E zio Bosso è morto. Stroncato a 48 anni nella sua casa di Bologna da una malattia neurodegenerativa contro la quale aveva lottato con le unghie e con i denti e che, col tempo, gli ha rubato quello che più amava: la musica. Il pianista e direttore d'orchestra, che conviveva con la patologia dal 2011, ha continuato a suonare nonostante l'handicap acquisito dimostrando un coraggio e un talento che hanno commosso l'Italia intera, e non solo.
Nel settembre del 2019, in occasione della 83esima Fiera del Levante di Bari, Bosso ammise di non poter più suonare esortando tutti a non chiedergli più di farlo. "Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare. Non sapete la sofferenza che mi provoca questo, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza. E quando saprò di non riuscire più a gestire un'orchestra, smetterò anche di dirigere".
Nato a Torino il 13 settembre 1971, Bosso si avvicina alla musica all'età di quattro anni, grazie a una prozia pianista e al fratello musicista. A 16 anni esordisce come solista in Francia e incomincia a girare le orchestre europee. La svolta arriva poco dopo quando approda all'Accademia di Vienna che lo lancia sulla scena mondiale. Una carriera in ascesa fermata solo dalla scoperta della malattia. Dopo una pausa forzata Bosso ricomincia una più intensa attività concertistica fino a quella che, si legge sul suo sito internet, verrà considerata "la tournée di musica classica più importante della storia italiana, e che lo vedrà reduce da una lunga serie di trionfi alla testa di alcune delle migliori orchestre italiane e internazionali nella riconquistata veste di direttore d’orchestra".
Bosso è un nome altisonante della musica classica ma conosciuto anche negli ambienti 'pop': riceve due nomination al David di Donatello per le musiche di "Io non ho paura" nel 2004 e per "Il ragazzo invisibile" nel 2015. Indimenticabile la sua interpretazione di "Following a bird" sul palco di Sanremo nel 2016.