AGI - "Siamo orgogliosamente italiani e vogliamo verità e giustizia dopo 40 anni". Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, ricorda l'attentato che 40 fa uccise il piccolo Stefano Gaj Tachè e ferì quaranta persone davanti alla Sinagoga di Roma, in una cerimonia alla presenza di Sergio Mattarella.
"Può sembrare complicato comprendere come si possa conciliare il ricordo di un avvenimento così drammatico come l'attentato al Tempio Maggiore di Roma e la donazione di un nuovo Sefer Torah che rappresenta un momento di gioia. Questo rotolo che viene donato oggi è un inno alla vita che vogliamo celebrare, nonostante il dolore, la rabbia e il senso di ingiustizia che rappresenta per noi il 9 ottobre 1982", ha detto Dureghello, che ha ricordato come "raffiche di proiettili e bombe colpirono i fedeli inermi in uscita dalla festa, nel giorno in cui era prevista la benedizione dei bambini. Quaranta le persone ferite e un morto, Stefano Gaj Tachè. Un bambino di due anni, un bambino italiano, come lei Presidente Mattarella ha ricordato sancendo un momento importante nella storia di riconciliazione di questo Paese con gli ebrei romani e italiani".
Per Dureghello "quell'attentato non fu un episodio isolato, ma il culmine di una campagna d'odio con responsabilità ancora da chiarire, ma in cui apparve subito chiaro ciò che non si voleva ammettere: l'antisemitismo aveva colpito ancora e si era insidiato pericolosamente dietro all'odio contro lo Stato d'Israele".
"Da quel giorno di quaranta anni fa - ha detto ancora - sono tante le cose successe. Se peroòsiamo ancora qui è perché oltre al dolore che pè ancora vivo, auspichiamo che finalmente possa esserci verita' storica e processuale. Non per vendetta, ma per giustizia".
La presidente della Comunità ebraica ha chiesto che "venga finalmente svelato quel velo d'ipocrisia e omertà che rese possibile che un comando terroristico agisse indisturbato nel pieno centro di Roma".
Ma oggi "è un giorno di festa, come sarebbe dovuto esserlo quarant'anni fa. Le parole scritte nella Torah rappresentano, secondo i nostri Maestri 'la nostra vita e la lunghezza dei nostri giorni'. Dedicare questo rotolo a Stefano significa continuare a farne vivere la memoria ebraicamente. Significa legare momenti di vita ebraica alla sua persona nonostante lui non sia fisicamente più con noi. Saranno i nostri figli, i tanti bambini che sono oggi qua al Tempio Maggiore che si avvicenderanno nella lettura della Torah negli anni a venire a permettere che il nome di Stefano non sia mai dimenticato".
Ruth Dureghello ha ringraziato il Presidente Mattarella per la sua presenza, che "rappresenta un ulteriore tassello di vicinanza e amicizia, ma soprattutto la rivendicazione di quel messaggio che sin dal giorno del suo insediamento ha voluto far suo. Noi - ha sottolineato - siamo italiani, orgogliosamente e anche se qualcuno in passato non ci ha considerato tali, noi continueremo con questo spirito a vivere a contribuire per il bene di questo Paese. Grazie Presidente. Se per tanto tempo ci siamo sentiti soli, la sua presenza qui oggi invece ci fa comprendere che non lo siamo piu' e di questo gliene siamo grati".
Di Segni, mai più pianto Presidente
"Che il Presidente della Repubblica non debba più piangere per una giovane vita spezzata. Che il presidente possa invece poter piangere di gioia o sorridere vedendo bambini come quelli che l'hanno accolto qui con calore, bambini che crescono serenamente, educati su valori positivi, speranza per il nostro futuro". È la speranza espressa dal Rabbino capo, Riccardo Di Segni, durante la cerimonia alla presenza di Sergio Mattarella per i 40 anni dall'attentato che uccise il piccolo Stefano Gaj Tachè davanti alla Sinagoga di Roma.
"Stavo con altri Rabbini nella camera mortuaria davanti alla bara bianca, quando arrivò il Presidente Pertini che scoppiò in un pianto a dirotto - ha ricordato Di Segni - Ho commentato altrove questa scena. La cito qui, perché questa è una casa di preghiera e desidero esprimere una preghiera in cui tutti ci identifichiamo".
"Il cuore di ogni Sinagoga, la casa ebraica di preghiera, è l'Aròn, l'armadio che poco fa abbiamo aperto e chiuso, e nel quale sono riposti i rotoli della Torà. La Torà scritta è il Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia, scritto a mano da un esperto calligrafo su rotoli di pergamena. È un oggetto prezioso - ha sottolineato Di Segni - che custodiamo e trattiamo con la massima cura e attenzione, e orniamo di tessuti e metalli preziosi, in ogni luogo secondo la propria tradizione, una tradizione che in questa comunita', nel corso dei secoli, ha raggiunto vertici artistici unici. La Torà è l'essenza della nostra storia, della nostra vita e della nostra fede. Si dice che ogni lettera, ogni spazio vuoto, ogni vocale anche non scritta in quel rotolo rappresenti un singolo individuo della comunita'. Siamo tutti presenti, singolarmente e collettivamente in quel testo".
"La Torà non rimane chiusa nell'armadio. Viene periodicamente estratta, portata in mezzo al pubblico con solennità, aperta, esposta, letta e spiegata. È al centro delle nostre liturgie - ha spiegato ancora Di Segni - I libri si logorano nel tempo, le pergamene si consumano, le scritte si cancellano e per questi vanno sostituiti con copie nuove, mentre i vecchi vengono riposti e sepolti. Ma il motivo più importante è un altro. Il testo e' sempre lo stesso, ma deve essere continuamente rinnovato da ciascuno di noi in ogni generazione e ognuno se lo deve sentire suo. Per questo agli ebrei non piace chiamare la Tora' con il nome di Antico testamento. Perche' se e' vero che e' antico, anzi antichissimo, e' anche sempre nuovo, vitale e attuale".
"Nella circostanza che ricordiamo oggi, il dono di un nuovo rotolo della Torà a questa Sinagoga dedicato alla piccola vittima dell'attentato si arricchisce di significati. Ricordando il terribile insulto di 40 anni fa noi vogliamo affermare il nostro legame con i valori rappresentati da quel libro, la costruzione contro la distruzione, la civilta' contro la barbarie, la legge contro la sopraffazione, il rispetto contro l'offesa, la speranza contro la disperazione, la vita contro la morte", ha concluso.