L o scopo di questa rubrica è raccontare ai genitori la musica dei figli, chi ci legge ormai lo sa o perlomeno, si spera, l’ha capito. Questo perché la musica può fare anche da collante tra due generazioni che più passa il tempo più sono diverse tra loro, più passa il tempo e più il linguaggio cambia e si tende a non capirsi fino in fondo.
Una volta era diverso, il mondo non andava così veloce, così le esperienze dei figli erano uguali a quelle dei padri; tutto quindi era facilmente comprensibile. Ora in una manciata di mesi tutto riesce a cambiare e i genitori si ritrovano indietro di parecchie generazioni rispetto a quello che vivono i figli tutti i giorni.
Allora la musica, che parla una lingua che non conosce età, può rappresentare qualcosa in più rispetto al normale intrattenimento, può articolare il rapporto tra due esseri umani che la realtà dei nostri tempi vuole così diversi.
Nel titolo della rubrica si cita di straforo il fantomatico indie, quel genere di musica (che genere non è) letteralmente smontato pezzo dopo pezzo dal trasferimento del mercato discografico su Internet, che aprendo le porte a tutti ha fatto diventare tutto mainstream; una volta si inseguiva il successo, oggi si insegue la viralità. Un concetto sempliciotto ma che cambia radicalmente la prospettiva di un mondo che comunque affonda le proprie radici in un’arte.
Il dilemma tra essere bravi ed essere vendibili
Una volta dovevi (attenzione, dovevi) essere bravo, oggi basta essere vendibile. Per cui l’immagine prima delle strofe, il profilo Instagram prima dell’assolo; insomma, il contenitore prima del contenuto. Ma se Internet nella sua, forse eccessiva, democraticità comunque mette tutto sul tavolo e poi ognuno con un click può assaggiare e poi mangiare ciò che gli pare, dando comunque spazio a chi cerca qualcosa in più di un bel tatuaggio, non è così la televisione, che con i talent musicali ha totalmente raso al suolo qualsiasi barlume di concetto, di testo, di tema, di talento, per trasformare tutto in qualcosa di estremamente visivo; trasformando così i cantautori in personaggi, legando due figure che c’azzeccano ben poco.
Quanti cantautori dell’olimpo della nostra musica italiana sono stati anche personaggi che sarebbero risultati funzionali nella drammaturgia di un talent? Ve lo immaginate De Gregori che canta Dua Lipa e si fa giudicare da Fedez? Ve lo immaginate Francesco Guccini in tuta cantare “Dio è morto” in un serale di Maria De Filippi? Eppure è questo il senso, è questo ciò che succede, è questo il sogno mercificato. Se vuoi fare l’artista, se vuoi comunicare qualcosa di ciò che hai dentro, devi riuscire prima a venderti, a cantare, giusto per fare un esempio, “Material Girl” di Madonna mentre balli e pattini su un palco, come successo a una ragazzina nell’ultima puntata di XFactor.
E non si capisce, a parte l’indispensabilità di produrre materiale da show, cosa diavolo c’azzecchi questo con la necessità artistica di proporre al mondo un pezzettino della propria anima.
Questa settimana ci occuperemo di un personaggio che non manca mai dalla classifica dei pezzi più cliccati in Italia, tale Irama. La sua è quasi una storia al contrario, la storia, comunque, di uno che ha capito più o meno tutto su come vanno le cose.
Irama è in realtà Filippo Maria Fanti, nasce a Ferrara nel 1995. Da piccolo si avvicina alla musica ascoltando De Andrè, poi arriva l’Hip Hop. Eh vabbè. Riesce ad arrivare, quando ha appena vent’anni, a partecipare al Festival di Sanremo nella sezione “Nuove Proposte” ma viene eliminato nel testa a testa con Ermal Meta. Uno scontro tra titani
L'incontro di Irama con lo show business
Ma il brano, “Cosa resterà”, piace, così la Warner decide di fargli fare un disco. Il bel ragazzotto dagli occhi blu comincia a girare su circuiti perlomeno discutibili e tra un centro commerciale e l’altro arriva il 2017, si rende conto che la Warner, forse compreso l’abbaglio, lo sta ignorando, non lo sta promuovendo abbastanza, così li molla, ed è in quel momento che arriva il colpo di genio: Amici di Maria De Filippi.
Roba che fino ad una manciata di anni fa avrebbe rappresentato un inqualificabile passo indietro. Invece lui ci va, dando così una virulenta sterzata alla sua carriera. Piccola nota divertente: chi vince Amici ha diritto ad un contratto discografico, indovinate con chi? Con la Warner naturalmente, l’etichetta che lo aveva abbandonato da solo al suo destino; “Ma questo non lo avevamo già scaricato?”; e noi sorridiamo al pensiero del buon Filippo Maria che si ripresenta in sede per la firma del contratto e i dirigenti che malinconici, con le mani tra i capelli, pensano di aver evidentemente sbagliato qualcosa nella loro vita.
Ed è comunque da quel momento che imperversa nelle nostre esistenze, come se mutuo, governo del cambiamento, domeniche all’Ikea e colesterolo non fossero punizioni abbastanza severe per i nostri peccatucci da esseri umani imperfetti. Esce l’album Piume, sette pezzi, la maggior parte dei quali presentati in prima serata durante Amici, buoni giusto come colonna sonora delle puntate di fretta al supermercato per comprare il latte. Ma vendono, certo, il personaggio, come già spiegato, è venuto al mondo, è quellodiamicidimariadefilippi.
Chi ha inventato la musica brutta?
Per cui triplo disco di platino, Alè!, più di centomila copie vendute, tutto ciò che comprende il pacchetto “quarto d’ora di gloria” post-talent, compresa l’apertura di due date di Laura Pausini. Wow. Il ragazzo ci prende evidentemente gusto così a ottobre, solo quattro mesi dopo (un record probabilmente) l’uscita di Piume sforna un altro album in studio, “Giovani”, anticipato dal singolo “Bella e rovinata” che così, su due piedi, crediamo racconti la storia di una qualche ragazzetta prima e dopo l’ascolto del suo album.
Dieci canzoni imbarazzanti, roba che ascoltandole (ci tocca) ci si chiede come possa esistere qualcuno che ha dato l’ok alla pubblicazione di certi lampi di superficialità. Ma, attenzione, stiamo parlando di brani che superano ampiamente il milione di ascolti su Spotify, piattaforma dove Irama raccoglie 450 mila followers (più del doppio chiaramente ne ha su Instagram).
Tiriamo un attimo le somme: non è che la musica brutta se la sia inventata questo ragazzo, intendiamoci, e nemmeno le emittenti televisive; e nemmeno possiamo fargliene una colpa se con quello che il buon Dio gli ha donato (e non stiamo parlando certo di talento musicale) si porta a casa un briciolo di “famosità”; il punto è che il mercato discografico una volta o non ti dava corda o ti sputava via in poche settimane. Ora invece il poter accingere con un semplice click a qualsiasi nefandezza ben impacchettata rende la parte marcia del mercato della musica sempre più in bella mostra, sempre a portata di mano.
La leggerezza è una tentazione troppo forte per le nuove generazioni, che, in mancanza di una naturale inclinazione all’introspezione più approfondita, non hanno abbastanza tempo né voglia di utilizzare la musica per andare oltre se stessi. Un ragazzino che canta “dellammmore” con un tatuaggio disegnato sulla pancia, gli occhioni blu e qualche articolo di gossip che lo riguarda (che non citiamo per onorare la nostra decenza), dà tutta la spensieratezza che cercano. Il contenitore prima del contenuto, lo abbiamo già scritto. Ma un giorno i nostri figli diventeranno qualcuno e tocca a noi salvarli ora che si stanno formando. Sennò che ci stiamo a fare?
Questo essenziale manuale è rivolto a quei genitori che non vogliono restare indietro, che vogliono capirci di più del mondo dei loro figli attraverso ciò che, come accade per tutte le generazioni, li crescerà e formerà più di quanto loro, mammà e papà, ne avranno mai capacità e potenzialità. La musica. La loro musica. Prima di partire allacciate bene le cinture, mettete da parte i vostri dischi dei Beatles, Adrianone Celentano, Mina e Battisti, la tv in bianco e nero, Berlinguer, e ogni vostro singolo pregiudizio su quanto tutto ciò che avete vissuto e ascoltato voi fosse infinitamente più “giusto” del loro e, già che ci siete, eliminate per sempre anche l’utilizzo del termine “giusto”, che non credo abbia mai significato alcunché a parte tirare una linea rispetto a ciò che è “sbagliato”. Antitesi che potrebbe contribuire non poco a formare una generazione di iscritti a Casa Pound.