N elle ultime settimane protagonista assoluto di tutte le classifiche di tutte le piattaforme è Tedua, rapper genovese classe 1994. Il suo terzo album, “Vita vera – Mixtape aspettando la Divina Commedia” ha raggiunto numeri da capogiro per un artista che rappresenta perfettamente il passaggio deciso e definitivo del rapper allo status di cantautore. Ventidue tracce in tutto, con alcuni dei rapper e trapper più influenti del panorama italiano, come Massimo Pericolo, Gemitaiz, MadMan, Tony Effe, Capo Plaza e Sick Luke. Una musica che parte da un’esigenza vera, testi che non si perdono in inutili spacconerie ma tentano di raccontare qualcosa di intimo senza risparmiarsi mai. Anzi, una gran voglia di raccontarsi, non è un caso infatti che il disco sia stato anticipato da un mini documentario in cui Tedua, Mario Molinari all’anagrafe, ripercorre la propria infanzia, raccontandola con l’inconfondibile voce di Luca Ward, fino alla vigilia della scoperta del rap. Un momento che cambia la vita di Tedua che trova evidentemente il linguaggio che più gli si addice per esprimersi, per stare al mondo.
“Non ne ho parlato perché in questo documentario racconto solo aneddoti relativi all’infanzia, ai primi dieci anni di vita, la musica arriva alla fine di quel periodo. Mia madre mi faceva ascoltare rap alle elementari, da Eminem ai Gemelli Diversi, i Flaminio Maphia, gli Articolo 31, fino ai 50cents, Snoop Dog, ma anche i Lunapop, che rap non erano ma che mi insegnarono le linee melodiche del pop italiano, poi più tardi sono arrivati i cantautori. Arrivato in prima media, nel mio quartiere, Lotto, il sabato facevano le jam, io sbarbatissimo andavo lì in bicicletta con i miei amici, alla quarta/quinta volta ho iniziato a partecipare e a vincere anche qualche battaglia, mio fratello di sette anni più grande mi regalò un disco con 300 canzoni rap americane e con quella roba lì mi sono formato”
E poi il passaggio ai tuoi testi, no?
“In maniera del tutto prematura già in prima media scrivevo testi e facevo freestyle, lì mi sono detto “da grande voglio fare il rapper”, già sentivo l’energia dentro, cantavo e recitavo davanti allo specchio, ero predisposto al mondo dello spettacolo”
Cosa ti dava il rap in quel momento?
“Ascoltando Eminem ai tempi ero convinto che il rap lo potesse fare solo chi aveva problemi familiari, perché se non venivi da un passato tormentato in famiglia o di povertà non potevi, infatti ai tempi nessuno rappava a parte gli scappati di casa; la gente borghese non rappava perché il rap lo facevano i poveri, alla fine invece è diventato davvero il nuovo modo di fare poesia, di fare cantautorato”
Credi che il rap ancora abbia il compito di raccontare un disagio sociale?
“Il rap nasce dai disc jockey, l’mc doveva intrattenere; è dopo, quando si sono resi conto della sua forza che hanno utilizzato il rap come corrente di pensiero rivoluzionaria. Ma oggi non è la stessa cosa, perché oggi i ragazzi non fanno politica, ma nemmeno in maniera pressapochista, non la fanno proprio e quindi che cazzo deve denunciare il rapper se è tutto superficiale? Ai tempi il rapper era un osservatore, quindi anche se i rapper in quella canzone doveva vantarsi del suo orologio aveva la lirica di un osservatore, ti diceva quelle cose che il tuo conscio pensa ma il tuo subconscio non realizza, e allora te lo diceva il rapper. Molte volte i rapper non sono più osservatori allora io, ascoltatore, cosa devo sentirmi dire?”
Però la tua musica unisce il cantautorato rap impegnato al successo commerciale, si sente che hai un’idea, qualcosa da dire, cosa che spesso in molti tuoi colleghi manca…
“Secondo me il punto fondamentale è non glorificare la roba commerciale, perché non ha senso. È giusto che quella roba esista, è giusto che le persone ballino e si divertano col rap fatto con meno malizia, ma non mettiamolo sullo stesso piano con altro rap. Il problema è che non c’è più cultura nemmeno nel fare le hit commerciali. In questa biblioteca musicale il cliente non ha alternative”
E allora cosa ci aspetta in futuro?
“Torneremo a De André, io mi sento il De André dei poveri, sono l’unghia di De André, però almeno sono un’unghia, ed è normale che io sia un‘unghia, i ragazzi non fanno più simili esperienze, io non esco mica di casa con Paolo Villaggio, ma che compagnia era? Facevano vita da strada con argomenti da laureati, quella era vita culturale, artistica, mica le cazzate dei radical chic. Ma questi discorsi non li capiscono tutti, i sedicenni se faccio sti discorsi, nei commenti mi prendono per il culo, dicono che faccio il forbito finto intellettuale”.
Cosa ti da oggi il rap?
“Ti do due risposte, una è una citazione, l’altra da parte mia. La citazione è del mio maestro Dargen D’amico: “Il rap per me è fare finta che domani muori”, la mia risposta è che non lo so, probabilmente ho sempre usato il rap come una seduta psicologica per gonfiare e sgonfiare e far quietare il mio ego e tutte quelle emozioni che un ragazzo sensibile, profondo, fragile dal punto di vista emotivo vive”
C’è qualcosa che ruberesti a qualche collega?
“Io rubo, ho già rubato la fame a Jack La Furia, ho rubato l’eleganza a Gue Pequeno, ho rubato i concetti a Dargen D’Amico…io ho sempre rubato, come i veri geni, che anziché copiare rubano, ti assicuro che io rubo sempre. Il problema è la gente che non riesce a rubare da me, questo mi rende orgoglioso; poi se vuoi una risposta da rapper gangster alla domanda “cosa ruberesti ai tuoi colleghi?” ti risponderei “le collane” (e ride). A parte gli scherzi questa cosa del rubare agli altri è sempre fatta con rispetto ed è possibile solo tra chi tratta il rap con purezza. Una cosa che non rubo, sia chiaro, sono le composizioni melodiche, la linea melodica non si ruba, ci si può ispirare eh, tante volte parti da una melodia e ne fai un’altra, ma è il tuo subconscio che lo fa”
Perché “Vita Vera”?
“Vita vera perché non è una vita nuova, vera perché promuovo la veridicità delle emozioni, poi il concetto di “true life” ha dominato gli anni 2000 dell’hip hop , “vita vera” quindi è un grande classico”
Restando sul titolo, “….aspettando la Divina Commedia”, inteso come l’opera della vita o ti senti un po' Dante in un percorso?
“Aspettando è una parola geniale, è tutto, la interpreti come vuoi, ogni volta che tua mamma diceva “devi aspettare” e tu aspettavi e l’attesa diventava il piacere stesso. Il prossimo disco sarà una commedia divina, bisogna aspettarla, bramarla”
Qual è lo stato di salute del rap in Italia? Ormai non ci sono più limiti geografici, la vostra musica finisce nelle classifiche globali…
“Sinceramente il primo obiettivo, tralasciando l’America che è ambita da tutti e sulla quale stiamo facendo un grosso lavoro, io infatti non mi vergogno mai a glorificare Sfera per quello che sta facendo all’estero, è quello di mettere l’Italia su un piedistallo in Europa, farci vedere sempre di più da francesi, tedeschi, spagnoli e inglesi ad alto livello, che non ci guardino dall’alto in basso. Comunque tutto il rap italiano sta crescendo, i ragazzi imparano a farlo sempre meglio, ci sono sempre più giornalisti pronti, major pronte, pubblico pronto, palcoscenici pronti…”