S i intitolano “Guerre fredde” e “La rabbia” i due nuovi brani dei Coma_Cose, disponibili da venerdì su tutte le piattaforme per l’ascolto di musica in streaming. Due canzoni che ci introducono verso una nuova versione del duo rap più ascoltato del circuito “indie” italiano. Già perché quello di Fausto Lama e California è più un rap cantautorale o un cantautorato rappato, come si preferisce.
Nel mini EP che hanno deciso di intitolare “Due” la coppia, anche nella vita, ci trasferisce in un altro pianeta. Un pianeta fatto di suoni più complessi rispetto ad “Hype Aura”, più elettronici, più moderni, più cool e allo stesso tempo più intimisti. I giochi di parole lasciano spazio alla poetica, il divertimento alla riflessione, le luci fluorescenti alla profondità, al fuoco. È evidente e forte la voglia di comunicare qualcosa di diverso, di scrollarsi di dosso i vestiti indossati finora e metterne su altri.
L’anima resta la loro, quella di chi ci ha impressionato con un esordio stroboscopico, quella di chi ci ha ricordato, e non è cosa da poco, che il rap può anche raccontare qualcosa, non c’è bisogno che si esprima necessariamente a colpi di machismi spesso fini a se stessi. Stupiscono i Coma_Cose e la sensazione è che siamo solo all’inizio, che abbiano in serbo per il loro pubblico qualcosa di esplosivo ma, soprattutto, coraggioso. Cambiare una ricetta che funziona infatti, al secondo disco che, Caparezza docet, “è sempre il più difficile”, dimostra uno spessore artistico che in un mondo fatto di musica sempre più photoshoppata, giusto per raccogliere qualche like in più, sta diventando merce rara.
La prima impressione, ascoltando il vostro EP, è che ci sia una notevole distanza dai vostri lavori precedenti. Cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo album?
“Hype Aura” è stato un disco scritto sicuramente di getto ma che in qualche modo sentivamo quasi come un’esigenza “di copione”. Voleva essere infatti anche un modo per riassumere la produzione degli anni precedenti, voleva essere un punto sulla mappa, volevamo chiudere una storia, la storia di come ci siamo conosciuti, la storia che ha delineato un po' i nostri canoni stilistici. E quindi nel frattempo la scrittura, gli ascolti, l’ispirazione, sono andati avanti, quindi effettivamente mi rendo conto che possa sembrare distante ma per noi è un’evoluzione fisiologica, normale”.
Nello specifico, in cosa vi sentiremo diversi?
“Abbiamo modificato un po' la scrittura, quindi non ci sono più molti giochi di parole e citazioni. Stiamo un po' cercando di esplorare altri intrecci lessicali, a livello di scrittura vogliamo evolvere un po' il nostro linguaggio. Di pari passo poi evolveremo anche la parte musicale, proveremo ad affrontare nuovi mondi. Un certo modo di scrivere è stato anche il nostro manifesto, però io ho sempre pensato che il nostro linguaggio viaggia su due livelli, quello più leggero del gioco di parole che strappa la risata e quello di una poetica anche struggente, molto sofferta, capace di analizzare le cose anche in maniera molto profonda. Ovviamente la cosa che sentiamo più nostra è la seconda e volevamo riprendercela, mettendo da parte quella più leggera che sentiamo non ci appartiene poi più così tanto”.
Noi, da fuori, più che parlare di leggerezza avremmo parlato di efficacia…
“Noi siamo fierissimi di quello che abbiamo fatto però in qualche modo, per una voglia comunicativa anche molto estemporanea di arrivare, abbiamo trascurato alcune parti un po' più profonde ed ora vogliamo esplorare quei colori lì”
Avete sentito la pressione del secondo album?
“Noi pensiamo sempre che il secondo album è stato “Hype Aura” quindi siamo passati oltre questa famigerata pressione. Le prime nove canzoni uscite, anche se in maniera scollegata, per noi sono il primo disco, “Hype Aura” il secondo, il terzo allora sarà una passeggiata di salute. Adesso ci sentiamo molto più liberi, molto più tranquilli, ormai il progetto ha soffiato sulle tre candeline pochi giorni fa, quindi cominciamo a sentire le spalle un po' più larghe. Se a qualcuno piace il nostro mondo ci seguirà, sennò cambierà lidi, o gli piacerà di più il quarto, il quinto o il sesto. Poi ad un certo punto l’artista deve anche un po' fregarsene. Abbiamo voglia di sperimentare nuovi modi, anche questo è un motore ed è molto stimolante”.
Come pensate che il vostro pubblico possa reagire a questo cambiamento?
“A noi non piace ripeterci. Siamo fiduciosi che questa continua ricerca sia un nostro marchio di fabbrica, anzi il pubblico che ci conosce di più apprezzerà. Nel nostro mondo è normale cambiare rotta, ma se poi hai la pazienza di ascoltare i brani ti rendi conto che la narrativa è la medesima, aldilà del suono”.
Tutti vi vogliono, tutti riconoscono non solo la vostra bravura ma anche la vostra unicità. I Subsonica per i 20 anni di “Microchip Emozionale”, Francesca Michielin con un brano del suo nuovo album uscito solo pochi giorni fa…
“Ci hanno chiesto in tanti di collaborare, ci siamo resi conto che il progetto piaceva anche tra i nostri colleghi, che stava cominciando a funzionare. Abbiamo detto anche molti no in realtà, perché è una cosa sempre molto difficile collaborare con altri artisti. A noi piace conoscersi, vedersi, parlare, ci deve essere un lavoro anche umano per riuscire a collaborare e alle volte succede che questa parte viene meno, la vita dei cantanti è frenetica, alle volte per ovvi motivi tutto si riduce a “ecco il file-grazie-prego”, e questa cosa qua a noi spesso pregiudica di portare a termine la missione. Sicuramente ci sono stati tanti colleghi che si sono avvicinati e ci hanno espresso la loro stima”.
Ma voi quando l’avete capito? C’è stato un momento in cui vi siete resi conto che questo progetto aveva preso una svolta definitiva?
“Non lo so, noi abbiamo anche cambiato vita. Non per fare del pietismo, ma il primo anno e mezzo di Coma_Cose noi venivamo da una situazione un po' critica, a livello personale, a livello economico, quindi abbiamo siamo andati dritti, abbiamo corso talmente forte che non ci siamo veramente resi conto di nulla. Finiva una cosa e pensavamo alla mossa dopo, quindi poi un giorno abbiamo alzato la testa e ci siamo detti “Cavolo, abbiamo fatto tutte queste cose, allora forse qualcosa funziona!”, però è stata una doccia fredda dopo un periodo in cui abbiamo dovuto correre”.
Nel brano “La rabbia” voi invitate a non sprecarla. Il rap è da sempre visto come un genere, in questo senso, di rottura, ma questo è un elemento che sembra un po' venire meno in questo momento. Qual è lo stato di salute del rap in Italia?
“È cambiato totalmente tutto. Una volta il rap era la musica alternativa, era la musica per sfuggire a quello che passavano nelle discoteche, era nei centri sociali, era nei circuiti alternativi. C’è gente che porta ancora avanti il rap come messaggio, ci sono degli artisti a fuoco che continuano a fare qualcosa di politico, di sociale, però rimpiangere qualcosa che non c’è più è anche anacronistico. Il rap è un linguaggio a 360 gradi, è un linguaggio bello, forte e sano, io quello che posso consigliare a un ragazzino è che se gli piace il rap, provi ad andare oltre il cantante del momento e provi a scavare negli anni passati, magari gli si apre un mondo. Quello che manca forse è un po' di curiosità nelle nuove generazioni”.