AGI - Non c’è che dire: viviamo in piena era dell’opinionismo diffuso dove ognuno si sente in pieno diritto di dire la propria su qualsiasi argomento, e siamo anche nella stagione della replica istantanea sui social e dell’essere esperti su tutto e di tutto. Pronti a concionare su qualsiasi argomento sostenendo ragioni e verità assertive, senza mai arretrare di un passo o avere un minimo dubbio su ciò che stiamo sostenendo. Anzi, rivendichiamo a pieno titolo il diritto e la supremazia della nostra individuale e assoluta libertà di espressione. Anche se, in realtà, così non è affatto.
Spiega lo psicologo e neuroscienziato Lorenzo Dornetti, direttore del laboratorio di neuroscienze privato Neurovendita Lab: “La questione non ha nulla a che vedere con la libertà d’espressione” né con le polemiche sugli esperti presunti o reali da talk show, ma semmai con il fatto che “un gran numero di persone si senta effettivamente competente dei più disparati argomenti pur non essendolo”.
Sui social ma non solo su di essi. Come dire: tutti si sentono autorizzati a parlare, anche a vanvera. Felici di poter dire la propria, anche se il pensiero è casuale o scarsamente competente e scientifico, nel senso di esattezza, pertinenza, congruità, appropriatezza. Perché mai?
Dornetti - studioso di psicologia applicata al marketing commerciale - si interroga e cerca di capire perché “queste persone parlano e scrivono avendo la percezione interiore di aver capito e di poter esprimere un giudizio fondato”. La risposta, secondo il neuroscienziato, è che in psicologia questo effetto “si chiama Dunning-Kruger” in omaggio a due psicologi che hanon studiato specificamente questo fenomeno per rivelare che in sostanza quel che accade è esattamente questo: “Individui poco esperti in un determinato campo sopravvalutano le proprie abilità e finiscono con il ritenersi competenti e sono sinceramente convinti di saperne più della media. Questa irrazionale percezione di sé è alla base del bisogno compulsivo di commentare”.
Fin qui la spiegazione psicologica e scientifica. Che il neuroscienziato analizza anche in questo modo: “Si genera così un effetto paradossale: persone con una ridotta esperienza in un’area hanno la sensazione di aver capito e commentano con toni e modalità che rivelano la convinzione di essere depositari del sapere. Persone molto competenti, con una forte esperienza in quello specifico settore ne abbracciano la complessità e comprendono che ogni giudizio merita approfondimenti ed è probabilistico. Questo approccio non si adatta alla sintesi richiesta dai tweet o dalle stories e quindi, le persone più competenti usano sui social in misura minore per commentare, mentre chi ha una conoscenza superficiale trova proprio nei social lo spazio perfetto per esprimersi. Questo determina uno squilibrio e un impoverimento dell’informazione corretta nello spazio, dove dati alla mano, si informa la maggior parte degli italiani adulti”.
In maniera più terra-terra si potrebbe anche aggiungere che persone di nessun valore, competenza e capacità argomentativa, in realtà si mettono lo scolapasta in testa e per questo solo si sentono alternativamente generali o qualsiasi altro tipo di figura si adatti all’occasione. Il punto è in questo caso c’è di mezzo il “social”, sia esso sotto forma di smartphone, Facebook, Twitter o che altro, e questo fa la differenza.
Perché diventa un megafono che legittima chiunque a dire la qualunque, più o meno come il Cetto di Antonio Albanese protagonista dei suoi film. Analizza ancora Dornetti che le ragioni di questa distorsione della percezione in psicologia sono dovute essenzialmente a due fattori: “Da un lato aumenta l’autostima perché sentirsi competenti piace, anche quando non lo si è davvero. Dall’altro dipende dall’assenza di feedback. Gli esperti di un argomento hanno sostenuto contraddittori ed esami e questo ha significato ricevere feedback che li hanno indotti a migliorarsi, sviluppando così una maggiore consapevolezza di sé. Chi non studia (nel senso ampio del termine), non ha modo di confrontarsi e si fida della propria sapienza intuitiva, con il risultato che bastano le prime righe di Wikipedia per avere la sensazione di aver compreso anche temi complessi” pertanto l’effetto Dunning-Kruger – come volevasi dimostrare – “è potenziato nella nostra epoca ipertecnologica che offre un’ampia facilità di accesso all’informazione”.
Come potrebbe parafrasare oggi il suo stesso pensiero il sociologo Marshall McLuhan, la cui fama è legata alla sua interpretazione innovativa degli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli, “se il social è il messaggio”, non è automaticamente detto che sia anche automaticamente “socialmente utile”.
Dopo i “killer da tastiera” è adesso l’ora dei “tuttologi da social”, che il Dornetti apostrofa anche come “internettologi”, per concludere: “Chi si sovrastima mostra un’attivazione cerebrale precoce, mentre chi si sottostima, chi ne sa davvero, attiva un’onda più tardiva” pertanto “il cervello di chi è esperto ha bisogno di più tempo per recuperare ricordi e informazioni” cosicché “a domanda diretta solo il 30% di sotto-estimatori, ovvero di quelle persone che attivavano il cervello in maniera lenta e che conoscevano in profondità il prodotto in questione, si rendevano disponibili a scrivere pubblicamente il loro parere sui social. Tra i sovra-estimatori, poco competenti, con un’attivazione cerebrale immediata, oltre l’80% era aperto a comunicare il proprio punto di vista”. Il guaio aggiuntivo è che siamo in piena era “fast” e poco “slow”.
Ed è forse proprio la velocità, l’ansia che ci guida nel tempo di reazione ad inguaiarci.