AGI - Un gruppo internazionale di ricerca ha portato alla luce prove straordinarie dell’arrivo degli Homo sapiens nelle gelide latitudini dell’Europa settentrionale diversi millenni prima della scomparsa dei Neanderthal. I risultati – pubblicati su Nature e Nature Ecology & Evolution – documentano i fossili di Homo sapiens più antichi in Europa centrale e nord-occidentale svelando per la prima volta gli artefici del complesso tecnologico Lincombian-Ranisian-Jerzmanowician (LRJ). Il team di ricerca ha annunciato la straordinaria scoperta di fossili di Homo sapiens nel sito della grotta di Ilsenhöhle a Ranis, in Germania. Datati direttamente a circa 45.000 anni fa, questi reperti sono associati a punte di selce allungate sagomate su entrambi i lati (conosciute come punte fogliate bifacciali), caratteristiche del complesso tecnologico Lincombian-Ranisian-Jerzmanowician (LRJ).
Questo tecnocomplesso archeologico è temporalmente situato tra il Paleolitico Medio associato ai Neanderthal e il Paleolitico Superiore realizzato dagli Homo sapiens. Gli strumenti in pietra LRJ ritrovati a Ranis rinvenuti anche in altre località in Europa, dalla Moravia e dalla Polonia orientale alle Isole Britanniche, rivelano un arrivo anticipato di gruppi di Homo sapiens nel nord-ovest dell’Europa avvenuto diversi millenni prima della scomparsa dei Neanderthal nel sud-ovest europeo. I due studi che presentano i risultati di questa importante ricerca sono stati guidati dai ricercatori dell’Istituto Max Planck per l’Antropologia Evolutiva, con la presenza della Professoressa Sahra Talamo dell’Università di Bologna, unica autrice italiana e direttrice del laboratorio di radiocarbonio BRAVHO (Bologna Radiocarbon Laboratory Devoted to Human Evolution). Ranis: una sequenza di 8 metri scavata per la prima volta dagli anni ’30. Un team internazionale di ricerca guidato da Jean-Jacques Hublin (Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology e Collège de France, Parigi), Shannon McPherron (Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology), Tim Schüler (Thüringisches Landesamt für Denkmalpflege und Archäologie) e Marcel Weiss (Friedrich-Alexander-Universität Erlangen-Nürnberg e Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology) ha riscavato il sito archeologico di Ranis tra il 2016 e il 2022. L’obiettivo principale era individuare i depositi rimanenti degli scavi degli anni ’30, chiarire la stratigrafia e la cronologia del sito e identificare gli artefici del complesso LRJ.
La sequenza di 8 metri scavata per la prima volta dagli anni ’30 ha rivelato strati contenenti il complesso tecnologico LRJ, consentendo ai ricercatori di far luce sulla presenza degli Homo sapiens in Europa nord-occidentale. I ricercatori hanno impiegato la paleoproteomica per l’identificazione tassonomica di resti ossei morfologicamente non riconoscibili, recuperati durante gli scavi. In aggiunta, la paleoantropologa Hélène Rougier, della California State University Northridge, ha condotto uno studio dettagliato in cui ogni osso è stato esaminato individualmente per identificare potenziali resti umani. Tale indagine si è concentrata su frammenti ossei provenienti dalla collezione storica di Ranis, risalente agli scavi condotti tra il 1932 e il 1938, conservati presso l’Ufficio statale per la gestione del patrimonio e l’archeologia della Sassonia-Anhalt in Germania. Queste analisi hanno portato alla luce diversi nuovi resti umani. Hélène Rougier ha commentato entusiasta: “La scoperta di resti umani mescolati a ossa di animali, conservati per quasi un secolo, è stata una sorpresa inaspettata e straordinaria”. Il sequenziamento del DNA ha mostrato che le ossa appartenevano a Homo sapiens. Una volta individuati i 13 resti di ossa umane, provenienti sia dagli scavi precedenti che da quelli più recenti, è stato eseguito l’estrazione e l’analisi del DNA da questi fossili.
Elena Zavala, ricercatrice Miller presso l’Università della California, Berkeley, e il Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, dichiara: “Abbiamo confermato che i frammenti scheletrici appartenevano ad Homo sapiens. Di particolare interesse è il fatto che diversi frammenti condividevano le medesime sequenze di DNA mitocondriale, inclusi quelli provenienti da differenti campagne di scavo. Ciò suggerisce che tali frammenti appartenevano allo stesso individuo o erano correlati come parenti materni, collegando così questi recenti ritrovamenti a quelli avvenuti decenni fa”. Un ulteriore obiettivo di rilievo era l’ottenimento del DNA dai sedimenti del sito, specialmente dai livelli LRJ. Pertanto, oltre alla ricerca di frammenti ossei umani, il team ha proceduto all’estrazione del DNA antico di mammiferi da campioni di sedimenti, al fine di completare l’analisi zooarcheologica. Attualmente, sono in corso ulteriori analisi del DNA nucleare in collaborazione con Arev Sümer presso il Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology. Le date al radiocarbonio indicano che Homo sapiens ha raggiunto il nord- ovest dell’Europa già 47.500 anni fa, molto prima della scomparsa dei Neanderthal. La datazione al radiocarbonio è stata impiegata per tracciare il periodo in cui gli esseri umani hanno occupato la grotta.
La professoressa Talamo, figura chiave nella collaborazione italiana, ha giocato un ruolo fondamentale in questo studio, sottolineando l’importanza cruciale delle date al radiocarbonio ottenute. “La precisione delle datazioni al radiocarbonio è essenziale per stabilire con certezza la cronologia dell’occupazione umana - afferma la docente. - Il nostro approccio scrupoloso nel datare gli strati 11-7 a Ilsenhöhle ci ha consentito di creare un modello cronologico robusto, rafforzando così la credibilità delle nostre scoperte e le loro implicazioni più ampie”. Le ossa di Homo sapiens provenienti dagli scavi degli anni ’30 e del periodo 2016-2022 sono state direttamente datate utilizzando quantità minime di osso, preservando il materiale per analisi ulteriori. “Abbiamo ottenuto un notevole accordo tra le date al radiocarbonio delle ossa di Homo sapiens provenienti dalle due collezioni archeologiche e le ossa di animali con tracce di macellazioni dai livelli LRJ del nuovo scavo, stabilendo così un legame molto forte tra i resti umani e il complesso LRJ. I risultati suggeriscono che l’Homo sapiens occupava sporadicamente il sito già da 47.500 anni fa”, afferma Helen Fewlass, ricercatrice all’EMBO presso il Francis Crick Institute di Londra, e ex studentessa di dottorato della Professoressa Talamo al Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology.
“Le nostre datazioni sono cruciali per questa scoperta, fornendo una visione dettagliata dell’insediamento dell’Homo Sapiens nell’Europa settentrionale, contribuendo in modo significativo alla comprensione di queste prime migrazioni”, conclude Talamo. Homo sapiens aveva la capacità di adattarsi a condizioni climatiche rigide e fredde. Il secondo studio, pubblicato su Nature Ecology & Evolution, svela la sinergia tra le cronologie ottenute dalle datazioni al radiocarbonio e le analisi degli isotopi stabili su denti e ossa di animali, fornendo preziose informazioni sulle condizioni climatiche e ambientali che i gruppi pionieristici di Homo sapiens hanno affrontato nei dintorni di Ranis. Il team ha combinato informazioni da una vasta gamma di diversi rapporti isotopici stabili, dimostrando che durante il periodo LRJ, prevaleva un clima continentale estremamente freddo e paesaggi aperti simili a quelli attuali in Siberia o nella Scandinavia settentrionale. Le condizioni climatiche si sono ulteriormente raffreddate durante le occupazioni LRJ di Ranis. “Questo dimostra che anche questi primi gruppi di Homo sapiens, in espansione attraverso l’Eurasia, avevano già una notevole capacità di adattarsi a tali condizioni climatiche avverse”, afferma Sarah Pederzani dell’Università di La Laguna e del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, guida dello studio paleoclimatico del sito. “Fino a poco tempo fa, si riteneva che la resistenza alle condizioni climatiche fredde si manifestasse solo diversi millenni dopo; quindi, questo risultato si presenta come affascinante e sorprendente. Forse le steppe fredde con mandrie più grandi di animali preda erano ambienti più attraenti per questi gruppi umani di quanto si pensasse in precedenza”.