AGI - Uscire dai palazzi per rafforzarsi nei territori. È la linea che intende seguire Elly Schlein per uscire dalle sacche di un confronto interno che ha fatto tornare in auge la parola congresso. La conta interna sembra, in realtà, più lontana di quanto gli scossoni seguiti allo strappo sul voto di Strasburgo sul riarmo abbiano fatto temere. La minoranza interna non sembra avere fretta di aprire la corsa al Nazareno. Per mancanza di alternative credibili a Schlein, si dice nei corridoi di Montecitorio.
Così, il voto del gruppo dem alla Camera dopo le comunicazioni della premier Giorgia Meloni, con il Pd che ha votato compatto la propria risoluzione senza cedere alle sirene di M5s e Azione, è stato interpretato dal Nazareno come un segnale di sana e robusta costituzione della maggioranza dem. Ma i malumori non sono affatto sopiti. Il voto di Lorenzo Guerini, esponente di riferimento dell'ala riformista e moderata, ne è una prova. L'ex ministro ha, infatti, votato anche la risoluzione di Più Europa e Azione, oltre a quella del Pd. Risoluzione che sosteneva in maniera convinta il piano della Presidente della Commissione. E questo nonostante gli sforzi del responsabile Organizzazione Igor Taruffi, una sorta di Mr. Wolf che risolve i problemi della segretaria con la controparte riformista.
Determinazione di Schlein
Chi ha avuto modo di parlare con la segretaria nelle ore immediatamente successive al voto di Strasburgo, la descrive come determinata ad andare avanti senza escludere alcuno strumento per fare "chiarezza" dentro al partito, nemmeno il congresso. Quello che la leader dem non può accettare, viene aggiunto, è una soluzione "politicista" a quanto sta accadendo. Tradotto: nessun azzeramento o rimpasto nella segreteria dem.
Diffidenza verso il congresso
Tra le fila dem, tuttavia, c'è anche chi riferisce che la segretaria guarda con diffidenza all'ipotesi del congresso e questo a causa di quello che viene definito "effetto Letta": l'elezione di un nuovo segretario direttamente in assemblea, senza passare dalle primarie, come accaduto appunto con il predecessore di Schlein al Nazareno.
Oltre a questo, viene aggiunto, per organizzare il congresso, la segretaria avrebbe dovuto dimettersi lasciando la reggenza al presidente del Pd, Stefano Bonaccini, che rimane pur sempre un punto di riferimento della minoranza interna, nonostante i malumori di parte dei riformisti per come ha interpretato fino a oggi il ruolo di opposizione interna. E anche se Schlein può vantare la maggioranza in assemblea, una accelerazione in direzione del congresso rischia di rimettere tutti i numeri in discussione. D'altra parte, viene ricordato, non accadde anche con Renzi che una buona parte della maggioranza che poco prima sosteneva Bersani passasse con il rottamatore?
Richieste della minoranza
A scandagliare fonti interne alla minoranza dem, quello che i critici della gestione Schlein chiedono è che i passaggi come quello di Strasburgo siano preceduti da un confronto interno al partito. Ovvero, che la segretaria non assuma decisioni riguardanti le scelte sui grandi temi internazionali senza interpellare tutte le anime del Pd.
Per la maggioranza, però, la sede di questo confronto è la direzione e la segreteria. E da quelle sedi la leader è sempre uscita forte dell'unanimità. Per i riformisti, però, questo confronto non può limitarsi a una conta: se il partito è plurale, è il ragionamento, si deve tenere conto delle sensibilità di tutti e fare sintesi, non procedere a colpi di maggioranza.
Consenso fuori dai palazzi
Un dibattito che non appassiona la segretaria convinta che la polizza assicurativa per rimanere al Nazareno sia il consenso fuori dai palazzi. Per questa ragione Schlein non ha mai smesso di girare l'Italia prendendo parte ad assemblee di lavoratori, manifestazioni (come quella di oggi, a Trapani, contro la criminalità organizzata), negli ospedali e nelle strutture sanitarie.