AGI - La bellezza salverà il mondo? Di certo aiuterà coloro che soffrono di Alzheimer, una malattia degenerativa che non si può bloccare ma che si può rallentare e prevenire.
Complice proprio la bellezza che, in tutte le sue forme espressive - dalla musica alla danza, dal teatro alla pittura – può diventare cura.
E a dirlo è la scienza. Lo spiega all’AGI Flora Inzerillo, psicoterapeuta, musicoterapeuta e psico drammatista del Policlinico di Palermo, nella Giornata mondiale dell’Alzheimer che si celebra oggi 21 settembre.
Palermitana, 61 anni, piena di energia e passione, da molti anni ormai lavora con gruppi di persone che soffrono di Alzheimer. All’Orto Botanico di Palermo porta avanti da giugno 2020 il progetto ‘Le radici che curano’; mentre da ieri, 20 settembre, l’ultima iniziativa in ordine di tempo, ‘La bellezza che ci appartiene’, che punta sull’arteterapia, nella splendida cornice del Museo Abatellis di Palermo.
“Di fronte all’Alzheimer – spiega la dottoressa Inzerillo – la neuroestetica funziona: lavorando su stimoli passivi, che sia la musica o l’arte, si creano ambienti interiori che da un punto di vista neuro-endocrino sono come quelli che si realizzano nella fase dell’innamoramento”.
Si parte dalla musicoterapia. “Le tecniche che uso con i pazienti e con i caregiver – racconta – sono miste. Riattivo la parte psico-corporea con l’uso di strumenti”, come tamburelli e maracas; “con le canzoni del cuore, quelle che gli stessi pazienti amano perché gli evocano un ricordo bello. Dal ritmo corporeo si arriva a potenziare la memoria, anche emozionale. È fondamentale: così loro riescono ad essere parte attiva, e ad ascoltarsi”.
Si parte dal corpo per arrivare al cervello, e alla memoria. Tutto merito dei cosiddetti neuroni specchio: “C’è un presupposto scientifico – dice ancora Inzerillo – ci sono queste categorie particolari di neuroni, i neuroni specchio, che emettono dei segnali di connessione con gli altri neuroni, non solo attraverso la sollecitazione diretta ma anche in modo passivo, con l’imitazione”.
E l’uso degli strumenti e della musica aiuta questa attivazione. “I neuroni specchio – continua – si trovano in alcune strutture del cervello dove si regola l’attenzione ma anche la stimolazione delle emozioni e la memoria. Tutte le tecniche espressive funzionano molto bene”.
Per molti anni, Flora Inzerillo ha lavorato con i pazienti psichiatrici, poi dal 2008 è andata in geriatria al Policlinico di Palermo e lì ha iniziato a seguire il metodo della musicoterapia con gli anziani.
Prima della pandemia, le ‘lezioni’ si svolgevano in reparto – anche gruppi di 25/30 persone - poi quando a marzo 2020 è stato convertito in reparto Covid, Inzerillo ha deciso di trovare una soluzione alternativa per non interrompere questo percorso di cura non farmacologico.
“Me lo sono inventata di punto in bianco. Ho pensato allo spazio aperto dell’Orto Botanico e ho chiesto l’autorizzazione al mio primario, il professor Mario Barbagallo, e al direttore universitario dell’Orto Botanico, Paolo Inglese. E a giugno 2020 abbiamo iniziato”. Il nome è ‘Le radici che curano’ perché “l’elemento della natura, il contatto con gli alberi, serve a rigenerarsi”.
Anche i familiari vengono coinvolti perché questo metodo “aiuta la coppia a riconoscersi in un altro modo nella loro coniugalità”. Un supporto fondamentale, quindi, sia per i pazienti che per i caregiver. “I benefici obiettivi – sostiene la dottoressa che vanta anche una preparazione da musicista che sicuramente le è tornata utile – cambiano in base ai livelli della malattia. Nei casi più gravi aiuta a calmare l’agitazione psico-motoria, anche attraverso lo strumento musicale utilizzato; nei casi di gravità intermedia aiuta sul fronte dell’umore e aiuta a riconoscersi. Il proprio sé rallenta la sua sparizione”.
Che è purtroppo il fulcro di questa patologia. Anche i familiari ricevono benefici sull’umore perché si ritrovano in un gruppo e nella musica, con un po’ di leggerezza che aiuta perché “è fondamentale il gioco, la possibilità di alleggerirsi”.
“In questi anni sono passati centinaia di malati da questo percorso di musicoterapia – prosegue – ma naturalmente si tratta di un gruppo semi aperto” dove alcuni si aggravano o non ci sono più, e dove ne arrivano di nuovi. Ogni venerdì mattina, per 4 ore, una ventina – tra pazienti e caregiver - si ritrovano tra gli alberi secolari e le bellezze naturali dell’Orto Botanico palermitano e a dar man forte alla dottoressa Inzerillo c'è una squadra di giovani e sorridenti psicologi in formazione (il loro ruolo è l’Io ausiliare’).
“Ora che si torna alla normalità rispetto al Covid – osserva Inzerillo - ho riscontrato che i pazienti godono della bellezza del luogo e quindi ho proposto di stare là finché non ci sarà il diluvio a impedirlo. In alternativa la direttrice del Museo Abatellis, Evelina De Castro, mi ha proposto un altro splendido luogo che è l’Oratorio dei bianchi”.
Al Museo Abatellis, da ieri 20 settembre, è iniziato il percorso di arteterapia ‘La bellezza che ci appartiene’: “È il terzo esperimento – racconta ancora la vulcanica psicoterapeuta – il primo risale al 2017, un progetto pilota presso il Gam (la Galleria d’arte moderna); il secondo sempre al Gam con l’utilizzo delle fotografie di Scianna e il recupero delle foto dei pazienti; ora invece seguiamo i percorsi museali per ricalibrare la memoria autobiografica dei pazienti perché la nostra identità – sottolinea – è fatta di diversi livelli e va dalle nostre origini fino ai livelli familiari per arrivare a quelle ambientali e infine ‘politiche’, legate cioè al concetto di polis”.
Al centro ci sono le opere d’arte che fanno emergere i paesaggi interiori e questo, prosegue Inzerillo, “diventa fonte di serenità interiore, di tranquillità. Lo vedremo sui ritratti familiari, sull’autoritratto, sulla riproduzione del corpo con le sculture”. Nel primo appuntamento – 20 tra pazienti e caregiver – c’è stata un’analisi de ‘Il trionfo della morte’ e di altre opere pittoriche, e da lì si è chiesto un ‘riscontro’ con fogli e colori per disegnare. La bellezza salverà il mondo.