Nel Nord Europa, dove le menti e le leggi sono più aperte e il sex working è una realtà, si chiamano assistenti sessuali. Da noi sono declinati in OEAS, che sta per “Operatore all'emotività all'affettività e alla sessualità”, e hanno la delicata mission di supportare e assistere le persone diversamente abili nel vivere la loro intimità e le loro emozioni sessuali.
Un tema da sempre rimosso, quello del rapporto tra disabilità, desiderio e sentimenti, che in Italia aspetta ancora una legge. Quella del 2014, presentata dall'esponente del Partito Democratico Sergio Lo Giudice, non è mai stata calendarizzata e adesso la delicata materia è nelle mani del M5S. Ma intanto a infrangere il tabù ci ha pensato la Rai, attraverso Stefano Coletta con la meritoria serie “Il Corpo dell’Amore”: quattro puntate in seconda serata dal 31 maggio che raccontano le storie di altrettanti disabili alla ricerca di una sessualità libera e indipendente.
Al centro dell’ultimo episodio, che andrà in onda il 21 giugno, c’è la storia di Anna Senatore, 46 anni e tre figli, nel suo percorso con Matteo, 39 anni, tetraplegico: è stato il suo tirocinio, sei mesi da maggio a dicembre dello scorso anno, assistita dal supervisore Fabrizio Quattrini, psicologo, sessuologo e vicepresidente dell’associazione LoveGiver, dal 2013 impegnata nel diritto al benessere psicofisico dei disabili. Un benessere che non può prescindere dalla sfera sessuale.
Intuendone l’urgenza, ancora prima di una legge che regolamenti la professione, LoveGiver è stata la prima in Italia ad organizzare corsi di formazione con relativo tirocinio per OEAS selezionando 30 persone, ridotte poi a 16: fisioterapisti, assistenti, counselor, operatori olistici che però, spiega Quattrini, non avevano ancora la preparazione adatta per guidare i disabili nella loro sfera più intima, per occuparsi di educazione sesso-affettiva, indirizzando al meglio, chiarisce “le energie intrappolate nei corpi delle persone disabili”.
Niente a che vedere col sesso nudo e crudo: “Non vogliamo far vivere ai disabili una sessualità meccanica, non avrebbe senso. Puntiamo a renderli in grado di sperimentare l’affetto, il corpo, le emozioni e il sesso in modo armonico”. Quattrini ha dato il via a un protocollo che prevede dodici incontri suddivisi in tre livelli: quello dell’accoglienza per capire come entrare in contatto con le varie sindromi e anche con le famiglie e le comunità di riferimento dei disabili. Una fase due, di ascolto, per capire qual è la vera richiesta dell’assistito e un’ ultima “fase del contatto”, che non esclude l’intimità ma non prevede rapporti sessuali.
“I disabili spesso non sanno neanche come funzioni la sessualità e i nostri operatori li aiutano mostrando video, foto, e anche guidandoli verso l’autoerotismo, mostrando magari l’uso dei sex toys. E’ tutto molto soggettivo, e gli interventi sono diversi da caso a caso. Quello che però mettiamo in chiaro dall’inizio con gli assistiti è che non si devono considerare gli operatori come loro fidanzati o fidanzate, pena l’interruzione del rapporto. E nella selezione degli OEAS, che quando opereranno guadagneranno dai 50 agli 80 euro a seduta, cerchiamo persone empatiche, con una corporeità libera e serena”.
Il ritratto, insomma, di Anna Senatore, salernitana che oggi vive a Ferrara, dove ha uno studio privato nel quale si occupa di Zen, Tantra e percorsi evolutivi: nel 2007, dopo il divorzio dal padre dei suoi tre figli e da una prima vita professionale dov’era prima agente di commercio nel settore pubblicitario e poi titolare di un negozio di fiori e bomboniere, ha iniziato a percorrere le tappe che tre anni dopo l’hanno portata a diventare consulente olistica del Benessere.
Oltre ad essere la protagonista dell’ultima puntata della serie di Raitre, Anna è anche la prima tirocinante che ha finito il corso, la prima operatrice all’emotività, all’affettività e alla sessualità in Italia. Adesso si racconta all’Agi, spiegando cosa significa, come si cresce e anche a cosa si rinuncia con una scelta coraggiosa e altruista come la sua.
Come ci si sente ad abbattere un tabù?
“Mi sento una pioniera in un ambito socio-culturale che ancora è considerato un tabù. L’ignoranza è tale che potrei essere essere associata a una prostituta perché per abbreviare si parla di assistenza sessuale ai disabili. Spero che il film aiuti a comprendere che la nostra figura professionale intraprende un percorso personalizzato che varia a seconda dell’assistito e e che non si limita a un solo incontro. Talvolta anche quando si spiega cosa fa una OEAS, non si riesce a far capire a tutti che contemplare la sfera sessuale non significa fare sesso. Non è riuscito a comprendere la profondità della mia missione, neanche il mio compagno: ci siamo lasciati subito dopo la fine del corso, ma talvolta succede di perdere affetti e persone importanti che non capiscono che nel mio lavoro olistico io possa contemplare anche la sessualità nella mia missione di vita”.
Non è una missione banale, come c’è arrivata?
"Quando aspettavo il mio primo figlio che adesso ha 20 anni, c’è stato un momento in cui le analisi avevano rilevato il sospetto di un cromosoma alterato. Ho vissuto un dramma interiore, ma prima di avere il risultato della villocentesi che scongiurava il pericolo, avevo deciso che avrei tenuto comunque il bambino. Da allora è come se avessi assimilato la sensibilità delle mamme dei disabili, troppo spesso lasciate sole davanti al naturale diritto alle sessualità dei loro figli. Tanto che per reazione, a volte conscia a volte inconscia, molte famiglie negano i bisogni affettivi e sessuali dei loro figli, tendendo a considerarli sempre dei ragazzini da accudire e non degli adulti. Quando una mia amica mi ha informato della selezione dei corsi per assistente sessuale non ci ho pensato un attimo, il mio percorso evolutivo professionale è sempre andato di pari passo con quello personale. La mia mission doveva comprendere anche le persone disabili. E quando ho riempito la mia scheda ho accettato di occuparmi sia di uomini sia di donne, perché le anime non hanno sesso. Poi è arrivato Matteo”.
Con lui ha fatto il tirocinio documentato dalle telecamere de “Il corpo dell’amore”, come è stato il vostro primo incontro?
“Nei primi appuntamenti è stato difficile riuscire a capire i suoi bisogni, è stato quello il mio lavoro più difficile. Matteo è arrivato a LoveGiver non perché cercasse una escort, quella è in fondo una strada più facile, ma perché voleva essere messo in condizioni di trovarsi una fidanzata, come è poi successo nel marzo scorso. Cercava la sessualità, ma non fine a se stessa, puntava all’amore, ma all’inizio è stato complicato capire a che punto era la sua vita, la conoscenza del suo corpo e la gestione delle sue pulsioni, che ho scoperto strada facendo a un certo punto della sua vita aveva represso. Ad esempio, poi, non è stato così semplice capirsi quando mi diceva di volere un bacio profondo”.
Che dubbi ci possono essere sul desiderio di un bacio profondo?
“Quello che ho imparato da lui è che ciò che noi diamo per scontato, per persone come lui non lo sono. Il bacio profondo che chiedeva era in realtà un bacio sulla guancia che durasse qualche secondo. Alla soglia dei 40 anni, a Matteo mancava un pezzo di vita importante almeno 25 anni di esperienza affettiva ed emotiva. Le persone come lui nelle loro nelle loro vite ricevono sicuramente abbracci da familiari e dai compagni di scuola, ma gli manca l’intimità. Mio figlio quando aveva sei anni mi ha detto che era innamorato perché era stato mano nella mano con una compagna di scuola, a Matteo questo era stato negato”.
Come l’ha aiutato a recuperare l’intimità?
“Siamo stati mano nella mano, poi gli ho spiegato che non doveva essere irruento, che conquistare una fidanzata, andare a fare shopping con lei e stendersi nel letto con lei come desiderava non era semplice come nei film dove tutto avviene in pochi minuti. Non sapeva dire neanche da quali parti del corpo femminile fosse attratto, per aiutarlo ho usato una cartellina con immagini ritagliati dai giornali. È emerso che era affascinato dai seni, che anche quando era al mare distoglieva lo sguardo per reprimersi. Dopo essermi confrontata con il mio supervisore Quattrini (compare anche nella puntata ndr) proprio alla fine del nostro ciclo di incontri gli ho domandato che esperienza gli sarebbe piaciuto portare a termine e lui ha chiesto di poter toccare il mio seno”.
È previsto dal protocollo?
“Il nostro intervento non prevede una sessualità completa, questo lo aveva chiaro anche lui, fin dall’inizio, ma sta all’assistente decidere, caso per caso, dove arrivare. Lo sfioramento del seno che è documentato anche nella puntata, è stata una bellissima esperienza, molto delicata. Ma possiamo anche scegliere di aiutare i disabili a capire come darsi il piacere, c’è chi lo fa troppo violentemente procurandosi ferite. Sta a noi guidarli e non è certo una pratica da prostituta perché serve un’adeguata preparazione, insieme a empatia e sensibilità, non è mica fine a se stessa. L’assistente sessuale può anche denudarsi se questo può arricchire la conoscenza del disabile di cui si sta occupando. Perché la conoscenza è consapevolezza”.
I suoi figli come hanno reagito quando hanno saputo che era diventata un’assistente sessuale?
La mia famiglia purtroppo si è divisa. Il mio primo figlio ha reagito con grande ostilità chiedendomi perché proprio io dovevo fare queste cose, si vergogna di me. Gli altri due, di 18 e 14 anni, mi supportano. Il loro padre, da cui sono divorziata, mi ha vietato di citarli nella trasmissione di Raitre, dove non viene mai menzionato che sono una madre, un’imposizione che mi ha fatto soffrire. Però questo lavoro pionieristico è importante, ho deciso di partecipare a questo film documentario anche per far sapere alle famiglie dei disabili che esistono figure professionali come la mia. La legge presto si adeguerà, spero, ma loro non possono aspettare ancora per vivere la loro intimità”.