T orna la rubrica che vi permette di affacciarvi sulle nuove uscite discografiche per ciò che riguarda l’italico mercato. Questa settimana Gigi D’Alessio si diverte con i giovani colleghi trapper e insieme rivendicano il riscatto musicale di Napoli; bravissimi. E poi, Tiziano Ferro canta De Gregori, la Mannoia canta Ultimo, Tommaso Paradiso canta se stesso e forse il problema sta proprio lì, perché i risultati non sono esaltanti. Chicca della settimana “Bella” di Tancredi.
“Buongiorno” - Gigi D’Alessio: Si ok, ci avessero detto anche solo qualche mese fa che presto ci saremmo dilettati nel dissertare a proposito di un disco che rivisita le maggiori canzoni del repertorio in dialetto napoletano di Gigi D’Alessio in chiave trap, istintivamente avremmo anche calcolato che la suddetta eventualità si sarebbe concretizzata soltanto in una realtà parallela apocalittica; ed effettivamente non avremmo sbagliato di molto.
Però quelle versioni di noi, certamente più altezzose, non potevano prevedere che parte della migliore produzione musicale degli ultimi mesi provenisse proprio da Napoli e che il dialetto napoletano, qualora ce ne fosse stato bisogno (e secondo noi, in un certo senso, ce n’era bisogno), sarebbe stato sdoganato dai cliché legati alla natura vagamente trash del neomelodico e che, soprattutto, avrebbe rappresentato la lingua madre di una nuova generazione di cantautori pronti a smantellare, spesso nonostante la giovanissima età, i pregiudizi creati dai primi esperimenti trap, quasi totalmente disastrosi.
Per cui, l’incontro agrodolce tra quel Gigi D’Alessio, che del neomelodico era lo zar assoluto, e questo nuovo sound che ormai spadroneggia le classifiche più attendibili, risulta non solo sensato ma anche particolarmente gustoso. Si percepisce forte e chiaro il divertimento da entrambe le parti nel miscelare poetiche così diverse, anche anagraficamente, la voglia di rimandare al mittente qualsiasi pregiudizio riguardi una città bella e martoriata in maniera scioccante come Napoli, custode di una cultura intramontabile, immortale; alla faccia degli snob come noi.
“Rimmel” - Tiziano Ferro: Tiziano Ferro che coverizza De Gregori che coverizza Dalla “che al mercato mia madre comprò”; il panorama è penoso, siamo in piena emergenza COVER. “Rimmel” è solo il primo singolo di un intero album che il cantautore di Latina vuole dedicare alle canzoni degli altri e il significato di tale operazione, in tutta onestà, ci sfugge.
Soprattutto perché il buon Tiziano è molto bravo a fare quel che fa, se ci si vuole divertire a cantare classici del repertorio italiano esistono le piazze di provincia, le basi MIDI da scaricare da Internet, una quantità infinita di limoncello e tavoli di plastica da cavalcare ubriachi; e la serata va via che è un piacere. Anche perché i risultati, nel 90% dei casi, non è che poi siano questo granché, la “Rimmel” di Tiziano Ferro per esempio resetta la potenza ruvida della poetica di De Gregori, così lontana, vintage, affascinante, che tirata via dal suo tempo ben preciso e portata a braccetto da sonorità e interpretazione così contemporanee, perde tutta la sua verve. I
nsomma, ci sono certi brani che sono intoccabili non solo perché spinosi da reinterpretare, ma anche perché così fortemente legati anche alla memoria di chi li ha scritti e di chi li ascolta da sempre. Una cover può riuscire, a Tiziano Ferro “Perdere l’amore” di Massimo Ranieri, che sarà presente nell’album cantata proprio in duetto con Massimo Ranieri, per esempio, viene proprio da Dio, ma prima di tutto bisogna saperle scegliere e non ci sembra che “Rimmel” sia stata ‘sta gran genialata di idea.
“Ricordami” - Tommaso Paradiso: La canzone è oggettivamente brutta, il fatto che richiami ad altre canzoni, come viene rimproverato al cantautore romano da pubblico e critica, e sono state citate a ben ragione “Occhi di gatto” ed “è quasi magia Johnny” di Cristina D’Avena, “Mamma Maria” dei Ricchi e Poveri e “Semplice” di Gianni Togni, ci sembra proprio il minimo; risultato di una cultura che più che vintage ci sembra poverella di contenuti e riferimenti.
Il problema più grave che attanaglia Tommaso Paradiso dall’ultima fase dei Thegiornalisti in poi è la sua totale incapacità di risultare autentico in ciò che scrive e compone. Ed è di questo che forse dovremmo discutere per quanto riguarda “Ricordami”, che amplifica in maniera piuttosto imbarazzante questo aspetto della produzione di Paradiso e fa venire in mente che forse la sua non sia incapacità, ma proprio mancanza di volontà. Trovi un modo comodo e sicuro di scrivere canzoni, ti ci attacchi reimpastando sempre la stessa patetica robetta pop/romantica, nel frattempo vendi il marchio su Instagram, e tutto finisce lì. Non c’è altro.
La cosa più demoralizzante in tutta questa storia è che chi casca nel tranello tiene alti i numeri, così il modello Paradiso coinvolge tutto il pop italiano che si mette, o è costretto a mettersi, sulla sua stessa scia per trovare spazio in un mondo sempre più piccolo. La cosa più deprimente invece è constatare quanto tutto questo malloppo di roba con la musica non c’entra niente, che Tommaso Paradiso è riuscito a spostare il focus, a prendere la musica, che è cosa assai seria, e utilizzarla come mezzo per autopromuoversi, per alimentare il proprio ego ingordo di like e views.
Potremmo sbagliarci e valutare l’ipotesi che le canzoni di Tommaso Paradiso siano sua pura espressione artistica, ma non è che l’alternativa gli faccia gioco, perché allora dovremmo semplicemente considerare “Ricordami” un pezzo brutto, sbagliato, elementare, superficiale, disonesto, scritto da un cantautore che non ha proprio nulla da dire. Insomma, o è un furbetto o è scarsetto, in entrambi i casi non ne esce benissimo.
“Chissà da dove arriva una canzone” - Fiorella Mannoia: La Mannoia è pur sempre la Mannoia, voce senza tempo che in certe canzoni ci sguazza che è un piacere, un piacere anche per noi che ascoltiamo. Niente di nuovissimo, ok, ma in un’epoca di pressappochismo assoluto ascoltare musica prodotta con mestiere diventa occasione da festeggiare con il vino buono.
Il testo di Ultimo conferma la capacità del ragazzo romano di scrivere roba ben strutturata e funzionante, il suo successo non può più rappresentare una sorpresa, il problema di Ultimo (perché qualcosa che non quadra c’è sicuramente) forse è un pizzico di incertezza sul futuro, prima di tutto perché arrivare troppo in alto troppo in fretta non è per forza un bene, e poi perché ora bisognerà capire se la sua musica riuscirà a crescere insieme a lui e al suo pubblico di tredicenni. Ma, l’abbiamo detto, è un problema di Ultimo.
“Popclub” - RIKI: Con questo disco RIKI sostiene di volersi scrollare di dosso l’etichetta di ragazzo da talent; compito arduo, specie se poi una volta fuori dalla scuola Mediaset la produzione è così povera di luce. Potremmo restare a lungo a discutere le undici tracce dell’album ma sarebbe operazione che farebbe perdere tempo a chi scrive e a chi legge; la vera domanda che viene fuori alla fine di un ascolto che dovere morale e professionale impone è la seguente: dove si aspettano di arrivare con musica di questo tipo? Ok, sull’onda dello share televisivo e di un aspetto da teen idol si può tirare a campare per un po', ma qui il livello è oggettivamente talmente basso che sembra quasi che la musica sia un qualcosa di accessorio in un meccanismo di marketing più ampio.
Spiace dirlo, perché sembra poi che ci si accanisce, ma l’unico vero segreto per fare carriera nella musica è produrre buona musica, e qui stiamo completamente fuori strada. I brani di “Popclub” non sono veri brani come RIKI non può essere considerato un vero e proprio musicista.
“Pusher Love” - Livio Cori feat. Enzo Dong: Forse preferivamo Livio Cori quando lo credevamo Liberato. Scherzi a parte, l’impinnata della trap in dialetto napoletano coinvolge pure il nostro Cori, che insieme a Enzo Dong confezionano un pezzo né meglio né peggio della media offerta in questo momento dal mercato. Non è un pezzo irripetibile ma si fa ascoltare pur restando lontano dalla geniale raffinatezza di colleghi come Geolier.
“Bella” - Tancredi: Brano contemporaneo e funzionante, Tancredi gioca a miscelare pop e rap e il cocktail che ne viene fuori si fa bere volentieri. Il futuro orbita da queste parti.