Dallo studio quasi decennale sulla storia clinica di un giovane paziente asintomatico, la scoperta di un meccanismo genetico ereditato dalla madre in grado di riattivare la produzione di distrofina e migliorare le condizioni dei pazienti. Il lavoro, coordinato dalla Sapienza con l’Istituto italiano di tecnologia (IIT) e il Centre for Genomic Regulation (CRG) di Barcellona, e sostenuto da ERC Advanced Grants, Fondazione Telethon e Parent Project, è stato pubblicato sulla rivista EMBO Molecular Medicine.
Storia di Gennaro
Il caso che ha portato alla scoperta è quello di un paziente affetto da una forma di distrofia muscolare di Duchenne inspiegabilmente lieve che, proprio per la sua condizione anomala, è stato seguito per anni da Irene Bozzoni e dal suo team del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza e dell’IIT, che lo aveva incontrato nel corso di una maratona Telethon nel 2011. Quella di Gerardo non è solo la storia clinica di una malattia che colpisce 1 maschio su 3500 nati (le femmine generalmente sono portatrici asintomatiche) e che causa una progressiva degenerazione dei vari tessuti muscolari, ma è l’esperienza di un ragazzo che a 14 anni era ancora in grado di camminare e muoversi autonomamente e che ancora oggi a 23 anni, pur preferendo la carrozzina per i suoi spostamenti, riesce con qualche aiuto a stare in piedi e a muovere alcuni passi, e soprattutto non manifesta sintomi respiratori o cardiaci.
La scoperta
Dall’incontro, avvenuto quasi 10 anni fa, da una parte è nata una linea di ricerca volta a scoprire nuovi dettagli sui meccanismi alla base della formazione dei muscoli (miogenesi), dall’altra si è riaccesa la speranza di chiarire alcune incognite legate alla particolare evoluzione della malattia nel giovane. In un primo studio del 2016, Irene Bozzoni e il suo gruppo di ricerca hanno osservato come le cellule del ragazzo mettessero spontaneamente in atto un particolare meccanismo molecolare che bypassa l’errore genetico che causa l’assenza della distrofina, ripristinandone la produzione in quantità sufficienti a migliorare le condizioni fisiche.
In particolare, è stato visto che questo meccanismo, basato sul principio dell’exon skipping, è favorito dall’assenza di una proteina, chiamata Celf2a. Oggi, in un nuovo studio realizzato in collaborazione tra la Sapienza, l’Istituto italiano di tecnologia (IIT) e il Centre for Genomic Regulation (CRG) di Barcellona, i ricercatori coordinati da Irene Bozzoni hanno proseguito nella caratterizzazione degli aspetti molecolari di questo interessante fenomeno e scoperto che il meccanismo genetico in grado di riattivare la produzione di distrofina è ereditato dalla madre. Nel lavoro, pubblicato sulla rivista EMBO Molecular Medicine e sostenuto da Fondazione Telethon, dall’Associazione Parent Project e da un grant dell’European Research Council (ERC), è stato anche dimostrato che “spegnendo” il gene Celf2a nelle cellule di altri pazienti affetti dalla distrofia muscolare di Duchenne, viene recuperata la produzione di distrofina a livelli che potrebbero essere curativi.
“Abbiamo visto che anche nella madre del ragazzo il gene che produce la proteina era inattivato - spiega Irene Bozzoni - e questo ci ha permesso di capire che la mancata espressione di Celf2a non è dovuta a mutazioni del suo gene, ma a un silenziamento epigenetico trans-generazionale che opera attraverso uno specifico RNA non codificante. Il vero traguardo sarebbe quello di riprodurre questa specifica condizione molecolare in altri pazienti, aprendo nuove importanti prospettive di cura”. I prossimi studi del team infatti indagheranno Celf2a come target terapeutico e saranno mirati allo sviluppo di potenziali molecole capaci di inibire tale fattore quando è presente. Queste molecole potrebbero diventare una cura, che a oggi non esiste, per altri pazienti con lo stesso tipo di mutazione.