AGI - Grave lutto per il mondo del cinema in Francia e nel mondo: è scomparso del regista franco-svizzero Jean-Luc Godard, 91 anni, tra i fondatori negli anni ’60 della 'Nouvelle Vague', personaggio dall’opera prolifica e proteiforme, intellettuale dalle molte vite e lotte politico-culturali.
"Jean-Luc Godard non era malato, era semplicemente esausto" per questo ha fatto ricorso al suicidio assistito. Lo ha raccontato un amico di famiglia a 'Liberation'. La notizia è stata confermata da un'altra persona vicina al regista franco-svizzero.
Nel 2014 il regista aveva dichiarato: "Spesso chiedo al mio medico, al mio avvocato: "Se vengo da lei e le chiedo dei barbiturici, [...] della morfina, me ne darà un po'?". Non ho ancora ricevuto alcuna risposta favorevole".
Nato a Parigi il 3 dicembre 1930, Godard, padre della ‘modernità cinematografica’, lascia al patrimonio mondiale più di 100 film girati in 70 anni di carriera: fra gli altri, “A bout de souffle” (Fino all'ultimo respiro), “Le Mépris” (Il disprezzo), “Pierrot le fou” (Il bandito delle 11) e “Sauve qui peut (la vie)” (Si salvi chi può...La vita).
La sua storia professionale è collegata a quella personale, sociale e politica, all’insegna della rivoluzione permanente, iniziata quando era ancora molto giovane. Cresciuto in una famiglia dell’alta borghesia protestante franco-svizzera, ha attraversato gli orrori della Seconda Guerra mondiale, protetto dai privilegi della sua nascita e della giovane età. Il dopoguerra ha rappresentato per Godard una doccia fredda, con la scoperta della vicinanza del nonno agli ambienti collaborazionisti.
Litiga a tal punto con la sua famiglia che nel 1954 gli viene vietato di partecipare ai funerali della madre. Nel frattempo Godard ha trovato una "seconda famiglia", formata da Henri Langlois, direttore della Cinémathèque française, dal critico André Bazin e dai suoi compagni dei Cahiers du cinéma, sui quali pubblica recensioni colte e affilate, mentre dietro la macchina da presa si esercita con i primi cortometraggi.
Il primo film, “A bout de souffle”, è del 1960. Protagonista è uno dei più popolari attori francesi, un ventisettenne Jean-Paul Belmondo, nella parte di un giovane malvivente di nome Michel Poiccard, che si innamora di una studentessa americana a Parigi, interpretata da Jean Seberg.
“A bout de souffle” è stato a suo tempo un colpo di genio, una sorpresa fulminante, un successo immediato di pubblico e critica e uno choc, oltre a influenzare dal punto di vista estetico numerosi futuri registi: ancora oggi il titolo è inserito nella "short list" delle opere che hanno cambiato la storia mondiale del cinema.
Con i colleghi, tra i nomi più blasonati del cinema d’Oltralpe quali François Truffaut, Agnès Varda e Claude Chabrol, Godard è il fondatore della Nouvelle Vague, caratterizzata dalla singolarità delle opere prodotte e che ha lasciato un segno indelebile sulla storia della Settima Arte, non solo francese.
Nel 1963, in “Le Mépris” Godard mette in scena una giovanissima Brigitte Bardot accanto ad un altro mostro sacro, l’attore Michel Piccoli. Due anni dopo con “Pierrot le fou” firma un road movie di una coppia in fuga, quella formata da Belmondo e Anna Karina, la moglie che Godard stava lasciando.
Subito dopo evolve nella figura del regista apertamente militante, che documenta e denuncia la disumanità del capitalismo, avvicinandosi in primis al maoismo, come in “La Chinoise”, “Deux ou trois choses que je sais d’elle” e “Week-end”, tutti realizzati nel 1967, che preannunciano in modo a tratti grottesco il Maggio '68.
Durante quegli eventi il regista adotta posizioni politiche molto radicali, prendendo in qualche modo una pausa nella sua carriera cinematografica. Il ‘fallimento’ del ’68 radicalizza l’approccio del regista che per anni si rifiuta di fare cinema in ottemperanza alle regole dettate dall’industria.
È così che Godard si ‘trasforma’ in cineasta rivoluzionario, alleandosi al gruppo Dziga-Vertov, pioniere del cinema sovietico, e firma una serie di opere nel segno del marxismo leninismo, quale Le Vent d’est (1970), internazionalizzando la sua produzione. Nel 1969 “Pravda” è girato sul fronte cecoslovacco, per poi passare alle “Luttes en Italie” (1970) e in Giordania, accanto ad al Fatah con “Jusqu’à la victoire”, lavoro rimasto incompiuto.
Negli anni ’70 sono tuttavia usciti alcuni suoi lungometraggi di maggiore successo, tra cui “Tout va bien” (1972) – con Yves Montand e Jane Fonda – e “Ici et Ailleurs” (1976). Negli anni ’80 torna alla ribalta e reintegra il circolo ‘classico’ del cinema, regalando a critici e pubblico altri capolavori quali “Sauve qui peut (la vie)”, nel 1980.
Con Isabelle Huppert, Nathalie Baye, Jacques Dutronc e Alain Delon, tutte star protagoniste dei suoi film negli anni ’80, le opere di Godard sono l’espressione del suo personale disprezzo del materialismo e del cinismo in quella fase.
Ad accompagnarlo nella sua vita privata e nella sua arte è ora Anne-Marie Miéville, una fotografa incontrata nel 1971, partner della sua età matura e la sua terza ‘Anna’ dopo le relazioni con la precedente moglie Anna Karina e l’amore di gioventù, l'attrice Anne Wiazemsky.
Negli anni ’90 e fino alla fine della sua carriera si dedica essenzialmente a film, reportage, documentari, serie e video incentrati sugli avvenimenti storici successivi alla Seconda Guerra mondiale e sulla storia del cinema, tra cui “Film Socialisme”, presentato nel 2010 a Cannes, in sua assenza.
Godard ha ottenuto i massimi premi e riconoscimenti in Francia e all’estero, tra cui un Oscar nel 2010 e la Palma d’oro al Festival di Cannes nel 2018 per la sua ultima opera “Le livre d’image”, dedicata al Medio Oriente, alla guerra e all’arte. La sua carriera è stata costellata di capolavori e di incomprensioni e la sua opera prolifica e proteiforme è anche emblematica delle contraddizioni di un’arte in perenne ricerca. “Come ogni volta che muore un personaggio eccezionale, Godard porta con sé qualcosa strappandola alla coscienza collettiva", ha scritto il quotidiano Libération, il primo ad aver pubblicato la notizia della sua morte.
Godard in Francia ha incarnato la rottura della modernità nata – con il neorealismo italiano – dal dramma della Seconda Guerra mondiale e lo ha fatto in modo più passionale, più violento e doloroso rispetto ai suoi ex compagni della Nouvelle Vague. “A tal punto che è diventato il portabandiera del movimento nel mondo", ha ricordato Le Monde.
“Cerco di rischiare la morte in quello che so fare come unica possibilità di sopravvivenza” ha dichiarato anni fa Godard al Nouvel Observateur, un riassunto efficace della sua esistenza terrena e della sua opera eterna.