Nelle salse cremose, nei formaggi e nei dolci soffici che ogni giorno consumiamo ci sono, nella maggior parte dei casi, anche se non sempre ce ne accorgiamo, un gran numero di coloranti, addensanti e additivi. Si tratta per lo più di componenti aggiunte volontariamente dall’industria alimentare per rendere il prodotto più appetibile ai nostri occhi. In alcuni casi parliamo di particelle ingegnerizzate di piccolissime dimensioni come il biossido di titanio (anche conosciuto come E171) il cui utilizzo è oggetto di studi e controversie.
Già noto e contestato per l’utilizzo diffuso nelle creme solari ma anche nelle protesi dentarie e diversi cibi, l'E171 viene prodotto in forma nanometrica rappresentando così un rischio nel rischio in quanto più insidioso. Il dibattito sui pericoli è oggi più che mai controverso. Non ci sono dubbi, ad esempio, sulla sua pericolosità quando viene respirato visto che, nel 2006, in caso di inalazione, è stato definito “possibile cancerogeno per l’uomo” dalla Iarc.
Sulle possibili conseguenze relative all’ingerimento, invece, le informazioni sono quasi nulle. C'è, però, una ricerca firmata nel 2017 dall’Istituto nazionale francese per la ricerca agronomica (Inra) che ha evidenziato come, per la prima volta, un’esposizione cronica al biossido di titanio, tramite ingestione, provochi “stadi precoci di cancerogenesi”.
Lo studio ha poi portato il governo francese a sospendere l’immissione sul mercato di tutti i prodotti che contengono questo additivo, a partire da gennaio 2020. L’Europa, dal canto suo, non ha ancorato mostrato segnali di reazione tangibili.
I rischi risultano addirittura amplificati se le particelle sono nanometriche, perché proprio le dimensioni ridottissime consentono di penetrare fin nelle cellule danneggiandole e coinvolgendo persino il Dna. Per il consumatore, del resto, non è possibile evitarle, considerata la difficoltà nel riconoscerle.
Una controversia legislativa complica ancor di più tutto il discorso. L’articolo 18 del Regolamento UE 1169/2011 prevede infatti che tutti gli ingredienti presenti sotto forma di nanomateriali debbano essere espressamente dichiarati in etichetta, mentre il 1363/2013 esclude questo obbligo per i nanoingredienti di additivi autorizzati, come nel caso del biossido di titanio.
Per verificare se la presenza dell’additivo si limita alle quantità dichiarate dall’etichetta o è presente in cristalli in forma nano e micro, Il Salvagente ha portato in laboratorio 12 prodotti tra snack, confetti al cioccolato e alle mandorle, gomme da masticare e compresse farmaceutiche, con risultati poco rassicuranti.
Circa metà dei campioni analizzati hanno infatti confermato la presenza di E171 anche nelle morfologie più pericolose che il cristallo di biossido di titanio può assumere, ad esempio in forma di anatasio. Grazie alla tecnica innovativa messa a punto dai laboratori è stato possibile misurare le dimensioni delle nano e micro particelle; i ricercatori hanno così scoperto che, in seguito all’ingerimento del prodotto, una quantità non indifferente di E171 invade l’organismo e produce conseguenze tossicologiche molto difficili da quantificare.
Intervistato in merito ai risultati dell’inchiesta, il professor Manzo della Facoltà di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Pavia ha dichiarato che “una sostanza in dimensione infinitesima spesso acquista anche proprietà biologiche che altrimenti non eserciterebbe. In molti casi aumenta la reattività biologica, e ciò comporta interferenze nei processi cellulari, capacità di promuovere reazioni infiammatorie, interazioni con componenti del sistema immunitario e altri effetti che possono avere conseguenze sfavorevoli, specie se il contatto con l’organismo è prolungato nel tempo. Inoltre, proprio per le minute dimensioni, le nanoparticelle (che sono 10mila volte più piccole di un capello) attraversano le membrane delle cellule e vengono più facilmente assorbite attraverso l’apparato respiratorio ed anche per ingestione”.