I l successo di “Roma” agli Oscar ha aperto una falla nel sistema cinema da tenere seriamente sotto controllo. Nei giorni scorsi una polemica abbastanza importante ha coinvolto i più alti vertici dell’Academy, in particolare il regista Steven Spielberg, che del "Board of Governors" della Academy of Motion Picture Arts and Sciences (questa la denominazione ufficiale) è membro. Può un film prodotto da una piattaforma per la distribuzione on demand delle pellicole e finito nei cinema solo come “evento”, bypassando tutti i canali classici della distribuzione, essere in gara e addirittura vincere una statuetta? Tre nel caso specifico di “Roma”, e non secondarie: miglior regia, miglior film straniero e migliore fotografia. Secondo Spielberg no.
Ieri Jeffrey Katzenberg, amico storico del regista e co-fondatore della DreamWorks nel 1994, ha dichiarato di aver chiesto specificatamente e personalmente a Spielberg spiegazioni riguardo questa sua battaglia contro Netflix e di aver ricevuto in risposta un diniego più assoluto riguardo una sua presunta intenzione di eliminare le produzioni della piattaforma dalla corsa agli Oscar. È però vero che la posizione del regista di pluripremiati capolavori è ben nota e ben poco equivocabile: “Non credo che i film che passano dai cinema per meno di una settimana debbano qualificarsi per la nomination agli Academy Award” ha dichiarato a ITV News.
E ancora: “Certamente, se è un bel film (in realtà lo chiama “show”, una definizione significativa) merita un Emmy, ma non un Oscar. Una volta che ti impegni in un formato televisivo, sei un film per la TV”. In realtà il ragionamento di Spielberg suona più come il grido di allarme di un artigiano che vede la propria arte surclassata dalla comodità di restare a casa a guardare i film. Ma anche su questo fronte Spielberg non sembra troppo preoccupato: “Hollywood è abituata a questo. Siamo abituati ad essere altamente competitivi con la televisione”.
La sociologia della comunicazione in realtà ci dice che il cinema, essendo quella che tecnicamente possiamo definire “esperienza condivisa”, difficilmente potrà essere sostituito dalla visione casalinga dei film, ma è anche vero che è innegabile una crisi nel mondo delle sale cinematografiche, specie quelle non supportate dai colossi delle multisale. È chiaro che Netflix quest’anno, con la vittoria di tre Oscar, ha stabilito il proprio potere, ha fatto sentire, bella forte, la propria presenza a tutte le altre major, è entrato a pie' pari nel gioco dei più grandi e questo ha sparigliato le carte in tavola.
Per essere in corsa agli Oscar l’Academy ha delle regole ben precise, è chiaro, riguardo produzione, distribuzione, insomma tutta la catena che condiziona la vita di un film dal primo ciak all’ultimo biglietto staccato. Per esempio, un film che vuole concorrere alle nomination agli Oscar deve avere una durata di almeno 40 minuti (a eccezione dei film che concorrono come cortometraggi) e deve essere uscito al cinema nel corso dell’anno solare precedente, dalla mezzanotte del primo gennaio alla mezzanotte del 31 dicembre. Inoltre sono presi in considerazione solo i film che sono stati proiettati per almeno una settimana in una o più sale cinematografiche della contea di Los Angeles (fatta eccezione per le opere candidate come Miglior Film Straniero).
Sono però regole scritte ben prima che fosse anche soltanto ipotizzabile una rivoluzione nel mercato così imponente. È questo allora probabilmente l’argomento che Steven Spielberg porterà sul tavolo dell’Academy durante la già annunciata riunione di aprile. Se le parole di Spielberg, come sostiene Katzenberg, sono state volutamente distorte da un giornalista per “acchiappare click” non significa certo che Hollywood non debba fermarsi a ragionare sulla questione, non vuol dire certo che non ci sia un problema, ed è evidente che Spielberg questo problema se lo sia posto.