AGI - Uno "slalom tra le stelle", con un dito. Quello che compie Parthenope in una scena dell'ultimo film di Paolo Sorrentino. Il sublime e il desiderio - come l'abisso - a portata di mano. La narrazione di una città che racchiude tutto il bello e tutto il brutto. Le sue regge, le sue chiese, i suoi basolati, i suoi bassi e le sue 'Vele'. Le sue 'camorre' e i suoi trionfi di vita. Tutto questo ha voluto (far) 'vedere' il 54enne regista napoletano nell'opera che ha presentato a Palermo, in una doppia affollatissima proiezione al Rouge et Noir.
"Vedere" che è la definizione che il professore della giovane protagonista dà dell'antropologia che per Sorrentino ha molto a che fare con il cinema: "L'atto del vedere è in fondo interpretare la realtà, io non faccio altro". Magari anche per rispondere a una esigenza profonda, perché, spiega, il "prezzo che si paga per essere scrittori", ma si potrebbe dire anche dei registi come lui, "è essere continuamente assillati dal proprio passato", afferma citanto Edna ò Brien.
Napoli come Palermo?
"Non conosco moltissimo Palermo - ha detto in un botta e risposta con il pubblico - ma è evidente che con Napoli c'è una strettissima assonanza: sono entrambe città di mare, entrambe città del Sud e io sono sempre a casa nelle città di mare che hanno un porto". Spiega che Napoli è una "città amorale", che "è stata allenata a essere amorale: essendo stata dominata e invasa, si è liberata della morale pur di sopravvivere".
E appare una descrizione che si attaglia anche al capoluogo siciliano. Cosi', niente a che fare con il mito: "Il mito di Parthenope non lo conosco bene, anzi mi annoia da morire, non essendo una cosa verosimile. I miti li trovo sempre noiosi, troppo astratti per trovarli interessanti... ma questo forse non dovevo dirlo...". Piuttosto, il tentativo è di essere concreti in modo irriducibile, aderenti alla verità 'oscena' della vita, quasi carnali, compromessi e contaminati dalle pulsioni dell'esistenza.
John Cheever
Del personaggio di John Cheever che si impone nel film, dice di essere molto convinto: "è uno dei miei scrittori preferiti e mi è stato utile per metterlo in contrasto con la protagonista". Nei suoi diari, 'Una specie di solitudine', appare come un uomo tormentato dalla prigionia che si era creato perché non poteva e non voleva confessare i suoi orientamenti sessuali: "Insomma era un uomo che lottava per essere libero, senza riuscirci. Parthenope, invece, precipita in quella estate caprese dove scopre la massima espressione della libertà, abbandonandosi alla vertigine della gioventù, conosce il mondo, i ricchi arroganti che la corteggiano e conosce l'estasi della giovinezza attraverso suo fratello e il suo fidanzatino-amico". Il desiderio, la libertà, le stelle e i vicoli oscuri. Parthenope compie il suo viaggio e la scena per Sorrentino più bella "è il lungo camminamento con il camorrista nei vicoli di Napoli".
A un giovane spettatore risponde che, si', "c'è molto di Elisa della Grande bellezza in lei". Tant'è che questo film all'inizio doveva intitolarsi L'apparato umano, essere il contenuto del romanzo di Jep Gambardella, "poi mi è sembrata un pò una cretinata di autocitazione e non se ne è fatto nulla. Ma è vero, in pratica sono la stessa persona". Non è stato facile completare quest'opera.
"Ci sono voluti 4-5 anni perché non riuscivo a trovare una chiave che mi soddisfacesse nella scrittura, era molto complesso. Scrivevo sempre le prime 10-12 scene e poi abbandonavo. Avevo una quantità enorme di cose che mi divertivano, tanto che a un certo punto ho pensato di fare tre film: uno sulla gioventù, una sull'età di mezzo, uno sulla vecchiaia, ma conoscendomi ho pensato 'mi annoierò prima di finirli e quindi non arriverò a farli tutti e tre, meglio che ne faccia uno solò". E si', si è divertito, "come sempre. Nessuna paura. Per certi film, è vero, ho avuto una paura fisica per alcune circostanze delicate che affrontavo, ma per il resto mi sono sempre divertito. C'è la paura che vada male, perché potrebbero non consentirmi di fare il successivo, che in fondo è condivisa con tutti quelli che fanno questo lavoro".
Progetti per il futuro?
"Ancora non ne ho". Ma ha le musiche, "forse "l'unica cosa di cui sono sempre soddisfatto". Come 'Era già tutto previsto' di Riccardo Cocciante, che "fa parte di una serie di canzoni dalle quali sono ossessionato e che provo a mettere in tutti i film. Avevo provato a inserirla negli altri, ma non funzionava, invece qui ha avuto la sua giusta collocazione". Il sublime e l'abisso, tutti un pò Parthenope: città, comunità, individui, che danno e tolgono vita.