Fino all'età di 80 anni circa il rischio di mortalità aumenta, ma poi decelera fino a raggiungere un livello costante dopo i 105 anni. Il rischio di mortalità diminuisce nel tempo anche a queste età estreme. Quindi, se esiste un limite alla longevità, questo non è stato ancora raggiunto. Sono le conclusioni di uno studio condotto da ricercatori delle università La Sapienza, Roma Tre, Berkeley e Southern Denmark e dell'Istat.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Science. Lo studio è un tentativo di rispondere a domande come "C'è un limite biologico alla longevità umana? Come cambia il rischio di morire con l'avanzare dell'età?". Per riuscirci è necessario stimare con esattezza il rischio di mortalità degli ultracentenari. La mancanza di dati affidabili su questi "pionieri della longevità" ha alimentato un controverso dibattito tra gli scienziati di tutto il mondo.
La comunità scientifica è oggi divisa tra chi sostiene che la curva dei rischi di mortalità continui ad aumentare esponenzialmente con l'età e chi invece argomenta che essa deceleri e raggiunga un livello costante (plateau) alle età più elevate, mimando il comportamento di altre specie animali. Nello studio i ricercatori hanno studiato dati accuratamente documentati sui semi-supercentenari italiani (coloro che superano l'età di 105 anni). I ricercatori hanno stimato per la prima volta la mortalità alle età avanzate con una accuratezza e precisione che non era stata finora possibile.
E hanno individuato l'età di 105 anni come soglia oltre la quale il rischio di mortalità rimane costante. Questa scoperta, secondo i ricercatori, è cruciale per la comprensione dei meccanismi alla base della senescenza e della longevità umana. Essa costituisce una prima cruciale conferma del ruolo giocato dalla sopravvivenza selettiva e fornisce la necessaria chiarezza empirica per il progresso degli studi che riguardano le teorie evolutive sulla senescenza.