AGI - L'opposizione del Partito Democratico al governo Meloni sarà "dura e pura". E questo, "non per una pregiudiziale ideologica", viene spiegato dal Nazareno, ma perché "quello di Meloni è stato un discorso di destra destra", specchio fedele dei ministri che compongono l'esecutivo e, per questo, "completamente antitetico e alternativo" al Partito Democratico.
Una sottolineatura che arriva mentre nei capannelli del Transatlantico si passano al setaccio le parole di Giorgia Meloni. Gli affondi più duri, osservano dalle file del Pd, sono stati diretti ai Cinque Stelle, con l'attacco al reddito di cittadinanza, e allo stesso Partito Democratico: "Nessun accenno alla Resistenza", e fin qui non c'era da aspettarsi nulla di diverso: "Ma soprattutto nessun accenno ai temi del lavoro e del precariato", viene sottolineato da Andrea Orlando.
Quello che più sorprende, tuttavia, è l'apertura alla commissione di inchiesta sulla gestione della crisi pandemica, da una parte, e il passaggio sul presidenzialismo: "Due ami a Carlo Calenda d a Matteo Renzi". E non sarà un caso che fonti di Italia Viva si affrettano a esprimere soddisfazione: "Grande soddisfazione per l'intenzione di Fratelli d'Italia di istituire una commissione d'inchiesta che indaghi sulla gestione della pandemia e in particolare modo faccia luce su chi ha eventualmente lucrato sugli acquisiti Covid. Matteo Renzi è da sempre in prima linea su questo e non farà mancare il suo contributo".
Sulla riforma in chiave presidenzialista, poi, tanto Renzi quanto Calenda hanno già detto in passato di non essere pregiudizialmente contrari. Dunque, se un segnale è possibile cogliere dalle parole di Meloni, questo è il tentativo di aprire un canale di comunicazione con i centristi dell'opposizione. Una scelta che, per i dem, spiegherebbe anche quanto accaduto al Senato con l'elezione di Ignazio La Russa, quando la maggioranza si è ritrovata anche con più voti di quelli preventivati.
"Meloni distingue tra terzo polo e il resto dell'opposizione", ribadisce un dirigente dem che intravede "toni derisori" nei confronti del partito di Largo del Nazareno. Qualcuno, anche fra i dem, azzarda che quello di Meloni potrebbe essere un modo per spaccare le opposizioni: attaccare il M5s sul Reddito di Cittadinanza per far apparire come un potenziale interlocutore lo stesso Pd e, in tal modo, favorirne lo svuotamento del consenso in atto da parte del terzo polo e dal M5s.
Una ricostruzione, dicono dal Nazareno, "cervellotica", nel migliore dei casi; "pressioni capziose", nel peggiore. Opposizione dura, dunque. Tanto che qualche esponente dem alla Camera si interroga se non sia il caso di anticipare il congresso. Per Matteo Orfini, "non si possono attendere cinque mesi per eleggere il nuovo segretario". Tuttavia, a scandagliare gli umori nel partito emerge chiaramente come all'ipotesi di anticipare il congresso non crede nemmeno la componente di Base Riformista, tanto che lo stesso Stefano Bonaccini - indicato come uno dei candidati su cui l'area che si organizza attorno a Lorenzo Guerini potrebbe convergere - sottolinea: "Fare il congresso prima della fine dell'anno è sostanzialmente impossibile, anche per una questione di organizzazione. Prendiamoci i tempi che servono, ma un conto è avere il segretario a febbraio o marzo, un altro in primavera o estate".
E Bonaccini aggiunge che le candidature arriveranno dopo la direzione. Appuntamento che il segretario Enrico Letta ha fissato per venerdì, mentre giovedì riunirà la segreteria nazionale: all'ordine del giorno c'è l'agenda dell'opposizione e il timing del congresso. "Restringere i tempi del congresso sarebbe controproducente, se vuoi cambiare davvero il partito", chiosano dal Nazareno.