AGI - A Cannes, il rapper e hip-hopper Baloji si reinventa regista con un film in selezione ufficiale e sotto la bandiera congolese. È la prima volta al Fesival per il cantante ma soprattutto, è una rivincita per questo 'esperto' della rima che ha anche la passione per la settima arte.
Il rapper belga-congolese non nasconde di essere contento di stare alla Croisette. "Può sembrare un luogo comune, ma è come un sogno", ha detto il cantante 44enne. Questo sogno è "Augure", il suo primo lungometraggio selezionato nella sezione "Un certain regard".
Non autobiografico, ma in parte ispirato alla sua vita, il film racconta la storia del falso ritorno in patria di un congolese bandito dalla madre perché considerato una strega. Un film corale che è anche un viaggio cinematografico un po' allucinato e a tratti destabilizzante, intriso di "realismo magico".
Per il regista, l'avventura del film è stata anche un viaggio pieno di insidie. "Il cinema è una passione, un desiderio che non mi ha mai abbandonato", spiega. "Ho scritto diverse sceneggiature che non hanno mai visto la luce. Ho anche prodotto io stesso diversi cortometraggi perché nessuno ci credeva", dice, confessando di essere "un fotografo frustrato". Ci è voluto molto tempo per trovare un modo e per convincere le persone intorno a me che c'era qualcosa, una lingua, da sviluppare, ma alla fine è stato possibile". Il suo vero nome è Baloji Tshiani ed è nato a Lubumbashi, nella Repubblica Democratica del Congo.
Ha lasciato il Paese all'età di tre anni per vivere a Liegi, in Belgio. Di questo "sradicamento", il rapper ne ha parlato nel suo primo album, "Hotel Impala" del 2008. A questo sono seguiti altri due album: "Kinshasa Succursale" nel 2011 e "137 Avenue Kaniama" nel 2018.
I suoi testi mescolano storie autobiografiche e satira politica. "La mia prima passione è la scrittura - spiega - raramente oso parlarne perché può sembrare un po' pesante, ma il mio lavoro è la poesia". Questo amore per la narrazione e le storie si riflette nel suo primo lungometraggio, che è costituito da una successione di mini-storie. "Questo film è la continuità di tutto ciò che ho già fatto. Una continuità e un punto di arrivo", dice.
"Volevo parlare del senso di estraneità che possiamo provare quando torniamo nel Paese dei nostri genitori. E, naturalmente, volevo farlo nel contesto dell'Africa subsahariana", ha spiegato. Un desiderio che è diventato molto pressante nel 2019, quando è venuto a mancare suo padre.
"In quel momento - aggiunge - mi sono chiuso in casa e ho scritto la sceneggiatura in una settimana". Questo primo lungometraggio è anche il risultato della sua "tenacia": "Non mi sono mai arreso. Ci sono stati centinaia di ostacoli per arrivare a questo, ma lo rifarei senza alcuna esitazione".