tutte le nuove tendenze, è stata una sfida, ho voluto affrontarla, ho voluto vincerla. Mi sono messo lì e mi sono studiato tutto le nuove wave del rap, anche per rinfrescarmi, era una cosa che volevo fare, mi piaceva.
Ho voluto dargli il mio taglio serio, ho voluto mettere il mio rap sopra la musica di oggi. Io comunque non mi sono snaturato particolarmente, forse nelle ritmiche, nei suoni, negli esperimenti sì, però alla fine i testi sono sempre i miei, la voce è sempre la mia, anzi, a volte vengo criticato per non andare tanto sul melodico, che è una cosa che hanno oggi che non sono riuscito ad entrarci ancora veramente, anche perché secondo me se sai cantare canti, se sai rappare rappi, queste vie di mezzo con l’autotune faccio ancora un po' fatica a cavalcarle, poi chissà, magari un giorno ci riuscirò anch’io.
La tua vittoria è stata questa, tornare restando totalmente in linea con quello che va adesso senza snaturarti…
C’è da dire che adesso ho un’età ed una consapevolezza diversa, perciò è diverso anche l’approccio. Ai tempi forse non ero pronto nemmeno io.
Mi fai il nome di un giovane che ti ha particolarmente colpito di questa nuova generazione?
Ne nascono tutti i giorni, è impressionante, ogni giorno ce ne sono dieci da scoprire. Mi piacciono più le robe legate alla strada, legate alle storie vere, più legate al disagio, perché è il mondo dal quale vengo io, quindi le sento più vicine a me, invece di quelle robe troppo troppo fashion. La mia wave è più tipo Tedua, tipo Paky…
Oggi ai primi posti delle classifiche troviamo brani trap, cosa pensi di quella particolare ramificazione del rap?
All’inizio non mi piaceva, non la capivo, la vedevo come una malattia venerea, “Si è preso la trap”, “Attento, mettiti il preservativo che sennò ti prendi la trap”, all’inizio ci scherzavo così, poi piano piano mi ci sono avvicinato anch’io, è una cosa divertente che sdrammatizza un po', che è anche giusto, ci sta.
Musicalmente ci sto entrando, sotto certi punti di vista mi piace, sotto altri meno, non mi piace tanto la superficialità, il rap è bello anche perché è poesia, è racconto di vita vera, a volte tutta questa fantasia, questa superficialità, mi spaventa un po', però sono ragazzi giovani, devono crescere, devono fare le loro esperienze, son sicuro che ad una certa età non riusciranno più a dire certe cose.
Secondo te in Italia il rap rappresenta ancora un mezzo di denuncia? Una musica buona per affrontare tematiche sociali?
Questo dipende dagli artisti, dipende da quello che una persona vive e si sente di voler trasmettere. Io credo che la musica possa sempre essere un mezzo di denuncia sociale o di specchio della società. Non credo che dipenda dal rap, dal rock, dal reggae o dalla techno, dipende da quello che l’artista ha da esprimere.
Credi che ci sia una crisi di contenuti nel rap di oggi?
Si, ma perché c’è una crisi di contenuti nella società secondo me, io credo che sia anche quello, e ci si confronta sempre meno con la realtà. Siamo in un momento in cui non ci parliamo più di persona, quindi i contenuti diminuiscono, sono tutti contenuti di seconda mano, è quello il problema, vivendo sempre meno la realtà e sempre di più il telefono purtroppo i contenuti sono telefonici, poi è normale che uno nel rap ti parla di like su Instagram, se uno vivesse il cantiere, se vivesse la vita reale, sono sicuro che avrebbe da raccontare cose più reali.
Io mi ero dato una spiegazione alternativa, più legata al successo del rap e al fatto che le tematiche sociali non sono un prodotto che si vende tantissimo…
Questo dipende dalla persona, perché se tu senti di dover dire quella cosa, può arrivare anche la più grande multinazionale, ma tu sentirai sempre di dover dire quella cosa. Se invece fai rap solo per avere successo e poter vendere di più, è un altro tipo di strada.
Se tu come artista hai bisogno di esprimere una cosa la esprimi, se tu invece hai voglia di fare carriera e fare soldi andrai più in quella direzione. Io credo che più gente ti ascolta e più devi dire cose serie, c’è chi la vede al contrario.
Tornando a Medioego, la cosa che ha sorpreso un po' tutti è la partecipazione di Salmo con il quale avevi avuto un cosiddetto dissing, non mi interessa come abbiate risolto, siete due adulti e due artisti bravi, è facile immaginarsi come possiate aver risolto, ma sono in molti a chiedersi come mai nel rap nascano questi dissing…
Adesso nasce per far parlare di sè, purtroppo adesso è diventata una tecnica di marketing, prima no, prima se ti stava sul c….o uno, accendevi il microfono e iniziavi a dirgli di tutto, io l’ho sempre vissuto così il dissing, adesso infatti non mi piace più questa pratica, perché è diventata marketing, non è più dissing, è un’altra cosa.
Finché era una sfida che poteva stimolare a migliorarsi, era una cosa bella, adesso che è diventato altro è una cosa simpatica, che fa ridere, ma nulla di più, non mi da alcun stimolo a livello musicale, quindi non mi interessa più.
Il dissing che c’è stato con Salmo ai tempi è stato uno scontro giovanile di teste calde che si sono affrontate utilizzando la nobile arte del rap, che è molto meglio di fare a pugni, per noi rapper ovviamente. Oggi non è più così quindi non mi interessa, quando ritorneranno ad esserci veri dissing può essere che qualcuno magari lo faccio anch’io, ma al momento sto talmente bene con me stesso e con l’universo che non mi va di dissare nessuno.
Com’è stato lavorare con lui?
Salmo è un poliedrico, è un fenomeno, fa qualsiasi cosa, parli con lui di una cosa e te ne dice altre dieci, è una macchina da guerra a livello creativo e ti puoi solo che trovare bene.
E com’è nata invece la collaborazione con Noemi? Ho rivisto la tua discografia e mi sembra la collaborazione più pop che hai mai fatto, no?
È il mio brano preferito perché è il tipo di rap che vorrei fare sinceramente. È più maturo, più adulto, più poetico. Noemi è una vera cantante mentre io no, quindi lei mi ha dato quel sapore di cui avevo bisogno per provare ad essere più musicale, invece di utilizzare l’autotune ho chiamato una cantante vera. Visto che c’era stima reciproca è nato molto naturale, ti dirò che è stata la cosa più facile di tutto il disco, è uscito naturale sia da parte mia che da parte sua.
Tra i brani di “MEDIOEGO” qual è quello che più di tutti consiglieresti per conoscerti davvero, come persona e come artista, quello che ti rappresenta di più…?
Forse “Immortali” e “Ispirazioni”, la canzone con Noemi mi rappresenta tanto come uomo oggi, è quella che mi piace di più ed è la strada sulla quale vorrei continuare a camminare, assolutamente.