AGI - Smartphone e social media sono i maggiori responsabili dell’attuale esplosione di problemi di salute mentale tra i giovani e, limitarne l’uso al di sotto di certe età, indicate come 14 anni per gli smartphone e 16 per i social media, può avere un effetto positivo sull’inversione o sul rallentamento del problema. Lo dice Jonathan Haidt nel suo nuovo libro “The Anxious Generation: How the Great Rewiring of Childhood Is Causing an Epidemic of Mental Illness”.
Psicologo sociale della Stern School of Business della New York University, Haidt ha il merito di trattare temi attuali, catturando l’attenzione dell’opinione pubblica e, talvolta, plasmandone il pensiero. Proprio questa settimana, Haidt ha proposto l’introduzione, sulle piattaforme social, di avvisi che mettano in guardia i genitori dai potenziali rischi dei social sulla salute mentale dei propri figli, iniziativa non accolta di buon occhio dalle Big Tech. Il libro di Haidt, osteggiato dai colleghi, che contestano il fatto che le sue forti affermazioni non abbiano un fondo scientifico, ha raggiunto milioni di persone, posizionandosi per settimane in cima alla classifica dei best seller del New York Times.
inoltre, il libro è stato ampiamente citato dai principali mezzi di comunicazione, mentre le critiche e i dati contrastanti sono comparsi per lo più nelle riviste scientifiche. La critica più aggressiva al libro di Haidt è stata pubblicata su Nature da Candice Odgers, psicologa esperta in salute mentale degli adolescenti. “La gente non si oppone perché il panico morale e la paura intorno a questo tema hanno raggiunto un livello altissimo”, ha detto Odgers, che ha contestato l’idea di Haidt secondo cui l’infanzia basata sul telefono ha preso il posto dell’infanzia basata sul gioco, identificando in questa la prima causa dell’epidemia internazionale di malattie mentali fra gli adolescenti.
Nel frattempo, l’Accademia Nazionale delle Scienze, dell’Ingegneria e della Medicina degli Stati Uniti, NASEM, ha pubblicato un rapporto in cui si afferma che “le ricerche disponibili che collegano i social media alla salute mentale mostrano effetti modesti e associazioni deboli”. Contrariamente all’attuale narrazione culturale secondo cui i social media sono universalmente dannosi per gli adolescenti, la realtà sembra essere più complicata. Il comitato della NASEM ha incontrato Haidt, ma ha dichiarato che “dopo un’attenta riflessione e revisione della letteratura pubblicata, il comitato è giunto a conclusioni più misurate”. “Quello che dobbiamo fare è aiutare i bambini di qualsiasi età a usare questi potenti strumenti in modo sano, intelligente e gentile”, ha detto Michael Rich, pediatra dell’Ospedale pediatrico di Boston è d’accordo e ha dichiarato a PBS NewsHour.
Nel corso della storia della scienza e spesso durante la pandemia di COVID-19, la fiducia del pubblico nella scienza è stata minata quando gli scienziati su grandi piattaforme pubbliche non sono stati chiari nel precisare che le loro convinzioni si basano su una scienza che è e rimane in evoluzione. Con la raccomandazione del Surgeon General e l’inevitabile reazione delle Big Tech, la controversia non potrà che intensificarsi. Per comprendere se i social facciano davvero male e possano essere all’origine di problemi di salute mentale sarà necessaria non solo una ricerca più approfondita, ma anche una maggiore attenzione nella diffusione dei dati al pubblico.