AGI - Una ricerca pubblicata sulla rivista Global Change Biology coordinata da Institut de Ciències del Mar (ICM-CSIC) di Barcellona, cui ha partecipato il Cnr-Irbim in collaborazione con altri 30 gruppi di ricerca provenienti da 11 Paesi, è in grado di ricostruire per la prima volta gli effetti delle mortalità di massa su scala mediterranea di 50 diverse specie marine.
Tra il 2015 e il 2019 una serie di ondate di calore ha colpito tutte le regioni del bacino mediterraneo, provocando eventi di mortalità di massa in 50 diverse specie marine come coralli, spugne, macroalghe e anche pesci.
L'impatto fino a 45 metri di profondità
Secondo una ricerca internazionale pubblicata sulla rivista Global Change Biology cui ha partecipato l'Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irbim), questi fenomeni hanno interessato migliaia di chilometri di coste mediterranee, dal Mare di Alboran sino alle coste orientali, tra la superficie e i 45 metri di profondità.
"Purtroppo, i risultati del lavoro mostrano per la prima volta un'accelerazione degli impatti ecologici associati ai cambiamenti climatici, una minaccia senza precedenti per la salute e il funzionamento dei suoi ecosistemi. Preoccupa, inoltre, l'interazione tra il riscaldamento e la presenza di nuovi patogeni negli ambienti marini con effetti ancora poco conosciuti. Dall'eccezione alla norma, la crisi climatica sta colpendo gravemente gli ecosistemi marini di tutto il mondo e il Mediterraneo è un hotspot di particolare rilievo", spiega Ernesto Azzurro, ricercatore del Cnr-Irbim.
I dati forniti dallo studio hanno permesso di dimostrare che esiste una relazione significativa tra la durata delle ondate di calore e l'incidenza degli eventi di mortalità.
"Gli eventi di mortalità di massa nel Mediterraneo sono equivalenti agli eventi di sbiancamento osservati consecutivamente anche nella Grande Barriera Corallina, suggerendo che questi episodi siano già la norma piuttosto che l'eccezione", sottolinea Carlo Cerrano, dell'Università Politecnica delle Marche.
La ricerca è stata svolta in collaborazione con oltre 30 gruppi di ricerca provenienti da 11 Paesi, che ha permesso di rilevare l'incidenza e la gravità del fenomeno in ogni angolo del bacino.
Le specie più colpite
Gli autori stanno lavorando al rafforzamento della cooperazione scientifica a tutti i livelli, al fine di sollevare la drammaticità dell'emergenza climatica in corso, un'emergenza che deve essere oggi considerata in tutte le scelte gestionali e politiche.
"Le ondate di calore marine registrate tra il 2015 e il 2019 sono state eccezionali, rispetto ai dati disponibili che coprono gli ultimi 30 anni, interessando oltre il 90% della superficie del Mediterraneo e raggiungendo temperature superiori ai 26 gradi", spiega Joaquim Garrabou, ricercatore del Institut de Ciències del Mar (ICM-CSIC) di Barcellona e coordinatore dello studio.
Tra le specie più colpite ce ne sono di fondamentali per mantenere il funzionamento e la biodiversità degli ecosistemi costieri come, ad esempio, le praterie di Posidonia oceanica o il coralligeno, che rappresentano due degli habitat più emblematici del Mediterraneo". La ricerca è stata svolta grazie al supporto dei progetti europei H2020 MERCES, H2020Futurmares, InterregMED MPA-Engage e del progetto HEATMED.