AGI - Anche questa settimana tornano le recensioni dell’AGI per districarvi nel tempestoso universo delle nuove uscite discografiche. I Boomdabash danno il via a quello che potrebbe essere un nuovo filone: il tormentone natalizio, la loro “Don’t Worry” è un grido di speranza incoraggiante in questo momento così delicato. Torna con una nuova uscita Frah Quintale, l’anello di congiunzione tra il rap e l’indie, con una lettera d’amore talmente struggente che al confronto Montale è Eddie Murphy. In zona rap fuori nuovi brani di Nitro e Nerone, mentre sul versante talent Sofia Tornambene ci mostra perché vincerne uno non è che sia sta gran fortuna. Torna ad un disco (meraviglioso) di inediti dopo anni Moltheni, uno dei cantautori più interessanti della musica italiana d’autore degli ultimi tre decenni. L’uscita da non perdere è il singolo di Tricarico, poesia di rarissima fattura. Chicca della settimana: Pablo America, un folle alla corte dell’itpop.
Boomdabash – “Don’t Worry”: Sarebbe bello se questa “Don’t Worry” diventasse la hit di questo Natale perché, semplicemente, ci vuole proprio in questo momento un coro di bambini che ci dice, ci prega, ci scongiura, di non preoccuparci. Un testo semplice e diretto, un dipinto della speranza in salsa salentina. Una buona idea.
Frah Quintale – “Gabbiani”: Rap nostalgico, di matrice essenzialmente cantautorale, come quasi tutta la produzione del rapper bresciano, che suona come il sapore della sconfitta che tutti noi sentiamo quando le storie finiscono male. Una lettera d’addio struggente in musica decisamente sconsigliata a chi non sta vivendo un periodo felice in termini di relazioni amorose. Non il brano che sceglieremmo di fare ascoltare se dovessimo convincere un uomo in preda a problemi di cuore che staziona indeciso su un cornicione. Ma è ben fatto, punta dritto dove vuole arrivare e quando arriva non bussa, sfonda la porta. Bravo. Come sempre.
Tricarico – “Mi manchi negli occhi”: Una poesia che lascia senza fiato, che ti spiazza, che ti smonta i muscoli delle spalle, che ti commuove, che ti lacera di gioia. Tricarico è tornato e lo ritroviamo così come lo abbiamo lasciato, con quella sua poetica nuda, rarefatta, originale. Una canzone per ringraziare di un amore immenso, che può dedicare un padre a un figlio, un uomo alla propria donna, una donna alla propria donna, un uomo al proprio uomo, un uomo al proprio cane, un cane al proprio albero, un albero al vento, il vento al mare, il mare al sole, il sole a tutti quanti. Un “grazie” universale per un amore universale che ti porta in cielo un pezzo di cuore, un brano che illuminerebbe qualsiasi giornata, utile in un periodo così complesso in cui ci dovremmo tutti ricordare di dire grazie per qualcosa, grazie a qualcuno. "Sai qual è la cosa più bella quando mi manchi? Che tra poco ti vedo e mi risplendi negli occhi"….wow.
Dente – “Questa libertà”: Dente è ormai un autore fondamentale per la scena musicale italiana, la sua capacità di restare leggero, strutturato e profondo, di scovare l’introspezione anche negli aspetti più superficiali della vita di tutti i giorni, non ha prezzo.
Nitro fea. Vegas Jones – “Ossigeno”: Brano che non fa altro che confermare come Nitro e Vegas Jones siano due dei rapper più maturi e illuminati della scena italiana, di una generazione di rapper che ha finalmente preso quella massa di parole a disposizione nella nostra bellissima lingua per combinarle insieme e dire qualcosa di sensato; o poetico, come in questo caso.
Nerone feat. Clementino – “Radici”: Match rap amichevole old school, Nerone e Clementino si uniscono per raccontare le proprie radici, geografiche e artistiche. Il bello del rap è che il passato non passa mai.
Sofia Tornambene – “Solo”: Il brano è stato presentato giovedì scorso come antipasto della finale di X-Factor, il formattino che hanno chiamato “Ante Factor”. Gli autori non se la sono sentita di metterla dentro la scaletta della finale di un talent televisivo che lei ha vinto una manciata di mesi fa, per poi sparire nel nulla, vittima della propria debolezza, dell’ingordigia di non saper aspettare il proprio momento per proporsi in un mercato discografico mai stato così feroce. Il risultato è che quando è stata presentata nessuno sapeva bene esattamente di chi si stesse parlando, che dopo mesi durante i quali si è provato invano a valorizzare quel che la giovanissima cantautrice sapeva fare (comprensibilmente poco), oggi a quanto pare si è passati a provare a vedere se funziona facendole fare quello che non ha mai fatto. Così via di autotune, di produzioni supercool, “magari con questo mezzo pasticcio di suoni qualcuno riusciamo a fregarlo – devono aver pensato - magari riusciamo a tenerla a galla”, ma il tentativo fallisce miseramente, il pezzo è assai brutto, la ragazza assai immatura, il futuro assai cupo.
Moltheni – “Senza eredità”: Dannato Umberto Maria Giardini. C’avevamo messo più di un decennio a metterci alle spalle il tuo alter ego Moltheni, abbiamo pagato psicologi per convincerci che quelle canzoni splendide, splendide, splendide, fossero solo frutto della nostra immaginazione, che forse non erano mai esistite, ce le eravamo soltanto inventate. E così i ricordi che le accompagnavano, le feste, la scuola, le uscite, i ritorni a casa di notte con la tua musica nelle cuffiette, le ragazze alle quali dedicarla quella musica, che ha sempre riempito l’aria attorno a noi come la più chirurgicamente precisa delle colonne sonore… E invece oggi torni, torni con un disco praticamente perfetto, quel Moltheni che conoscevamo noi, quello di autentici capolavori come “Il circuito affascinante”, “In centro all’orgoglio” e “E poi vienimi a dire che questo amore non è grande come il cielo sopra di noi”, però più maturo, tirato per le orecchie di nuovo dentro il ring da questa musica di oggi che non solo non assomiglia nemmeno per sbaglio a quella di fine anni ’90, ma comincia a non assomigliare più nemmeno alla musica. “Senza eredità” più che un titolo è una sentenza: non ci sono eredi di Moltheni, non ci sono eredi di quel mondo, la rivoluzione digitale ha fatto si che nascessero intere generazioni di artisti morti che si aggirano nella discografia come zombie che per moltiplicarsi, invece di mordere, cantano. “Senza eredità” è bello, tutto, da far male, come il tempo che passa, come i ricordi che svaniscono, tutta una vita sulla punta della lingua senza riuscire mai ad afferrare bene il succo di quello che succede. Ecco, un disco di Moltheni provoca pensieri di questo tipo. Dannato Umberto Maria Giardini.
Scarda – “Ti ricorderai”: Scarda non è solo bravo, Scarda è capace di prendere il proprio talento e gestirlo, e crescere, e alimentare la curiosità di farlo girovagare libero a proprio piacimento senza snaturarlo mai. “Ti ricorderai” ancheggia provocante con i nostri sentimenti andando a stuzzicare qualcosa di intimo che preferiremmo non venisse mai visto o sfiorato da nessuno, poi clicchi play e scopri che Scarda, addirittura, lo canta.
Pablo America – “Noi non siamo il punk/Grabowski”: L’ultima creatura di Maciste Dischi dirompe nelle orecchie come uno che ti fa la mano morta sul tram, che non è tanto la sgradevole molestia sessuale ma più che altro che, giustamente, fa saltare i nervi il fatto che qualcuno possa pensare di fare ciò che gli pare e piace con qualcosa di tuo, che sia il fondoschiena oppure, in questo caso, le orecchie e il tempo. In due giorni passa dalla vasconiana e meravigliosa “Noi non siamo il punk” al cantautorato elettronico e approfondito di “Grabowski”… Chi diavolo sei Pablo America?? Come ti permetti di imporre cotanta bellezza senza bussare, con questa affascinante strafottenza? Ma soprattutto, ci si può innamorare perdutamente e all’istante di uno che come primo approccio ti fa la mano morta sul tram? Chiedo per un amico.
Clara – “Freak”: Debutto felice e immaturo, come tutto sommato è giusto che sia. È tutto un po' confuso e intimo, un mischione pop/R&B che comunque si mantiene stabile su un testo notevolmente strutturato per una classe 1999. Non si capisce se vuole mostrare qualcosa che ha dentro o vuole solo partecipare alla festa, staccare un biglietto per l’isola del pop all’italiana. Ci lascia dubbiosi e speranzosi.