AGI - C'è chi, fra i dem, la definisce già la "regola del silenzio": sul conflitto in Israele parla solo la segretaria o, in second'ordine, il responsabile Esteri Pd, Peppe Provenzano. Una strategia dettata dall'estrema delicatezza della materia e anche dal precedente dossier Ucraina, viene spiegato. Elly Schlein si è insediata al Nazareno quando il Partito Democratico aveva già stabilito una linea e a ogni scostamento da quella linea sono seguiti scontri interni, polemiche e accuse ai vertici dem.
Si ricordi, ad esempio, il voto al piano europeo Asap per finanziare la produzione di munizioni da inviare a Kiev. Forte di quella lezione, Schlein si è data e ha dato al proprio partito una regola ferrea: degli sviluppi in Medioriente parla solo la segretaria. Spicca, infatti, la sproporzione tra la mole di comunicati contro la manovra e i tagli alla sanità, una 'batteria' ininterrotta di post e comunicati che va avanti da una settimana, e le dichiarazioni su Israele, Hamas e Gaza. Nemmeno gli esponenti del cerchio stretto di Schlein si spingono a dichiarare in ordine sparso.
È quindi la segretaria a ribadire la linea del partito: diritto di Israele a esistere e difendersi, ma senza che sia la popolazione di Gaza a pagare il prezzo di una reazione che, per il Partito democratico, deve restare nei confini dei diritti umani e del diritto internazionale.
"Ci siamo tutti schierati al fianco di Israele, senza ambiguità, nel condannare nettamente l'attacco terroristico di Hamas, di violenza efferata contro i civili israeliani", ricorda Schlein: "Ora è il tempo della politica e di fare ogni tentativo per evitare un'escalation del conflitto e nuove vittime innocenti. Bisogna lavorare perché il diritto di Israele a difendersi dall'aggressione e di contrastare e fermare il terrorismo di Hamas si realizzi nel rispetto del diritto internazionale e proteggendo la vita dei civili palestinesi, le cui vite non valgono di meno".
Parole che arrivano mentre la Striscia di Gaza vive le prime ore di un assedio che si preannuncia lungo. Per Schlein questo "assedio totale della Striscia, i bombardamenti a tappeto e l'ultimatum di 24 ore per l'evacuazione di 1,1 milioni di persone dal nord di Gaza rischiano di provocare ulteriori morti di innocenti e violazioni di massa dei diritti umani, in un territorio in cui il 40% delle persone ha meno di quindici anni".
L'errore da evitare è, infatti, quello di identificare Hamas con il popolo palestinese: "Hamas non è il popolo palestinese, bisogna isolare Hamas dal popolo palestinese e dal resto del mondo arabo", sottolinea ancora Schlein. Sconfiggere militarmente Hamas dunque "non può significare punire collettivamente l'intera popolazione di Gaza". Un appello che Schlein e il Partito Democratico rivolgono a Israele e a tutta la comunità internazionale che in queste ore si sta mobilitando al suo fianco.
"L'appello delle Nazioni Unite per revocare l'ordine di evacuazione che ha definito 'impossibile senza conseguenze umanitarie devastanti' deve essere sostenuto accanto alla richiesta di corridoi umanitari per consentire l'accesso degli aiuti umanitari indispensabili e l'uscita di tutti i civili che lo vogliano, a cominciare dai bambini e dalle persone più fragili".
Un appello, questo, che Schlein aveva già lanciato in Aula alla Camera, al momento delle votazioni delle mozioni su Israele: "Chiamiamo tutta la comunità internazionale a ogni sforzo per far valere le ragioni della convivenza pacifica tra due popoli e due Stati. Non possiamo assistere a una catastrofe umanitaria a Gaza che, lungi dal portare sicurezza e pace a Israele, avrebbe come conseguenza di accrescere una spirale di odio e violenza, che potrebbe estendersi all'intera regione".
Parole che Schlein ha concordato con lo stato maggiore del partito, a cominciare dagli esponenti della sua segreteria. "Abbiamo tenuto una riunione nella quale abbiamo concordato questa posizione del partito, ci siamo dati questa regola di lavoro", spiega una fonte Pd: "Si concorda una linea, poi è la segretaria che fa la sintesi e parla per tutti". Una linea che tiene, stando almeno all'assenza di voci dissonanti da quella della leader. Una 'pax interna' dettata dalla delicatezza del momento, certo.
Ma chi, fra i dirigenti dem, ha vissuto momenti come questo in passato, ricorda che di pax ce ne sono state tante, più o meno con ogni segretario passato per il Nazareno, e sono sempre coincise con la vigilia di un turno elettorale importante. Tradotto: la necessità dei big del partito e delle correnti di inserire i propri esponenti in quelle liste consiglia prudenza nel dibattito interno. Anche perché il giro di urne che si aprirà in primavera offre, al momento, ben pochi elementi di certezza.
La prima incognita riguarda i tempi. Il centrosinistra, spiega un parlamentare dem, vorrebbe che si votasse per le Regionali a ridosso delle elezioni europee. L'elezione dei presidenti di Piemonte, Sardegna, Abruzzo, Umbria e Basilicata preoccupa non poco un Pd che, come spiega anche Schlein, punta ad alleanze le più larghe possibile per cominciare a costruire una seria alternativa di governo alle destre. Se si votasse a inizio primavera, è il ragionamento, come si è deciso di fare in Abruzzo, e si andasse incontro a una sconfitta si rischierebbe un 'effetto' traino che potrebbe rappresentare un handicap per i dem anche alle europee.