AGI - Un contributo significativo alle catene di fornitura delle materie prime essenziali per la transizione green della mobilità – e non solo – potrebbe venire da un alleato inaspettato: le piante.
Un nuovo studio, infatti, di uno dei maggiori think thank USA, il CSIS – Center for Strategic and International Studies, ha analizzato e sottolineato le potenzialità del cosiddetto phytomining vale a dire dell’utilizzo di certe specie di piante per estrarre metalli grazie alla loro capacità di “succhiarli” dal terreno e accumularli nelle radici, nelle foglie o nella corteccia. Adeguatamente utilizzata questa soluzione potrebbe permettere di integrare in modo significativo l’approvvigionamento di minerali critici necessari per la produzione di batterie, pannelli solari, turbine eoliche e molte altri sistemi tecnologici avanzati di mitigazione del clima.
Il phytomining comporta la coltivazione di queste piante sopra depositi minerali e la loro raccolta per estrarne il contenuto in metalli a mezzo di combustione o “spremitura”. La ricerca sull’estrazione di metalli con le piante risale agli anni ’80, ma ha riacquistato interesse a causa dell’aumento vertiginoso dei prezzi delle materie prime. È stato dimostrato che queste piante, definite “iperaccumulatori” sono in grado di raccogliere nichel, cobalto, selenio, elementi delle terre rare e altro ancora.
Gli iperaccumulatori includono piante da fiore (p. es., Alyssum bertolinii per nichel; Noccaea caerulescens per nichel, cadmio e zinco), alberi (p. es., Glochidon cf. sericeum per nichel e cobalto) e felci ( Dicranopteris pedata per elementi delle terre rare). Il phytomining a livello commerciale è solo alle prime fasi, ma progetti stanno iniziando in Albania, utilizzando Alyssum murale , e in Malesia, utilizzando Phyllanthus securinegioides , per estrarre nichel. Altri progetti di ricerca sono iniziati in Indonesia, Australia, Tanzania e in molti altri paesi.
Nel 2022, il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha sollecitato il dibattito sul tema tramite una richiesta pubblica di informazioni (RFI) sulla raccolta di metalli con iperaccumulatori, con particolare attenzione alla fattibilità economica su terreni non coltivabili. Stante il Dipartimento dell’Energia USA il phytomining offre diversi vantaggi che lo candidano ad essere un elemento importante di una strategia mineraria integrata. In primo luogo, il phytomining può portare all’estrazione mineraria in luoghi non altrimenti appetibili economicamente per le società minerarie. La concentrazione di molti metalli trovati in tutto il mondo nel suolo e nei depositi minerari non è abbastanza alta per avviarne la raccolta in modo economicamente sostenibile.
Il phytomining potrebbe offrire una soluzione al problema, ovviando anche a preoccupazioni di stampo ambientale e sociale, in particolar modo quando in gioco entrano i diritti delle popolazioni locali. In buona sostanza, supponendo che i depositi di minerale di bassa qualità diventino sempre più importanti per la produzione di metalli – vista l’elevata domanda – e che la regolamentazione ambientale rimanga la stessa, il phytomining potrebbe ridurre la necessità di aprire nuove miniere di stampo tradizionale. In secondo luogo, il phytomining potrebbe aiutare nella bonifica di siti minerari esausti, fornendo allo stesso tempo nuovi metalli.
Al termine delle operazioni minerarie, la roccia di scarto viene lasciata vicino ai siti minerari, con il rischio spesso di inquinamento delle falde acquifere. Piantare iperaccumulatori potrebbe portare all’assorbimento dei metalli di scarto prima che penetrino nelle acque sotterranee. Il che renderebbe inoltre più praticabile l’agricoltura tradizionale nei terreni limitrofi, riducendo i contaminanti nel suolo e nelle acque sotterranee e prevenendo l’erosione superficiale. In terzo luogo, il phytomining potrebbe aiutare a compensare una certa volatilità dei prezzi legata all’estrazione mineraria.
L’instabilità politica e le controversie sindacali di lunga data sui grandi siti minerari, insieme al drammatico aumento della domanda di materiali critici, hanno reso il prezzo instabile uno dei maggiori ostacoli per gli utenti finali di minerali critici. Gli elementi ottenuti con il phytomining, anche se costituissero una piccola quota della produzione globale complessiva, potrebbero servire a compensare gli sbalzi di mercato. Ad oggi comunque le incognite su questa tecnica di estrazione sono molte.
Studi citati dal CSIS, indicano che la grande domanda di terra che questa tecnica richiederebbe, la possibilità che i prezzi dei metalli scendano (rendendo il phytomining meno attraente dal punto di vista commerciale), la resa relativamente bassa per acro (rispetto alle operazioni minerarie tradizionali) nonché la revisione normativa che tale tipo di produzione richiederebbe, sono altrettanti punti interrogativi che questa opzione deve affrontare. Non è poi da dimenticare che costi di avvio per una nuova operazione di phytomining sarebbero probabilmente significativi.