AGI - A circa 9,7 chilometri sotto la superficie dell’oceano Pacifico, nella Fossa delle Marianne, il punto più profondo del pianeta, sono state trovate tracce di inquinamento antropico da mercurio, una sostanza altamente tossica. Lo hanno segnalato durante la Goldschmidt geochemistry conference gli esperti dell’Università cinese di Tianjin, che hanno esplorato e analizzato le acque oceaniche abissali.
“Si è trattato di una vera sorpresa a una profondità così elevata, alcuni studi precedenti avevano stabilito che il metil-mercurio può accumularsi entro poche centinaia di metri dalla superficie dell’acqua, garantendo la sicurezza della fauna marina che abita le profondità dell’oceano. Le nostre ricerche dimostrano però che questo potrebbe non essere vero”, afferma Ruoyu Sun dell’Università cinese di Tianjin.
“Il mercurio nelle acque oceaniche diventa metil-mercurio, la forma organica dell’elemento, che potrebbe essere più pericoloso per via di un processo noto come ‘bioaccumulo’, per cui i pesci più piccoli si nutrono della sostanza tossica, che poi viene assimilata dagli animali più grandi che si nutrono dei pesci piccoli, finché le sostanze tossiche non raggiungono la nostra catena alimentare”, spiega l’esperto, aggiungendo che il mercurio può essere implicato in catastrofi ambientali e particolarmente dannoso durante lo sviluppo dei feti.
“A Minamata, in Giappone, negli anni '50, ad esempio, il mercurio ha provocato gravi sintomi neurologici e difetti alla nascita per un gran numero di bambini. Nel 2016 e 2017, grazie all’utilizzo di veicoli per l’esplorazione delle acque profonde, sono state rilevate tracce di questo pericoloso inquinante a 9,7 e 8,5 chilometri di profondità, nella Fossa delle Marianne e nella Fossa degli Yap, due dei luoghi più inaccessibili della Terra”, continua ancora Sun.
“L’impronta isotopica che abbiamo rilevato era inconfondibile. I nostri risultati indicano che il metil-mercurio naturale a quelle profondità è estremamente raro, pertanto quello che abbiamo trovato deve essere di origina antropica”, commenta il ricercatore.
Un team americano ha invece analizzato pesci e crostacei provenienti dalla Fossa delle Marianne e da quella di Kermadec vicino alla Nuova Zelanda, che raggiunge i 10 km di profondità. “I nostri dati indicano la presenza di mercurio nelle specie che abitano in acque profonde. La sostanza potrebbe aver raggiunto gli animali oceanici grazie alle piogge”, sostiene Joel Blum dell'Università del Michigan che ha guidato le spedizioni.
“Il mercurio viene introdotto nell’ambiente da una varietà di fonti naturali come eruzioni vulcaniche e incendi boschivi, ma le attività antropiche, come la combustione, l'estrazione e la produzione di carbone e petrolio, sono responsabili di gran parte della sua diffusione”, commenta Ken Rubin dell’Università delle Hawaii. “Ora, grazie a questi studi, sappiamo che il mercurio può raggiungere anche i punti più remoti del pianeta. Abbiamo un'ulteriore conferma del profondo impatto che l’attività umana può provocare”, concludono i ricercatori.