AGI - Il virus SARS-CoV-2 può influenzare negativamente i geni dei mitocondri, i produttori di energia delle nostre cellule e portare a disfunzioni in più organi, come il cuore. Lo dimostra lo studio dei ricercatori del Children’s Hospital of Philadelphia e del COVID-19 International Research Team, pubblicato su rivista Science Translational Medicine. Dall’inizio della pandemia di COVID-19, causata dal virus SARS-CoV-2, gli scienziati hanno cercato di determinare perché questo virus crea effetti a lungo termine così negativi rispetto alla maggior parte dei coronavirus.
I risultati della ricerca suggeriscono nuovi approcci per il trattamento del COVID-19. I ricercatori hanno notato che, mentre la funzione mitocondriale si è ristabilita nei polmoni, ciò non è avvenuto nel cuore e in altri organi, arrecando danni a lungo termine nei pazienti. I mitocondri sono presenti in ogni cellula del nostro corpo. I geni responsabili della generazione dei mitocondri sono dispersi sia nel DNA nucleare situato nel nucleo delle nostre cellule sia nel DNA mitocondriale posto all’interno di ciascun mitocondrio.
Studi precedenti hanno dimostrato che le proteine del SARS-CoV-2 possono legarsi alle proteine mitocondriali delle cellule ospiti, causando potenzialmente una disfunzione mitocondriale. Per comprendere l’impatto del SARS-CoV-2 sui mitocondri, i ricercatori del Center for Mitochondrial and Epigenomic Medicine del CHOP, assieme ai loro colleghi del COV-IRT, hanno voluto analizzare l’espressione genica mitocondriale per rilevare le differenze causate dal virus.
A tal fine, hanno esaminato una combinazione di tessuti nasofaringei e autoptici provenienti da pazienti affetti e da modelli animali. “I campioni di tessuto dei pazienti umani ci hanno permesso di osservare come l’espressione genica mitocondriale fosse influenzata all’inizio e alla fine della progressione della malattia, mentre, i modelli animali ci hanno permesso di riempire gli spazi vuoti e di osservare la progressione delle differenze di espressione genica nel tempo”, ha detto il primo autore dello studio Joseph Guarnieri, ricercatore post-dottorato presso il CMEM del CHOP.
Lo studio ha rilevato che nel tessuto autoptico l’espressione genica mitocondriale si è ripresa nei polmoni, ma la funzione mitocondriale è rimasta soppressa nel cuore, nei reni e nel fegato. Studiando modelli animali e misurando il momento in cui la carica virale era al suo picco nei polmoni, l’espressione genica mitocondriale è stata soppressa nel cervelletto, anche se non è stato osservato alcun ceppo di SARS-CoV-2 nel cervello.
Altri modelli animali hanno rivelato che durante la fase intermedia dell’infezione da SARS-CoV-2, la funzione mitocondriale nei polmoni stava iniziando a recuperare. Nel complesso, questi risultati rivelano che le cellule rispondono all’infezione iniziale che colpisce i polmoni, ripristinando, col tempo, la funzione mitocondriale, mentre in altri organi, in particolare nel cuore, la funzione mitocondriale rimane compromessa.
“Questo studio fornisce una forte evidenza del fatto che dobbiamo smettere di considerare la COVID-19 come una malattia strettamente respiratoria e iniziare a considerarla come un disturbo sistemico che ha un impatto su più organi”, ha dichiarato il coautore Douglas C. Wallace, direttore del CMEM del CHOP. “L’alterazione che abbiamo osservato in organi diversi dai polmoni suggerisce che la disfunzione mitocondriale potrebbe causare danni a lungo termine agli organi interni di questi pazienti”, ha continuato Wallace.
Mentre gli studi futuri che utilizzeranno questi dati studieranno come le risposte immunitarie e infiammatorie sistemiche possano essere responsabili della malattia più grave in alcuni pazienti, il gruppo di ricerca ha trovato un potenziale bersaglio terapeutico nel microRNA 2392, miR-2392, che ha dimostrato di regolare la funzione mitocondriale nei campioni di tessuto umano utilizzati in questo studio.
“La neutralizzazione di questo microRNA potrebbe essere in grado di ostacolare la replicazione del virus, fornendo un’ulteriore opzione terapeutica per i pazienti che sono a rischio di complicazioni più gravi legate alla malattia”, ha affermato ha detto il coautore Afshin Beheshti, biostatistico, ricercatore in visita presso il Broad Institute e fondatore e presidente del COV-IRT.