AGI - Un’iniezione può potenziare la funzione della memoria nei primati anziani. Lo dimostra uno studio dell’Università della California, a San Francisco, negli Stati Uniti, pubblicato su Nature Aging. Una singola somministrazione di klotho, una proteina della longevità, può migliorare le funzioni cognitive nelle scimmie anziane.
“I risultati possono rappresentare un passo avanti verso la traduzione clinica di klotho come trattamento di ringiovanimento delle funzioni cerebrali”, hanno affermato gli autori. La cognizione è una funzione cerebrale chiave che viene erosa dall’invecchiamento e dalle patologie legate all’avanzare dell’età, come nel caso della malattia di Alzheimer.
Con l’invecchiamento della popolazione mondiale, i difetti cognitivi sono diventati una sfida biomedica che richiede interventi farmacologici efficaci. La presenza della proteina della longevità, klotho, che ha dimostrato di prolungare la durata della vita nei topi, diminuisce con l’invecchiamento.
Recentemente è stato scoperto che questa proteina migliora la funzione sinaptica e potenzia la funzione cognitiva nei topi. Per verificare se il klotho abbia effetti simili sulla cognizione nei primati non umani, Dena Dubal, dell’Università della California, e colleghi hanno somministrato una singola dose ridotta di klotho, composta da circa10 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo, a 18 macachi rhesus anziani con età media di 22 anni. I risultati mostrano che una singola dose di klotho porta a un miglioramento delle funzioni cognitive dei primati anziani.
Le misurazioni sono state effettuate con test che valutano la memoria di lavoro e spaziale. I ricercatori hanno scoperto che i miglioramenti procurati dalla somministrazione della proteina persistono per almeno due settimane.
Dosi più elevate non hanno mostrato alcun miglioramento cognitivo. “Gli effetti benefici del klotho sulla cognizione si estendono anche ai primati non umani e questi risultati potrebbero essere utili per lo sviluppo futuro di un intervento per contrastare il declino cognitivo negli esseri umani anziani”, hanno concluso gli autori.