AGI - Nel giorno in cui il centro-destra diventato destra-centro vince le elezioni italiane, la destra-destra forse sta meno di prima sotto la controversa fiamma di FdI. Quasi trent'anni dopo la Svolta di Fiuggi dal Msi ad An, sparigliata dai cambiamenti della storia, da qualche parte esiste una comunità politica che non si riconosce nell'attuale rappresentanza in Parlamento.
La 'far-right', la 'derecha dura' identificata dai giornali stranieri con il partito di Giorgia Meloni, o la destra 'post-fascista' paventata dagli avversari in ogni campagna elettorale, anche nell'ultima, ha invece il baricentro altrove (se ancora ce l'ha).
È una minoranza sfuggente a Giorgia Meloni e alla sua coalizione, è l'erede di un'opposizione che fu emarginata e adesso è marginale e che occupa un'area consistente tra quelli che a votare non sono andati o da parecchio non ci vanno più.
Come si definisce adesso la cultura di destra? Quali i suoi riferimenti al di là dei partiti?
E che oramai non guarda alla politica come a una competizione tra destra e sinistra. Se n'accorse già tanto tempo fa Giorgio Gaber quando cantò nel '94 'Destra-sinistra', irridendo alla convenzionalità di uno yin e yang stereotipato già allora ("Una bella minestrina è di destra/ Il minestrone è sempre di sinistra" oppure "Fare il bagno nella vasca è di destra/ Far la doccia invece è di sinistra").
Eppure negli anni Novanta ancora si potevano distinguere i ragazzi di destra e di sinistra dal look e dai poster attaccati in camera: là il cavaliere di Dürer e Mishima, qui il ritratto del 'Che'. Con il secondo millennio, il rosso e il nero sono categorie che non bastano più.
Quante sinistre ci sono e quante destre? Già s'imbarazzava Giuseppe Prezzolini cinquant'anni fa a enumerarle. Allora si parlava di tre destre: tradizionalista, conservatrice e liberale, nazionalista (oggi si direbbe sovranista): "Solo tre? E perché non trentatré o trecentotré?" lui provocando domandava.
Intanto Renzo De Felice aveva sistemato il fascismo nella Storia, collocando il movimento rivoluzionario della prima ora a sinistra e il regime del ventennio a destra. E mentre Giano Accame aveva già spiegato che il fascismo poteva essere anche "immenso e rosso", l'eterodosso filosofo di formazione marxista Costanzo Preve sanciva "la natura inservibile" delle due categorie tradizionali destra-sinistra, invitando all'abbandono "di questa sterile dicotomia".
Compiuto (o incompiuto) questo percorso, come si definisce adesso la cultura di destra? Quali i suoi riferimenti al di là dei partiti? Lo storico Giordano Bruno Guerri risponde: "Per usare un termine di moda, la cultura di destra oggi è più liquida, come un'acqua che filtra dappertutto in modo disomogeneo e talvolta confuso. Mi sembra si debba parlare non tanto di posizioni politiche, quanto di atteggiamenti mentali verso problemi contingenti. Senza dimenticare il passato: in Italia c'e' stata sia una destra che ha sofferto, anche giustamente, perché veniva associata al fascismo, sia un'altra, quella di Malagodi, guardata come forza conservatrice dei ricchi e degli industriali. Oggi però né il post-fascismo né il liberalismo o il conservatorismo possono conquistare le nuove generazioni".
C'è l'esigenza di modernizzare e proiettare questo Paese nel futuro. I giovani non hanno niente da conservare, vogliono aprirsi al mondo, innovare e progettare
Perché? "Perché è giusto che si conservino i beni culturali, è giusto che si protegga la tradizione della pizza e della mortadella di Reggio, ma riguardo al resto c'è l'esigenza di modernizzare e proiettare questo Paese nel futuro. I giovani non hanno niente da conservare, vogliono aprirsi al mondo, innovare e progettare".
Se c'è un tratto che un certo uomo di destra chiede alla destra, o a una destra, come "sua caratteristica più importante", dice Giordano Bruno Guerri all'Agi, "è il libertarismo. Ossia la difesa dell'individuo e delle sue prerogative, della sua unicità e della sua libertà".
È questa una posizione (e torniamo alle tre o trentatré variabili di Prezzolini) "che viene spesso mal vista proprio a destra, dico la posizione di chi ha una visione diversa dalla mentalità conservatrice e propugna esigenze oggi etichettate come profondamente di sinistra. Io da presunto, e sottolineo presunto, uomo di destra sono favorevole all'eutanasia, ai matrimoni gay, all'accoglienza. E mi vergogno a essere identificato con una schiera di bacchettoni o polverosi reazionari".
Specializzato nella salvazione di anime dispari dall'inferno della dimenticanza o della ghettizzazione, Guerri ha recuperato Curzio Malaparte (poi ripubblicato da Adelphi), il fascista di sinistra Giuseppe Bottai e Gabriele D'Annunzio, accreditato per decenni dagli storici e dalla vulgata come il poeta del ventennio ("sì, col fascismo si contaminò ma lo disprezzava perché lui era D'Annunzio, figurati se poteva sentirsi membro di un partito").
Resta al momento sotto punto interrogativo se la destra che ha vinto le elezioni possa dialogare con un variegato schieramento intellettuale spesso "scomodissimo" secondo il superlativo usato da Guerri, il quale consiglia a chi governerà il Paese almeno due libri ("ammesso che sul comodino non abbiano soltanto quelli che hanno scritto loro, e auspicando che comprendano come cultura, scuola e università sono alla base di tutto il resto"): '21 lezioni per il XXI secolo' di Harari, perché tratteggia cosa accadrà nei prossimi decenni, e 'Limonov' di Carrére, "ancor più formativo".
Intanto è nell'immenso bosco dell'astensione dal voto che s'è dispersa o è sparsa quella destra-destra che accetta di qualificarsi così per comodità di comprensione, "perché il superamento di destra e sinistra è ormai cosa acquisita", spiega lo storico editore e fondatore della romana libreria Europa, Enzo Cipriano: "Oggi la vera sfida è tra chi crede ancora nei valori tradizionali e chi invece crede nella globalizzazione. Giorgia Meloni è appiattita sull'americanismo quanto Enrico Letta. Risultano entrambi espressione di un conservatorismo deleterio, che certo non è quello di un Moeller van der Bruck. Da questa destra al governo non mi aspetto nulla: si normalizzerà come accadde alla destra di Gianfranco Fini. Se avesse vinto il Pd non ci sarebbe stata molta differenza".
Ma dove se ne va la cultura della destra radicale? "È passata al bosco", dice Cipriano. "Oggi i suoi interessi spaziano dall'autorealizzazione interiore al misticismo, che non e' certo quello new age, agli immancabili classici dell'antiamericanismo. Il testo di riferimento è più che mai il 'Trattato del ribelle' di Ernst Jünger". Che teorizzò il passaggio al bosco come "una nuova risposta della libertà". "Un atto di libertà nella catastrofe", precisava lo scrittore tedesco.