AGI - La sostituzione del 50 per cento degli alimenti di origine animale con proteine alternative potrebbe incrementare notevolmente la disponibilità di terreni da destinare alle attività di decarbonizzazione. Questo, almeno, è quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista One Earth, condotto dagli scienziati dell'Università di Leiden. Il team, guidato da Oscar Rueda, ha eseguito una stima quantitativa del terreno derivante da una transizione verso proteine di origine alternativa a scapito dei prodotti animali. Il gruppo di ricerca ha valutato diverse percentuali di capillarità del processo, dal 10 al 100 per cento di completezza. I vari scenari sono stati quindi combinati con il calcolo del potenziale utilizzo del territorio risparmiato per la produzione di biomassa.
Secondo gli esperti, se la metà delle proteine di origine animale venisse soppiantata da alternative a basso impatto ambientale entro il 2050 il terreno agricolo che ne deriverebbe potrebbe generare energia rinnovabile equivalente in volume all'intero apporto di energia generata attualmente dal carbone, favorendo al contempo la rimozione di carbonio dall'atmosfera. "Gli alimenti di origine animale - afferma Rueda - utilizzano le risorse in modo inefficiente perché gli animali consumano più cibo di quello che forniscono, e nutrire gli animali richiede una quantità considerevole di terra e acqua. Il nostro lavoro dimostra l'importanza di favorire il consumo di proteine di origine vegetale o alternative coltivate in laboratorio per sbloccare vasti potenziali energetici garantendo l'approvvigionamento idrico per persone ed ecosistemi".
Il modello suggerisce che anche livelli modesti di riduzione delle proteine animali consentirebbero un miglioramento notevole delle condizioni ambientali. Ad esempio, sostengono gli studiosi, una transizione al vegetale per il 30 per cento libererebbe spazio agricolo sufficiente per generare tra 15,8 e 29,1 Exajoule di energia (una cifra a 18 zeri), e favorirebbe la rimozione di 3,5-7,2 Gigatonnellate di anidride carbonica ogni anno. Il team ha scoperto inoltre che la maggior parte dei paesi ha il potenziale geologico per sequestrare la CO2, con risultati notevoli e impattanti negli Stati Uniti, in Europa e in Cina.
Sempre secondo l'indagine, se la totalità di prodotti di origine animale fosse sostituita da proteine alternative, l'utilizzo delle aree destinate al pascolo e alla gestione del bestiame per circa 60 anni permetterebbe di rimuovere circa 700 Gigatonnellate di anidride carbonica. "Un approccio integrato - afferma Rueda - potrebbe rappresentare una soluzione facilmente percorribile. Nei prossimi step, dovremo valutare le differenze tra l'utilizzo di prodotti di origine vegetale e prodotti coltivati in laboratorio.
Le ricerche di mercato mostrano che le proteine alternative, provenienti da fonti come piante, microrganismi e colture di tessuti, potrebbero facilmente sostituire il 10-30 per cento dei prodotti alimentari entro il 2030 e tra il 30 e il 70 per cento nei successivi 20 anni". "Sarà necessario approfondire questi aspetti - conclude Rueda - per capire le impronte ambientali delle varie alternative e promuovere l'opzione più sostenibile, tenendo conto anche dei fattori sociopolitici che potrebbero influenzare questa transizione".