AGI - E' un tema che affiora con regolarità nel corso dell'intervento. Senza calcare ma costante. Giorgia Meloni non si sottrae dall'assegnare il valore di test politico nazionale all'ormai prossima tornata amministrativa e chiudendo la campagna del centrodestra con Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Maurizio Lupi, nella kermesse a Milano per sostenere Attilio Fontana. Lo fa con un tono a tratti leggero, non 'ingessato', come quando si lascia sfuggire, presentandoli, un romanesco "è pieno de ministri lombardi questo governo", o quando si concede una minireplica della serie di espressioni perplesse, come accadde alla Conferenza di programma, giusto a Milano, poco più di un anno fa, per smentire chi parla di isolamento del suo governo in Europa.
Altrettanto leggero, ma più deciso, il messaggio finale, in cui torna la distinzione tra un centrodestra 'reale' e uno 'percepitò, quella vissuta da lei stessa e quella raccontata dai media ("certe volte non leggo neanche la rassgena", confessa).
Una distinzione che poi si allarga al Paese (che stavolta non diventa "nazione"): "Siete voi - dice allora Meloni agli elettori - che dovete dirci, tra l'Italia che io percepisco e quella che delle volte leggo... Diteci con il voto quale è l'Italia e cosa l'Italia pensa davvero".
E allora, nel discorso che chiude la scaletta, preceduta da quel Silvio Berlusconi al quale riconosce - e qui protocollo e segnali non sono di poco conto, in giornate accompagnate da boatos di inquietudini in casa FI - il ruolo di "migliore ministro degli Esteri che l'Italia abbia mai avuto", Meloni ripercorre tutte le tappe salienti dei primi cento giorni del suo governo.
Il presidente del Consiglio, come aveva fatto poco prima al termine del vertice istituzionale in Prefettura sulla sicurezza, ironizza sul fatto che "ogni giorno scopro che ho litigato con un ministro, imbavagliato un ministro, a tratti frustrato un ministro", rivendica invece che "non solo stiamo governando con coesione, con compattezza, con consapevolezza del ruolo che ci è stato affidato" e assicura che "continueremo a leggere poco e che intendiamo farlo per i prossimi cinque anni".
Una stoccata ai media, ma una conferma dell'orizzonte che Meloni assegna a governo e maggioranza. E ancora parla di "due Italie, una che racconta del disastro, del baratro, del declino, ma poi c'è un'altra Italia, quella che leggo dai dati".
"Dallo scorso 22 ottobre lo spread è sceso, la Borsa ha guadagnato 20 punti, le stime su Pil sono passate da -0,2 a +06. Iniziamo a vedere il calo dell'inflazione, sentiamo dice che forse la recessione potrebbe non esserci", ripete. Sulle riforme, addirittura rilancia, perché "ne mancano tante" e dunque arriverà "un cronoprogramma" ad hoc. "Faremo quello che è necessario e sapete perché possiamo farlo, perché non abbiamo padroni. Noi dobbiamo rispondere solo agli italiani", mette in chiaro.
"Vogliamo dire al mondo intero che l'Italia non è più la repubblica delle banane", dice ancora Meloni che assegna invece al Paese un ruolo guida anche sul delicato tema dell'approvvigionamento energetico, perché "siamo andati in giro per il mondo a cercare forniture e poi ci siamo ricordati che il gas ce l'abbiamo anche in Italia, e che va estratto". E dunque "possiamo diventare la porta dell'energia europea, facendo valere le nostre relazioni internazionali".
Porta chiusa alle polemiche ancora sulle riforme, con Meloni che si dice "fiera che abbiamo già approvato la cornice dell'autonomia differenziata, un'altra norma fatta sul principio del merito". "Il principio dell'autonomia differenziata non è 'tolgo a qualcuno per dare a qualcun altro', il principio è 'se tu fai bene il tuo lavoro, gestisci bene le tue risorse, allora io prenderò in considerazione l'ipotesi di farti gestire altri materie'", dice il presidente del Consiglio che non rinuncia a una stoccata "a quei governatori che oggi si lamentano, e poi scopri che non hanno speso il 70% dei fondi europei che avevano a disposizione".
"Le cavallette dovevano arrivare con questo governo, poi non sono arrivate allora ci hanno fatto la farina", scherza Meloni, non senza un trasparente punzecchiatura su uno dei temi che tiene banco in questi giorni nei rapporti con l'Ue. Più seria e più ferma la promessa di una riforma della giustizia "perché si affermi sì la certezza del diritto, ma anche la certezza della pena. perché è giusto che in questo Paese chi sbaglia paghi come deve".