Il monitoraggio delle acque reflue in cerca di materiale genetico del coronavirus potrebbe aiutare a prevedere i nuovi focolai con sette giorni di anticipo. Lo sostengono in un articolo pubblicato su MedRxiv.org gli esperti della Yale University, che hanno studiato un impianto di trattamento dei rifiuti a New Haven, nel Connecticut, per rilevare i segni del virus espulso tramite le feci umane.
“I picchi riscontrati nei livelli di materiale genetico erano collegati agli aumenti simili nei test con i tamponi nelle aeree e alle relative ospedalizzazioni. Monitorare le acque di scarico potrebbe essere una via efficace per prepararsi a nuovi focolai, che alcuni esperti temono si verificheranno con la riapertura”, afferma Jordan Peccia della Yale University.
Il team ha eseguito test dal 19 marzo al 20 maggio, analizzando campioni e monitorando i ricoveri dei circa 200 mila abitanti della città di New Haven. “Combinare diverse metodologie per tenere la situazione sotto controllo sarà fondamentale dopo la riapertura, prevenire i focolai potrebbe spingere i decisori a istituire quarantene temporanee ed evitare una nuova diffusione su scala più ampia e impedire il sovraffollamento degli ospedali”, prosegue Alessandro Zulli, collega e coautore di Peccia, sottolineando l’importanza di metodi alternativi ed efficaci per rilevare il virus precocemente.
“A New Haven, il numero di persone ricoverate in ospedale per coronavirus ha raggiunto il picco il 12 aprile, mentre il virus nelle acque reflue ha raggiunto la massima concentrazione tre giorni prima. Allo stesso modo anche il declino dei casi ricoverati è stato anticipato dal calo delle concentrazioni di coronavirus nelle fognature”, affermano i ricercatori.
“Il nostro studio potrebbe avere implicazioni politiche sostanziali. La sorveglianza delle acque reflue rappresenta un metodo efficace e a basso costo per il monitoraggio della situazione, utile specialmente nei casi in cui ci sono limitazioni nei test clinici”, conclude Zulli.