AGI - Nel processo al Partito Democratico innescato dalla sconfitta elettorale, sul banco degli imputati finiscono anche le primarie. A metterle in discussione è il vicesegretario Peppe Provenzano che le considera solo "un rito se, prima di chiedere alle persone di venire da noi, non siamo noi ad andare dalle persone".
Più netto l'ex segretario Pd, Pier Luigi Bersani: "Basta primarie. Il dilemma non è sciogliere o non sciogliere" il Partito Democratico, "ma allargare, è l'esigenza di un profilo, di un collegamento con il tema del lavoro, di una forma partito adeguata. Io lo chiamo un partito nuovo".
A difendere lo strumento dem per antonomasia è l'ala liberal del partito. "Caro Bersani ti sbagli. Con lo slogan 'basta primarie' non si fa un partito nuovo e più largo", dice il senatore Dario Parrini: "Come dimostrato anche da tante recenti vittorie del Pd alle amministrative, le primarie sono ossigeno politico. Sì al partito aperto. No al partito chiuso. Giù le mani dalle primarie", conclude Parrini.
"Ogni giorno assistiamo a tentativi di mettere in discussione il percorso congressuale delineato dal nostro segretario", osserva Alessandro Alfieri: "Oggi addirittura si avanzano dubbi sulla necessità di fare le primarie, lo strumento attraverso il quale abbiamo fondato il Partito Democratico e abbiamo allargato utilmente la partecipazione a tutta la nostra comunità democratica".
Il tutto a ventiquattro ore dalla direzione che dovrebbe dare la rotta per il congresso. Ma sul Partito democratico si concentrano le attenzioni degli alleati, reali o potenziali. Da una parte, infatti, c'è Carlo Calenda a chiedere ai dem di tagliare definitivamente i ponti con i Cinque Stelle per accasarsi con il polo costituito da Azione e Italia Viva. Dall'altra la sinistra di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli paventano anni di governi di destra, nel Paese e nelle Regioni, se si chiudesse definitivamente il Campo Largo.
Nel mezzo gli appelli di segno opposto degli ex segretari, Walter Veltroni e Pier Luigi Bersani: il primo chiede di ritrovare "concretezza e ideali" della sinistra che fu, mettendo da parte le tentazioni di scioglimento e la corsa sui nomi; il secondo dice, invece, "basta con le primarie", uno strumento non più all'altezza delle sfide della sinistra che "non vanno regalate al Movimento 5 Stelle".
Non male per un partito dato per morto da un altro ex segretario. "Il Pd è finito. Lo sanno tutti, anche quelli che non lo ammettono", ripete da giorni Matteo Renzi. Segno di un partito che vive una fase tormentata, di ricostruzione dopo una sconfitta elettorale che ne fa, in ogni caso, il secondo partito d'Italia e il primo dell'opposizione. Un elemento sottolineato anche dal padre nobile del Pd, Walter Veltroni: "Assistiamo al paradosso per cui chi ha dimezzato i voti esulta, e un partito che ha quasi il 20 per cento discute se sciogliersi. Il Pd più che una sconfitta elettorale, ha subito una sconfitta politica, rischia molto se non coltiva la sua identità e se non cambia profondamente".
Da qui gli appelli che arrivano dal Nazareno a "non drammatizzare" e a concentrarsi sul percorso congressuale che il segretario Enrico Letta vorrebbe aperto e "profondo" al punto da "toccare le radici stesse del partito", rimettendo in discussione tutto, nome e simbolo inclusi. Appelli che sono stati recepiti in parte, visto che a poche ore dal risultato elettorale si sono moltiplicate le candidature alla carica di segretario.
Tra le tante, in pole ci sono quelle di Stefano Bonaccini e Elly Schlein. Se non fosse che nessuno dei due esponenti dem ha ancora sciolto la riserva. Peppe Provenzano, altro nome che era stato fatto come prossimo candidato, rinuncia invece a correre: "Non mi candido", dice l'esponente della sinistra dem.
Quella di eleggere un nuovo segretario non sembra essere una priorità da chi la lunga sequela di leader l'ha aperta quindici anni fa: "Non sarà risolutiva l'ennesima testa di segretario che rotola, ma la capacità di ritrovare quella doppia dimensione, concretezza sociale e idealità, che ha costituito il meglio della storia della sinistra", spiega Veltroni per il quale "non è un problema di persone, ma di orgoglio".
Ma il "congresso costituente" non convince del tutto gli esponenti Pd di Base Riformista. "Mettiamo da parte tattiche dilatorie, magari travestite da nobili propositi di approfondire e riflettere, e concentriamoci nel costruire subito un percorso che garantisca la più ampia partecipazione della comunità democratica a definire le scelte future del nostro partito".