AGI - "Per anni si è ipotizzato che Antonio Gramsci, morto il 27 aprile del 1937 appena due giorni dopo la sua definitiva scarcerazione, possa essere stato ucciso e non sia morto per causa naturale. A ucciderlo potrebbe essere stato il regime fascista attraverso un avvelenamento o anche una azione congiunta dei servizi fascisti e di quelli sovietici".
A dirlo, nell'anniversario della scomparsa di Gramsci, è il deputato Pd Roberto Morassut che su Facebook osserva che "per entrambi i regimi la messa in libertà di Gramsci avrebbe creato grossi problemi: per il fascismo egli era un simbolo della lotta antifascista condotta con indomita coerenza, lo stalinismo vedeva in lui un avversario e, nel pieno della ondata di purghe staliniane, lo considerava arruolabile dalla rete trotzkista. Gramsci in realtà era talmente prostrato che meditava di tornarsene in Sardegna o andare in Urss. Ma entrambe le destinazioni erano politicamente molto difficili da assecondare".
Il "dossier Gramsci" da riaprire
"I suoi scritti, appena dopo la morte, furono ritirati e consegnati a Togliatti in Unione Sovietica. Il suo corpo fu cremato senza alcun bollettino medico certo, né un'autopsia. Si parlò di collasso e poi di emorragia cerebrale ma senza alcun riscontro", dettaglia ancora Morassut. "Il funerale - osserva ancora - si svolse in forma quasi clandestina e sotto un violento temporale.
Va ricordato che pur ormai in libertà, dal 25 aprile, la clinica Quisisana, dove egli era tenuto in cura, era ancora presidiata da agenti dell'Ovra. Perché? Insomma la sua morte meriterebbe un approfondimento. C'è un 'dossier Gramsci' che andrebbe riaperto?".
"Negli anni - riprende l'esponente Pd - molti storici hanno tentato di scavare in questo vero e proprio buco nero della storia italiana ma senza dare risposte. Diversi familiari di Gramsci e lo stesso Togliatti espressero già allora in forma più o meno esplicita gravi dubbi sulla versione della morte naturale. Mussolini stesso sentì la necessità di scrivere, seppure in forma anonima, su 'Il Messaggero' riguardo alla morte di Gramsci, cosa stranissima per un sovversivo e detenuto politico, ventilando implicitamente l'ipotesi di un'eliminazione gradita a Stalin. Il Questore di Roma, già dal 26 aprile, un giorno prima della morte, quando Gramsci era stato già segnato da un colpo scrisse in un rapporto di 'crisi cardiaca' con prevedibile 'imminente decesso'. Gramsci veniva dato per morto quando era ancora in vita e sotto cure, non particolarmente solerti, dei medici, mentre Togliatti e Mussolini si sarebbero di li a poco rinfacciati la responsabilità diretta della sua morte".
"Come detto - conclude Morassut - i suoi scritti presero subito la via di Mosca per finire nelle mani di Togliatti. A questo pensò la cognata Tania che fu vicina al leader comunista fino agli ultimi istanti di vita, insieme al noto Piero Sraffa, il cui ruolo nella funzione di 'legato' tra Togliatti e lo stesso Gramsci non è stato mai completamente chiarito. Tutte domande che tali restano e che nulla provano, ma che contengono forti elementi di dubbio sulla versione ufficiale dei fatti cristallizzata dal 1937 a oggi".