“La realtà non può essere questa” è il titolo del brano composto dai fratelli Edoardo ed Eugenio Bennato cui proventi saranno devoluti all’Azienda Ospedaliera dei Colli (Monaldi – Cotugno – C.T.O.) di Napoli.
Un titolo, una canzone, si, ma molto di più, “la realtà non può essere questa” va ben oltre la retorica della beneficenza, è l’invito a fermarsi un attimo, a capire cosa siamo diventati, a cosa ne stiamo facendo del nostro mondo. Il Covid-19 allora non è più semplicemente un virus, ma la metafora del male che l’uomo infligge a se stesso, un’influenza che colpisce tutti, non solo i singoli, un campanello d’allarme che dovrebbe indurci a pensare che se ci guardiamo attorno, a prescindere dal coronavirus, tutto sta andando a rotoli. È questo quello che si prova e si intuisce ascoltando il brano ed è questo che ci confermano i fratelli Bennato raggiunti al telefono: “Un pezzo moderno, che parla di una realtà inconcepibile, assurda, che dobbiamo cambiare. Aldilà dei trattati di sociologia o di geopolitica Eugenio ha fatto un testo che è poesia, perché il nostro obiettivo è quello di dare buone vibrazioni agli altri con la musica”
Quand’è che avete sentito il bisogno di scrivere questa canzone? C’è stata un’immagine o una storia che vi ha colpito particolarmente? Ne abbiamo sentite tante in questi giorni…
“Certamente le immagini, ci sono state offerte in questo periodo inimmaginabile delle immagini nuove. La prima che mi balenava davanti agli occhi quando ascoltavo questa musica è stata l’immagine di un trombettista che si affaccia al suo balcone e lancia le sue note, una melodia nazional-popolare, se non sbaglio era Verdi, “Va’ pensiero”, nel silenzio circostante. Ecco, questa immagine del balcone che inquadra, come in un grande palcoscenico di teatro, un personaggio che lancia una melodia, è un’immagine nuova, anche perché tutto intorno è tutto fermo ad ascoltare. Quindi sono partito da questo, dalla consistenza, dalla rilevanza che ha preso il balcone nella nostra vita e nella nostra storia di questi giorni. Il punto di partenza è stato quello.”.
Nel pezzo cantate “La realtà è tutta da rifare”, ecco quello che colpisce di più del vostro brano è che sembra non riferirsi ad un determinato momento storico legato all’emergenza sanitaria, ma ad una realtà che anche prima era malata.
“Ci siamo guardati bene dal fare qualcosa che in qualche modo si riferisse all’emergenza, la prepotenza del mondo virtuale, del mondo digitale, della globalizzazione rispetto alle cose più semplici e dirette, è un’opera che prescinde dall’emergenza. Questo mondo virtuale, che rende sempre più inconsistenti e immateriali i messaggi, tende a sopraffarci e il vero senso del pezzo è questo: la realtà è tutta da rifare. E ce ne accorgeremo adesso che si riprenderà al di fuori dell’emergenza”.
Nella vostra ricomposizione della realtà da dove dovrebbe ripartire la musica?
“È chiaro che in questo momento a livello dirigenziale, questo problema della musica non è prioritario e già in passato non è che si tenesse tanto in considerazione la musica. Tanto che nei telegiornali le notizie della musica vanno alla fine, dopo quelle dello sport. Diciamo che è considerato un bene superfluo, un’attività che non incide nella vita della comunità. In effetti la musica può essere importante, è stata sempre importante, magari anche senza che ce ne rendessimo conto, io continuo a ripetere che anche la cortina di ferro a suo tempo è crollata anche grazie agli input della musica. La musica anche se non sembra può cambiare il modo di pensare della gente, tra l’altro quando si parla di realtà che dev’essere modificata è chiaro che era davanti a tutti noi che c’era qualcosa che non funzionava, qualcuno ha detto che questo virus è cattivo, è subdolo, non si vede, non si fa vedere, è impalpabile, è invisibile, però se è vero, come è vero, che questo virus è invisibile, i germi di questo virus erano presenti anche a livello di fatti e di situazioni negative, paradossali, schizofreniche, che erano davanti ai nostri occhi da mesi, da anni, da decenni”.
Ci vuole una rivoluzione culturale dunque?
“La realtà dev’essere cambiata e questo sarà un problema perché bisognerà cambiare il modo di vivere, di pensare, delle singole persone e della collettività, e uniformare la libertà propria e la libertà degli altri. È un input necessario, quindi è chiaro che noi siamo ottimisti, noi scriviamo canzoni e creiamo buone vibrazioni, perché siamo ottimisti, abbiamo delle figlie adolescenti, sia io che Eugenio, quindi il futuro ci intriga, ci interessa, ci preoccupa. Speriamo che scatti questa molla, questa scintilla e che il futuro sia migliore”.
Sarete ospiti del Concertone del Primo Maggio più triste di sempre
“C’è una frase in questo brano: ‘Le chitarre che suonano da sole nel silenzio di nessuna festa’, ecco speriamo che in futuro le chitarre non suonino da sole, la festa del primo maggio è un esempio, la festa per antonomasia, la festa per eccellenza, in cui in una piazza enorme arrivano decine di migliaia di ragazzi da tutta Italia; questo evento non si farà quest’anno, io ed Eugenio parteciperemo però avverrà nel chiuso delle nostre case e quindi in questo caso le chitarre suoneranno da sole nel silenzio di nessuna festa, perché una festa non c’è, speriamo che l’anno prossimo ci sia”.
I fondi racconti con questo brano andranno all’ospedale di Napoli; ecco, in questa vostra nuova ipotetica realtà, immagino non ci sarà ancora qualcuno che andrà in tv a dire che i meridionali sono “inferiori”. Voi quando avete sentito quella frase come vi siete sentiti?
Eugenio: “La contrapposizione nord/sud non esiste, se c’è qualche persona fuori dal tempo che ribatte su questa distanza è un problema suo. Un problema che ha a che fare con l’incapacità di viaggiare e probabilmente c’è qualche giornalista che da parecchi anni non fa viaggi, il viaggio nel senso dell’approcciare alla diversità e riconoscere quale arricchimento può venire dal confronto. Io avverto attorno a me, sia personalmente che da quello che mi sembra di cogliere da Napoli, dal sud, che per noi il problema di Milano, della Lombardia, è un problema che riguarda anche noi, sia strategicamente sia emotivamente, quindi non avverto nessuna distanza, siamo vicini e speriamo di tornare presto a fare concerti al nord, che sono stati sempre la nostra ricchezza. Io faccio una musica del sud, l’ultimo concerto che ho fatto è stato a Bergamo a capodanno, c’erano 10 mila persone, c’è stata una grande risposta, quindi noi con la musica abbattiamo queste differenze che non ci riguardano. Viva l’unità di intenti tra sud e nord”
Edoardo: “Qualche giorno prima di scrivere questa ballata con Eugenio, con i miei musicisti c’eravamo inventati una formula per suonare ognuno da casa nostra e abbiamo registrato dei pezzi, tra questi ‘Italiani’, che parla proprio dell’italianità: ‘Noi maledettamente piemontesi e napoletani, ma semplicemente italiani’, questo testo la dice lunga sul nostro modo di vedere le cose, svincolati dai pregiudizi, dai luoghi comuni e dalla contrapposizione ridicola tra nord e sud”