Appena scoperta una nuova specie animale nella Fossa delle Marianne e già suscettibile dell’inquinamento prodotto dall’uomo. È la nuova specie di minuscolo crostaceo l’Eurythenes plasticus appena scoperta dai ricercatori dell'Università di Newcastle che, pur vivendo nelle profondità oceaniche, sembra essere stata contaminata dalla plastica. Alcuni individui di questo anfipode (gli Anfipodi sono piccoli crostacei caratterizzati dal corpo compresso lateralmente e un po’ arcuato) hanno ingerito plastica mostrando la presenza di tracce di PET (polietilene tereftalato), un tipo di plastica usata in una grande varietà di prodotti di largo uso, dalle bottiglie per l’acqua agli indumenti sportivi.
La ricerca, supportata dal WWF, è stata pubblicata oggi sulla rinomata rivista scientifica Zootaxa. “La specie appena scoperta Eurythenes plasticus ci mostra quanto siano gravi gli effetti della gestione inadeguata dei rifiuti di plastica. Specie che vivono nei luoghi più profondi e remoti della terra hanno già ingerito plastica prima ancora di essere conosciute dall'umanità. La plastica è nell'aria che respiriamo, nell'acqua che beviamo e ora anche negli animali che vivono lontano dalla civiltà umana”, ha dichiarato Isabella Pratesi, direttore Conservazione di WWF Italia.
Alan Jamieson, ricercatore capo presso l'Università di Newcastle, ha dichiarato: "Abbiamo deciso il nome Eurythenes plasticus perché volevamo sottolineare il fatto che dobbiamo agire immediatamente per fermare lo ‘tsunami’ di rifiuti di plastica che si riversa nei nostri oceani". La dimensione dell’utilizzo della plastica è ormai oggetto di numerose ricerche da parte di tanti studiosi, che stanno dimostrando come ormai abbiamo indirizzato la meravigliosa biosfera (la sfera della vita sulla Terra, grazie alla quale l’umanità vive) nel periodo definito Antropocene, a sottolineare la dimensione dominante, pervasiva e distruttiva delle attività umane sugli equilibri dinamici dei sistemi naturali del nostro pianeta.
Proprio lo scorso anno un’importante ricerca apparsa su “Nature Communications” aveva dimostrato gli effetti nefasti della plastica sulle comunità marine del batterio Prochlorococcus, fondamentale microrganismo marino che è alla base di almeno il 20% della produzione di ossigeno che proviene dai batteri marini: l’evidenza è che le nanoplastiche possono influenzare la composizione delle comunità marine di questi microrganismi e la loro capacità fotosintetica.
"Non tutti gli individui della nuova specie E. plasticus contengono plastica. Quindi, c'è ancora speranza che molti altri esemplari ne siano privi. Per aiutare a proteggere le specie marine e i loro habitat naturali, stiamo chiedendo anche in Italia di lavorare per un trattato internazionale legalmente vincolante per porre fine all'inquinamento marino della plastica”, conclude Isabella Pratesi.