AGI - Il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia aveva diffuso il 24 aprile un telegramma in codice con l’ordine n. 3000/5 di insurrezione generale: «Aldo dice 26 X 1». L’ora X era dunque l’una del 26, e queste le istruzioni: «Nemico in crisi finale. Applicate piano E27. Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga. Fermate tutte le macchine et controllate rigorosamente passeggeri trattenendo persone sospette. Comandi Zona interessati abbiano massima cura assicurare viabilità forze alleate su strada Genova-Torino et Piacenza-Torino».
A fine marzo era stata proclamata la fusione delle brigate partigiane dalle tante anime politiche e dalle tante visioni sulla rinascita dell’Italia, ed era stato costituito un comitato insurrezionale con al vertice l’azionista Leo Valiani, il socialista Sandro Pertini e il comunista Emilio Sereni.
Sono ore convulse. Vengono liberate Parma e Reggio Emilia. A Genova il comandante di piazza Günther Meinhold minaccia di distruggere il porto se i partigiani non lasceranno via libera ai suoi uomini. I tedeschi stanno infatti trescando con gli Alleati da tempi molto sospetti, con i primi segretissimi abboccamenti a febbraio 1945 e trattative condotte in Svizzera. Le notizie provenienti da Genova hanno allertato il 24 aprile il comitato insurrezionale di Milano: in città agiscono le Squadre d’azione partigiana e fuori le brigate della resistenza.
Milano nel caos
I fascisti sono in fuga, ma a Milano i tedeschi conservano la calma ed evitano accuratamente di essere coinvolti negli scontri: gli ordini del generale SS Karl Wolff per alcuni sono incomprensibili, ma non per chi sa che proprio lui, comandante delle SS in Italia, ha raggiunto un’intesa per la resa con onore, come se nulla fosse accaduto dal 1943 in poi, come se non fossero esistite le stragi di Pietransieri, Marzabotto, Boves, Sant’Anna di Stazzema, le impiccagioni e le torture. Wolff ha fatto tutto all’insaputa di Mussolini e non deve stupire, considerato che ha agito anche alle spalle di Hitler. Mussolini, in un ultimo e disperato tentativo di autonomia politica, ha contattato il cardinale Ildefonso Schuster per aprire trattative dirette con il CLNAI in un incontro all’Arcivescovado, fissato per le 17 del 25 aprile.
I capi Raffaele Cadorna, Riccardo Lombardi e Achille Marazza lo fanno attendere per quasi un’ora, e non è una tattica, perché anche loro si trovano di fronte a un fatto nuovo. Quell’ora trascorre in un freddo e sterile colloquio con Schuster. Quando arrivano i rappresentanti del CLNAI Mussolini tende la mano a Cadorna che gliela stringe, e fanno lo stesso gli altri due, spiazzati da quel gesto ma senza celare l’imbarazzo. Il Duce ha con sé il Maresciallo Rodolfo Graziani, il sottosegretario Francesco Maria Barracu, il ministro Paolo Zerbino, il prefetto di Milano Mario Bassi e l’industriale Riccardo Cella.
A quell’incontro surreale e inconcludente la resistenza era arrivata impreparata e i suoi tre capi non sanno bene cosa e come trattare: a Milano ci sono dai 20.000 ai 30.000 nazifascisti in assetto di guerra, mentre i partigiani sono pochissimi in città e ben lontani fuori. I tre non controllano neppure militarmente le forze sparse sul territorio e in caso di battaglia i partigiani si ritroverebbero verosimilmente a mal partito. Per evitarlo Cadorna, Lombardi e Marazza ricorrono al bluff: la resa incondizionata di tutti i fascisti e i militari repubblichini, con le garanzie delle convenzioni internazionali a eccezione dei criminali di guerra.
Mussolini abbandonato dai tedeschi
Il CLNAI non è pronto neppure a travasare i poteri dalla RSI e non può neanche farsi garante che la resa sarà rispettata dalle formazioni partigiane che sfuggono al controllo centrale di Cadorna, perché spesso rispondono al solo commissario politico. La carta risolutiva la gioca forse inconsapevolmente Schuster quando informa Mussolini che i tedeschi lo hanno abbandonato e stanno trattando lo sganciamento. Il CLNAI concede due ore per dare una risposta sulla resa. Due ore appena perché dopo le 20 non avrebbe comunque il tempo di gestire le operazioni in corso sull’ordine di insurrezione generale.
Mussolini non darà mai quella risposta, perché deciderà di lasciare Milano per Como inseguendo un’ultima resistenza simbolica nell’ipotetico ridotto della Valtellina, e il suo destino si compirà il 28 a Giulino di Mezzegra. Alle 19.30 del 25 aprile Meinhold firma la resa nelle mani dell’operaio Remo Scappini, capo del CLN, dopo che i garibaldini e i Gap hanno combattuto nelle vie cittadine e chiuso tutte le vie di fuga: è la prima volta di un atto formale di resa tra l’esercito tedesco e i partigiani, ma diversi reparti rifiutano di obbedire.
In Piemonte le brigate partigiane scendono a valle e si scontrano con le colonne tedesche in ritirata. I reparti della RSI, le divisioni “Monterosa” e “Littorio” si sfaldano e si arrendono, le Brigate Nere si liquefanno mentre i tedeschi combattono per riguadagnare la via di casa. La conclusione dell’Operazione Sunrise, la resa di tutte le forze tedesche in Italia, avverrà con la firma del documento preparato già il 10 marzo dagli Alleati alle 14.30 del 29 aprile a Caserta, con decorrenza mezzogiorno del 2 maggio, data segna la fine della guerra, quattro giorni prima che nel resto dell’Europa.
Quanti furono realmente i partigiani
Le forze partigiane, di poche migliaia di unità e quasi tutte composte da militari all’indomani dell’8 settembre 1943, erano cresciute a 20-30.000 a febbraio-marzo 1944, a circa 140.000 alla vigilia del 25 aprile e a 250.000 all’indomani, secondo i dati ufficiali dell’Archivio di Stato.
La Commissione per il riconoscimento delle qualifiche ne censirà 240.969 (compresi i 30.305 operanti all’estero). Quelli caduti, con esclusione dei civili uccisi per altre cause, risultano 44.720 (di cui 13.381 all’estero), mutilati e invalidi 21.186. Il prezzo più alto di caduti per la liberazione dell’Italia è stato pagato dai soldati della 5ª armata statunitense e dell’8ª armata britannica, con corpi d’armata e contingenti di diversi Paesi il più importante dei quali è il II Korpus polacco, rinforzato da reparti del ricostituito esercito italiano e dai patrioti apartitici della Brigata Maiella inquadrata militarmente nei suoi ranghi ma spacciata dalla vulgata resistenziale per brigata partigiana pur non facendo parte del CVL di Cadorna. I cimiteri di guerra su tutto il territorio della Penisola testimoniano come, dove e quando si cementò col sangue la conquista della libertà.