L'esopianeta Proxima b, che orbita attorno alla nana rossa Proxima Centauri, viene raggiunto quasi costantemente da solar flare e raggi cosmici che potrebbero contribuire a rendere il pianeta più abitabile. Questi i risultati di uno studio, pubblicato su arXiv e condotto dai ricercatori dell'Istituto di tecnologia di Berlino, in Germania, che hanno ribaltato le precedenti teorie, secondo cui le condizioni a cui è sottoposto Proxima b non fanno che accentuare le difficoltà allo sviluppo di forme di vita.
Il team guidato da Markus Scheucher ha elaborato dei modelli per analizzare il modo in cui le particelle energetiche generate dai solar flare influenzino la temperatura del pianeta. "Dato che orbita attorno a una stella molto piccola, Proxima b riceve solo il 65 per cento dell'energia che giunge a noi dal Sole. I solar flare che colpiscono l'esopianeta con nuclei di idrogeno provocano la produzione di idrossido in atmosfera, che reagisce con il metano e genera acqua e anidride carbonica per cento, spiega Scheucher, specificando che questo processo è un sistema di raffreddamento che si verifica anche nel nostro Sistema solare.
"Su Titano ad esempio, il satellite più grande di Saturno, il 90 per cento dell'energia solare viene assorbita nello strato più esterno dell'atmosfera, e perciò non raggiunge la superficie", prosegue il ricercatore. "Il nostro studio contribuisce a cambiare il modo in cui guardiamo agli esopianeti. L'85 per cento delle stelle presenti nella Via Lattea sono nane rosse e molti degli esopianeti scoperti negli ultimi anni ruota attorno a stelle di questo tipo", spiega ancora Scheucher.
"Il modello elaborato è funzionale per pianeti che si trovano a una distanza ben precisa rispetto alla loro stella, come Proxima b, ma non è necessariamente applicabile a pianeti che si trovano in un'orbita più piccola", precisa Abel Meéndez dell'Università di Puerto Rico ad Arecibo, aggiungendo che in questi casi i solar flare e i raggi cosmici potrebbero deteriorare le condizioni del pianeta.
"Le particelle che raggiungono il pianeta potrebbero però fornire energia sufficiente per creare le molecole basilari per lo sviluppo della vita", spiega ancora il ricercatore, menzionando uno studio del 2018 secondo il quale la luce ultravioletta delle stelle potrebbe contribuire all'abiogenesi, un processo che porta alla formazione dell'RNA.
"Ad ogni modo, rintracciare inequivocabili prove di vita in pianeti così lontani è e sarà molto difficile. Sulla Terra sappiamo che la vita ha avuto origine negli oceani, cosa che potrebbe essere accaduta anche in altri pianeti, specialmente nel caso in cui le condizioni sulla terraferma siano più ostiche", affermano i ricercatori. "Inoltre stando ai risultati del nostro studio, il metano e l'anidride carbonica nell'atmosfera di un pianeta potrebbero ostacolare la lettura dei dati riguardo la presenza di acqua, rendendo potenzialmente ancora più complessa la ricerca di segni di vita", conclude Méndez.